L’ultimo vertice della Lega Araba si è svolto tra pochi punti in comune e molti motivi di disaccordo tra gli Stati aderenti; un’ulteriore prova delle opposte posizioni in campo e delle diverse influenze in seno al mondo arabo.
La polarizzazione regionale sui temi come quelli della Primavera araba ha visto i sostenitori dei moti, come la Tunisia, scontrarsi contro i difensori dello status quo nella regione, come l’Arabia Saudita a cui ha fatto seguito l’Egitto dopo la destituzione di Morsi. Le posizioni si sono ulteriormente cristallizzate relativamente al giudizio che i Paesi arabi danno alla “Fratellanza musulmana”, etichettata da Egitto e Arabia Saudita come una “organizzazione terroristica”. A tale giudizio si oppone lo sponsor regionale della Fratellanza, il Qatar, ed i partiti affiliati al movimento che esercitano ancora la propria influenza in Tunisia, Marocco (seppur controllati dalla Corona) e nella Striscia di Gaza.

Il solco si è ulteriormente approfondito sulla “guerra civile” siriana poiché taluni Stati membri della Lega Araba si sono posti a sostegno dei ribelli e, per mezzo del principe ereditario saudita Salman, hanno proposto di attribuire agli oppositori del governo di Damasco il seggio siriano presso la Lega Araba, vacante dal 2011. Tuttavia il seggio è rimasto libero per la ferma opposizione, su tutti, di Algeria, Libano ed Iraq. Ma l’Arabia Saudita non ha rinunciato a far valere la propria posizione sulla questione, manifestando le proprie ambizioni egemoniche nel consesso. E dopo aver estromesso il Qatar per l’aiuto fornito da Doha ai Fratelli Musulmani, il principe saudita Salman ha presentato due richieste nel documento conclusivo del vertice:
– L’intervento del Consiglio di Sicurezza ONU per fermare il conflitto siriano;
– L’invio di armi alle milizie siriane e “jihadiste” straniere.
Richiesta, quest’ultima, necessaria “per alterare la situazione sul campo” – ha dichiarato il principe ereditario saudita – dopo le sconfitte dei ribelli a Qusayr nel dicembre 2013 e a Yabroud nel marzo 2014, dove hanno perduto il controllo della frontiera con il Libano, da dove arrivavano militari ed armi.

 

L’ISOLAMENTO DEL QATAR

Le relazioni tra gli Stati arabi del Golfo Persico ed il Qatar sono ai minimi termini: l’Arabia Saudita, il Bahrein e gli Emirati Arabi Uniti hanno ritirato il 5 marzo le proprie delegazioni diplomatiche da Doha, che a sua volta non ha ricambiato il “favore”, per evitare l’isolamento. Oman e Kuwait hanno scelto di non abbandonare l’emirato al proprio destino, lasciando spiragli per future mediazioni.

Lo sceicco del Kuwait, che ha ospitato l’ultimo summit della Lega Araba dal titolo “solidarietà per un futuro migliore”, a tal proposito, nel suo discorso di apertura, ha richiamato gli Stati membri all’impegno per l’unità del mondo arabo, affermando: “Ciò che ci accomuna è più grande di ciò che ci divide. Abbiamo bisogno di mettere da parte le nostre differenze per affrontare le sfide presenti nella regione”. Un vacuo tentativo di raffreddare gli animi, date le molteplici divergenze emerse – ma risapute – nel corso della discussione, ma che ha piuttosto evidenziato una volta di più l’inadeguatezza della Lega Araba, che a quasi settant’anni dalla fondazione si dimostra utile solo a misurare e rappresentare gli interessi e le influenze esterne sulla regione e le ataviche divisioni interne.

Le contrapposte posizioni tra Qatar ed Arabia Saudita hanno portato ad una crescente tensione tra i due paesi. Nel maggio 2012, nel corso di un vertice del Consiglio di Cooperazione del Golfo (Ccg)[1] a Riyad, è stato approvato un accordo di sicurezza che sancisce il principio di “non ingerenza” negli affari interni degli Stati firmatari e mira a rafforzare la cooperazione in materia di sicurezza. L’accordo è stato siglato dai ministri degli Interni dei paesi del Ccg nel novembre dello stesso anno, ma non dal Qatar[2].

Il testo impegna gli Stati del Ccg a non sostenere gruppi o individui che minaccino la stabilità dei membri sia per via diretta sia indiretta. Qui è chiaro il riferimento ai “media ostili” come Al-Jazeera, il cui direttore generale Ahmed Bin Jassim Al Thani è stato chiamato dal nuovo emiro del Qatar, lo scorso anno, per ricoprire il ruolo di ministro dell’Economia, dimostrando come l’emittente rappresenti uno strumento nelle mani del governo qatariota. L’accordo siglato rappresenta la legittimazione dell’escalation diplomatica attraverso cui l’Arabia Saudita, con il Bahrein e gli Emirati Arabi Uniti, rispondono al Qatar che finanzia la Fratellanza Musulmana in Egitto, in Siria ma anche all’interno della stessa penisola.
Del feeling tra l’Egitto di Morsi ed il Qatar e delle ambizioni di quest’ultimo di acquisire il controllo del Canale di Suez, non rimane che l’isolamento nel Consiglio di Cooperazione del Golfo e le ostilità del “nuovo” Egitto che ha ritirato la propria rappresentanza diplomatica da Doha e non sembra avere ripensamenti in merito. Solo Erdoğan sembra voler puntare sul Qatar per promuovere la via mediorientale intrapresa dalla Turchia.
Le reciproche rappresaglie tra Arabia Saudita e Qatar confermano che è in corso una guerra più o meno segreta tra le due petromonarchie. In un articolo per Réseau Voltaire,Thierry Meyssan afferma che secondo fonti autorevoli “l’esplosione che ha distrutto un ristorante turco in un centro commerciale a Doha (Qatar), il 27 febbraio, uccidendo dodici persone e ferendone trentadue, è stata sponsorizzata dai servizi segreti sauditi”. Il Qatar, a sua volta, ha risposto organizzando un attentato a Riyad, in Arabia Saudita, ritenendolo in seguito un incendio accidentale[2].

 

CERCASI COLLANTE PER I PAESI DEL GOLFO

I recenti conflitti all’interno dello stesso Consiglio di Cooperazione del Golfo dimostrano come stiano cambiando le dinamiche nello scenario geopolitico della regione.
La “minaccia iraniana” – oggi ridimensionata – contro la quale il Ccg ha rappresentato un bastione per gli Stati Uniti, non è più in grado di offuscare le divergenze tra le case regnanti del Golfo e le contrapposizioni di interessi ed ambizioni reciproche. Per questo gli USA temono che tali controversie possano compromettere il ruolo strumentale che il Consiglio ha finora ricoperto nella penisola, proprio mentre si preparano per il Pivot in Asia.

L’Arabia Saudita mira a delegittimare e contenere le rivendicazioni sciite sul proprio territorio e nella penisola, facendone un’arma per le proprie aspirazioni geopolitiche. Ma la minaccia dell’Iran sciita non è più un collante tra gli Stati del Golfo ed il Qatar, che condivide con l’Iran la proprietà di un grande giacimento gasifero off-shore (North Dome-South Pars), sembra voler condurre una politica meno ideologica e più legata agli interessi economici in gioco, opponendo all’egemonizzazione del Consiglio di Cooperazione del Golfo da parte dell’Arabia Saudita la “non intromissione” negli affari interni degli Stati membri, prevista dallo stesso statuto del Ccg.

Anche i rapporti con l’alleato statunitense da qualche tempo sembrano essersi incrinati per l’Arabia Saudita, anche se Barack Obama lo scorso 28 marzo si è recato in visita a Riyad per portare le proprie rassicurazioni. I sauditi non nascondono le proprie preoccupazioni per l’apertura sull’Iran ed i negoziati sul nucleare di Teheran, cui partecipano gli Stati Uniti, e temono un riavvicinamento dell’Amministrazione americana allo storico rivale sciita.

Le risorse energetiche di Teheran allettano i mercati e gli idrocarburi in transito dall’Asia Centrale verso l’Europa costituirebbero un’alternativa alla dipendenza energetica del Vecchio Continente dalla Russia. Un’importante opportunità per contrastare l’attivismo di Mosca e sganciare ulteriormente Bruxelles dal Cremlino e spingerla inesorabilmente verso il Transatlantic Trade and Investment Partnership.
Il consigliere aggiunto per la sicurezza nazionale, Benjamin Rhodes, che ha accompagnato il presidente americano nella visita a Riyad, ha affermato che “Obama intende rassicurare i suoi interlocutori sauditi che i negoziati in corso con Teheran non significano che Washington non continui a nutrire timori per le politiche dell’Iran, compreso il suo sostegno al presidente siriano, Bashar al-Assad, e al movimento sciita libanese Hezbollah, oltre all’influenza destabilizzatrice nello Yemen e nel Golfo attraverso le popolazioni sciite di questi Paesi”. Azioni e dichiarazioni che evidenziano il sistema dei rapporti variabili degli Stati Uniti nella regione, che mirano ad esasperare i particolarismi all’insegna del “divide et impera”.
Dietro gli annunci si cela un vecchio piano “neocon” del Pentagono, presentato e discusso presso il Consiglio politico del Dipartimento di Difesa americano nel luglio del 2002, dal titolo: “Buttare fuori i Sa‘ûd dall’Arabia”. Secondo questo progetto l’Arabia Saudita andrebbe smantellata in cinque zone distinte, tre delle quali dovrebbero formare degli Stati indipendenti l’uno dall’altro mentre le restanti due zone verrebbero annesse ad altri Stati. La svolta “riformista” dell’Iran, dunque, potrebbe riconfigurare le alleanze nell’intera regione e legare addirittura i destini di Riyad e Tel Aviv in contrapposizione al comune nemico iraniano, l’Iraq, Hezbollah libanese e i “jihadisti” palestinesi vicini agli sciiti (per esempio, Al-Jihâd al-Islâmî).
Un’intesa, questa, che sembra però porsi in antitesi rispetto all’unica azione condivisa in seno al 25° vertice della Lega Araba: il rifiuto di riconoscere Israele come “Stato ebraico”.

Ma lo scenario Medio orientale ha riscoperto un attore dal peso specifico determinante, seppur esterno alla regione: la Russia, che sta conducendo la propria azione in Medio Oriente attraverso due direttrici, quella economica e quella diplomatica. Il successo della mediazione russa riguardo alla distruzione dell’arsenale chimico siriano ha permesso di scongiurare l’escalation militare minacciata da Obama e l’inasprirsi del conflitto.
Per quanto riguarda la direttrice economica, lo scorso novembre il ministro degli Esteri Lavrov e della Difesa Shoigu si sono recati in visita in Egitto per negoziare la vendita di armamenti per un valore che si aggira intorno ai 2 miliardi di dollari, in un momento in cui il Cairo ha allentato i legami politici e militari con gli Stati Uniti.

All’indomani del ritiro delle truppe Usa dall’Iraq, alla fine del 2011, la Russia è riuscita nel tentativo di concludere un grosso contratto per la fornitura di armi con il governo del primo ministro iracheno Nuri al-Maliki, per 4,3 miliardi di dollari. Ma il contratto è stato annullato dalle autorità irachene circa un mese dopo perché urtava sensibilmente gli interessi di Washington[3]. Nel 2013 Baghdad e Mosca hanno tuttavia deciso di rinnovare il contratto di acquisto e lo scorso ottobre sono iniziate le operazioni di consegna che provano il ritorno dell’influenza russa in Iraq.
Mosca ha, inoltre, ricoperto un ruolo attivo nei negoziati di Ginevra sul programma nucleare dell’Iran. Collaborando al programma nucleare civile dell’Iran, e adoperandosi per evitare un attacco militare occidentale contro il Paese, la Russia negli anni ha stabilito una forte relazione strategica con la potenza medio-orientale. Ciò ha portato alla cooperazione durante la crisi siriana, con Mosca e Teheran che sostengono unitamente Damasco.

La Siria ha invece un rapporto privilegiato con la Russia fin dai tempi dell’Unione Sovietica. Le radici socialiste del partito Ba’ath hanno permesso d’instaurare un rapporto di amicizia tale con l’URSS, durante la guerra fredda, da permettere la costruzione di una base navale russa all’interno del porto di Tartus. Determinante ai fini del mantenimento dei rapporti russo-siriani, dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica, è stata la continuità del potere degli Assad alla guida del Paese[4].
I rapporti diplomatici in Medio Oriente sembrano avviarsi ad una svolta e solo il tempo ci svelerà chiaramente i nuovi equilibri nella regione.

NOTE
[1] Il Consiglio di Cooperazione degli Stati del Golfo Persico è un’Organizzazione internazionale regionale che riunisce sei Stati del Golfo Persico: Arabia Saudita, Bahrain, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Oman e Qatar, sorta nel 1981 su iniziativa dell’Arabia Saudita e sotto la regia degli Stati Uniti.
[2]Thierry Meyssan, “Guerre secrète entre le Qatar et l’Arabie saoudite”, Réseau Voltaire; 13/03/2014
[3] Umberto Profazio , “Oltre la Siria: la Russia riscopre il Medio Oriente”, Limes Rivista italiana di Geopolitica; 13/12/2013.
[4] Andrew Korybko, “La politica estera della Russia in Medio Oriente: Siria e Iran come trampolini regionali”, Aurora, Bollettino d’Informazione Internazionalista; 31/12/2014.


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