Fonte: http://www.win.ru/en/ideas/6902.phtml
Non ha senso consolarsi pensando che gli eventi di oggi riflettano semplicemente l’ostinazione delle etnocrazie baltiche, riluttanti a seguire le normative europee. Guardate la Svezia – 20 anni fa fu l’allora primo ministro Carl Bildt, ad incitare gli inesperti democratici baltici a privare i russi dei diritti civili e ad imporre i passaporti “per non cittadini”. E poi c’è la Finlandia, dove la Chiesa Luterana statale sta per sospendere il pastore Juha Molari per la sua critica del sito internet del “Centro-Kavkaz” e del leader estremista Doku Umarov.
La morte di Vasilij Marakovič Kononov [nella foto] – eroe della ribellione, partigiano russo e cittadino nativo lettone, che ha combattuto per la liberazione del suo paese dal giogo fascista – ci fa riflettere su diverse questioni.
Per molti anni è stato perseguitato dai nazionalisti lettoni – alla fine del XX secolo gli eredi di questi collaborazionisti, responsabili per lo spargimento di sangue delle vittime dei campi di concentramento di Salaspil, hanno creato un regime di apartheid in Lettonia. È nota la storia della sua resistenza quindicennale contro la “giustizia” lettone. E credo che non abbia senso ripetere ciò che è stato detto già molte volte.
Un altro fatto è più importante – Vasilij Makarovič Kononov ha passato gli ultimi anni della sua vita a tentare di proteggere il suo buon nome ed i nomi di migliaia di altri veterani della ribellione, lottando contro il fascismo in Italia, Francia, Belgio, Grecia, Slovacchia, Norvegia ed ex Jugoslavia. La cosa più tragica è che ha fallito il suo scopo. L’Unione Europea ha rifiutato di onorare Kononov come un eroe e l’ha lasciato morire come un “criminale”.
Il 17 maggio 2010 il Gran Consiglio della Corte Europea dei Diritti Umani (ECHR) ha approvato la persecuzione penale di Kononov a causa delle accuse di “banditismo” che ha ritenuto fondate. Ricordiamo che i combattenti del reparto di Kononov hanno giustiziato dei collaborazionisti, i quali a loro volta avevano già condannato a morte 12 partigiani – tra cui un ufficiale di collegamento donna con un figlio.
Avendo emesso il proprio verdetto, l’ECHR ha evidenziato che: se Kononov riteneva che gli abitanti del villaggio avessero commesso crimini di guerra, avrebbe avuto il diritto di arrestarli e di processarli, osservando tutte le procedure richieste. Inoltre, Kononov «aveva slealmente indossato l’uniforme tedesca (!), infrangendo molte regole internazionali». Ha violato anche altre leggi internazionali, garantendo alle donne un trattamento speciale (Kononov è stato accusato di aver giustiziato 3 donne).
Se consideriamo il verdetto dell’ECHR riguardo il caso Kononov come un precedente, l’entità delle conseguenze giuridiche sarebbe sbalorditiva. In base a questo, ad esempio, potremmo accusare i carnefici di Mussolini di aver perpetrato dei crimini di guerra. Ricordiamo che i partigiani non hanno ucciso soltanto il Duce, ma anche la sua amante Clara Petacci. Quindi, apparentemente, hanno violato le norme della legislazione internazionale cui l’EHCR stesso fa riferimento.
Eppure, c’è motivo di credere che la decisione dell’ECHR non diverrà un precedente. I veterani della ribellione dell’Europa Occidentale possono godere del sonno dei giusti – non saranno toccati. Al contrario, le autorità continueranno a perseguire i criminali nazisti. Qual è il motivo? Forse, la questione è che c’è un particolare tipo di “giustizia per i russi” nell’Europa unita – ed è portata avanti attraverso regole completamente diverse.
Durante gli ultimi 20 anni ci siamo abituati ad incolpare la Lettonia e l’Estonia per la discriminazione e la repressione dei russi – ci siamo appellati al senso di giustizia e coscienza dei maestri pan-europei, sovvenzionando le etnocrazie baltiche di “successo”. Abbiamo tentato di capire perchè le norme legali, che definiscono la protezione politica, ad esempio, degli immigrati africani ed asiatici, non siano estese ai russi, che vivono negli Stati baltici ormai da qualche migliaio di anni. Persino i primi hanno il diritto di partecipare alle elezioni europee, mentre molti cittadini russi della Lettonia non godono di questo diritto.
E perché gli Accordi di Ohrid del 2001, ad esempio, che garantiscono il diritto ai cittadini albanesi della Macedonia di mantenere la loro autonomia, non possono essere il precedente per il cambio di stato giuridico nelle regioni del nord-ovest dell’Estonia, dove la percentuale di cittadini russi arriva al 95%?
Qualcuno può spiegare perché Estonia e Lettonia non firmeranno nemmeno la Carta Europea delle Lingue Regionali? È per questo che in questi paesi anche solo porre la questione di garantire lo status di lingua ufficiale al russo è considerato un crimine. Contemporaneamente in Finlandia (stato sponsor dell’Estonia) lo svedese è una delle lingue ufficiali, sebbene sia parlato soltanto dal 6% della popolazione.
Non ha senso consolarsi pensando che gli eventi di oggi riflettano semplicemente l’ostinazione delle etnocrazie baltiche, riluttanti a seguire le normative europee. Guardate la Svezia – 20 anni fa fu l’allora primo ministro Carl Bildt, ad incitare gli inesperti democratici baltici a privare i russi dei diritti civili e ad imporre i passaporti “per non cittadini”. E poi c’è la Finlandia, dove la Chiesa Luterana statale sta per sospendere il pastore Juha Molari per la sua critica del sito internet del “Centro-Kavkaz” e del leader estremista Doku Umarov.
C’è soltanto una risposta per le domande poste. E la risposta è la russofobia. É l’unico tipo di xenofobia che non viene condannato ma che è persino silenziosamente approvato nella UE. La xenofobia è letteralmente “la paura dei diversi” e questo è il modo in cui i russi sono percepiti in Europa.
Ovviamente questa è la causa della posizione della UE riguardo il regime dei visti per i cittadini della Federazione Russa. Per quasi mezzo secolo i nostri vicini europei hanno parlato di “Cortine d’Acciaio” e “Muri di Berlino”, eppure, quando questi sono crollati, ne hanno costruito loro stessi di nuovi, e hanno calato una cortina dal loro lato del confine. Recentemente l’ambasciatore belga in Russia, Guy Trouveroy ha dichiarato che la UE non cancellerà il regime dei visti nei confronti della Federazione Russa, anche se la Russia cancellasse il regime dei visti per gli europei. Lo ha giustificato con «le paure europee per un afflusso di immigrati illegali dal nord del Caucaso».
Questo è paradossale, dato che la UE ha già dato permessi di residenza (e in alcuni casi lo stato di “rifugiati”) a migliaia di esuli da quell’area. Ricordate che non stiamo parlando di cittadini rispettosi della legge – molti di loro hanno già supportato terroristi e hanno sentimenti separatisti. Forse, Akhmed Zakayev (che ora risiede a Londra) è l’ “immigrato legale” di maggiore spicco – e si definisce “Primo Ministro della Repubblica Cecena di
Ichkeria”.
Oppure, forse, l’ambasciatore belga voleva dire che l’Europa non è disposta a ospitare i caucasici che sono ancora leali alla Russia? Ma soltanto pochi milioni di persone vivono nel nord del Caucaso e la UE difficilmente potrebbe aver paura della pressione dei migranti. Anche le argomentazioni sull’apprensione europea riguardo i criminali russi sono poco sensate – altrimenti l’Europa avrebbe chiuso i suoi confini ai visitatori dai paesi dell’America latina. Dopo tutto in quei paesi i cartelli della droga mandano avanti lo show dai livelli sociali più bassi. Quindi, non c’è nessuna spiegazione per la posizione della UE tranne che un’irrazionale xenofobia.
Riassumendo. Le decisioni politiche come gli Accordi di Ohrid del 2011 – che sarebbero state appropriate per l’Estonia e la Lettonia – non sono pensate per i russi. Nemmeno la Carta Europea per le Lingue Regionali lo è. E neppure la tolleranza o la lotta contro la discriminazione nazionale. Persino i verdetti del Processo di Norimberga diventano nulli e vuoti, quando si arriva a coloro che combatterono contro i russi.
Quindi, la fobia della Russia è una generale tendenza pan-europea. L’Europa sarà in grado di superarla o rimarrà nello stato in cui è oggi?
(Traduzione di Valentina Bonvini)
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