“Ho scoperto che qui, in Europa, le radici sono molto più profonde di quanto avessimo creduto (…) E queste radici ci rivelano l’unità fondamentale non solo dell’Europa, ma di tutta l’ecumene che si estende dal Portogallo alla Cina e dalla Scandinavia a Ceylan”. Queste parole di Mircea Eliade, registrate da Claude-Henri Rocquet in una lunga intervista che uscì nel 1978 sotto il titolo L’épreuve du labyrinthe, sono emblematiche di quella dimensione eurasiatista del pensiero eliadiano alla quale ho dedicato un capitolo di una recente raccolta di saggi (1).
Lì ho avuto modo di far notare come nel ricco patrimonio etnografico della sua terra d’origine, la Romania, Eliade abbia individuato parecchi elementi che rinviano a temi mitici e rituali presenti in vari luoghi del continente eurasiatico. In particolare, ho citato una delle più celebri ballate popolari romene, quella di Mastro Manole, che Eliade ha sottoposto ad uno studio comparativo, richiamando tutta una serie di analogie che si intrecciano in una vasta area compresa tra l’Inghilterra e il Giappone. Infatti il tema che ispira la ballata in esame non è rintracciabile soltanto in Europa: “Il motivo di una costruzione il cui compimento esige un sacrificio umano è attestato in Scandinavia e presso i Finni e gli Estoni, presso i Russi e gli Ucraini, presso i Germani, in Francia, in Inghilterra, in Spagna” (2). L’area di diffusione di tale tema comprende anche la Cina, il Siam, il Giappone, il Punjab: “In Oriente sono state raccolte numerosissime tradizioni di questo tipo. Non c’è un monumento famoso che non abbia, nella realtà o nella leggenda, la sua vittima sepolta viva nelle fondamenta” (3).
A questo tema Mircea Eliade si ispirò allorché nel 1939 scrisse Ifigenia, dramma in tre atti e cinque quadri. Rappresentato per la prima volta nella sala “Comedia” del Teatro Nazionale di Bucarest il 12 febbraio 1941, il dramma fu diretto dal regista Ion Sahighian e musicato da N. Buicliu; il ruolo della protagonista venne affidato ad Aura Buzescu, quello di Achille a Mihai Popescu. L’opera fu nuovamente portata in scena nel 1982, al Nazionale di Bucarest, da Ion Cojar.
Con la sua Ifigenia, Mircea Eliade riprende la vicenda mitica trattata da Euripide nell’Ifigenia in Aulide (406 a.C.) e ripresa in età moderna da Jean de Rotrou (1503) e da Jean Racine (1674). Ma la versione eliadiana si caratterizza per il rilievo attribuito al tema del sacrificio, del quale il grande storico delle religioni si occupò, in quel medesimo periodo, anche con i Commenti alla leggenda di Mastro Manole (Bucarest 1943). La figlia di Agamennone accetta e sollecita il proprio sacrificio affinché la spedizione contro Troia possa compiersi con successo. “Potremmo dire – è questa la tesi di Eliade – che Ifigenia acquisisce un ‘corpo di gloria’ che è la stessa guerra, la stessa vittoria; vive in questa spedizione, proprio come la moglie di Mastro Manole vive nel corpo di pietra e calce del monastero” (4).
Tradotta in italiano un paio d’anni fa (5), la tragedia eliadiana ha attratto l’attenzione del regista Gian Piero Borgia, il quale ne ha curato una riduzione teatrale che, inserita nel cartellone della nuova stagione del Teatro Stabile di Catania, sarà presentata dal 26 giugno al 4 luglio al Teatro greco-romano della città etnea. Il ruolo di Ifigenia sarà interpretato da Lucia Lavia; Fausto Branciaroli reciterà nelle vesti di Achille.
NOTE:
1. C. Mutti, Esploratori del Continente. L’unità dell’Eurasia nello specchio della filosofia, dell’orientalistica e della storia delle religioni, Effepi, Genova 2011.
2. M. Eliade, Spezzare il tetto della casa, Jaca Book, Milano 1988, pp. 74-75.
3. M. Eliade, I riti del costruire, Jaca Book, Milano 1990, pp. 31-32.
4. M. Eliade, I riti del costruire, cit., p. 90.
5. M. Eliade, Ifigenia, trad. di C. Mutti, Edizioni all’insegna del Veltro, Parma 2010.
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