La Siria si trova oggi al centro di un momento storico di grande rilevanza, segnato da trasformazioni radicali che coinvolgono sia il panorama interno sia le dinamiche geopolitiche regionali. L’abbandono del potere da parte di Bashar al-Assad, un evento inaspettato dopo oltre un decennio di conflitto, apre scenari complessi che richiedono un’analisi approfondita. Questo sviluppo non solo ha modificato gli equilibri interni al paese, ma ha anche portato alla luce le divergenze tra i principali attori esterni che avevano sostenuto il regime: Russia e Iran.

La complessità dell’abbandono di Assad

Il ritiro di Bashar al-Assad dal potere ha avuto il carattere di un evento improvviso e inaspettato, lasciando il paese in uno stato di disorientamento politico e istituzionale. La decisione di abbandonare la scena senza fornire spiegazioni, senza indirizzarsi al popolo siriano né predisporre una transizione graduale, ha sollevato interrogativi non solo tra gli oppositori del regime, ma anche tra i suoi sostenitori più fedeli. Per oltre un decennio, Assad aveva incarnato il centro del potere, rappresentando sia il simbolo della resistenza contro le pressioni esterne che l’elemento di coesione di un sistema politico fragile e frammentato. Il suo ritiro, avvenuto senza alcuna apparente minaccia imminente, suggerisce una scelta che non è frutto della contingenza, ma di dinamiche più profonde e complesse.

Questa decisione ha ulteriormente destabilizzato il contesto siriano, già segnato da anni di guerra civile e da un fragile equilibrio tra attori locali, regionali e internazionali. Assad aveva cercato negli ultimi mesi di rafforzare la sua posizione attraverso una strategia diplomatica mirata, avvicinandosi a Riyadh e agli Emirati Arabi Uniti nella speranza di ottenere garanzie politiche ed economiche. Tuttavia, questi tentativi non hanno portato ai risultati sperati. L’obbligo di chiudere l’ambasciata di Ansarullah a Damasco per favorire un accordo con l’Arabia Saudita, così come altre concessioni fatte per allinearsi agli interessi del Golfo, hanno indebolito la sua autorità senza garantirgli la protezione necessaria per mantenere il potere.

L’assenza di Assad ha quindi creato un vuoto istituzionale significativo, lasciando la Siria senza una chiara guida politica e alimentando incertezze sul futuro del paese. Questo vuoto ha avuto ripercussioni non solo a livello interno, ma anche nei rapporti tra i principali alleati del regime, Russia e Iran. La figura di Assad, per quanto divisiva, rappresentava un punto di convergenza per gli interessi di Mosca e Teheran, pur con tutte le divergenze strategiche che già esistevano tra i due paesi. La sua uscita di scena ha esacerbato queste differenze, rendendo più evidenti le tensioni latenti tra la visione pragmatica e geopolitica della Russia e l’approccio ideologico dell’Iran, profondamente radicato nella logica dell’”Asse della Resistenza”.

Se da un lato la Russia aveva costruito la sua strategia siriana attorno alla protezione di interessi concreti, come le basi militari di Tartus e Latakia e la sua influenza regionale, dall’altro l’Iran aveva visto nel regime di Assad un tassello fondamentale della sua politica di confronto con Israele e di consolidamento dell’asse sciita. L’uscita di scena del leader siriano ha messo in discussione questi equilibri, ponendo Mosca e Teheran di fronte alla necessità di ridefinire le rispettive strategie in un contesto sempre più frammentato e instabile.

L’improvviso ritiro di Assad, quindi, non rappresenta solo un momento di transizione per la Siria, ma un evento che ridisegna gli equilibri geopolitici nella regione. La sua scelta di abbandonare il potere senza combattere o negoziare una transizione ordinata lascia un’eredità di incertezza che rischia di aggravare le divisioni tra i vari attori coinvolti nel conflitto, rendendo ancora più complesso immaginare una stabilizzazione duratura del paese.

Russia e Iran: alleati con obiettivi divergenti

L’abbandono di Bashar al-Assad ha esacerbato ulteriormente le differenze strategiche tra due dei principali attori esterni che hanno sostenuto il regime durante il conflitto: la Russia e l’Iran. Sebbene entrambi abbiano svolto un ruolo cruciale nel garantire la sopravvivenza del regime siriano durante gli anni più critici della guerra civile, le motivazioni che hanno guidato il loro intervento sono sempre state profondamente divergenti. Queste differenze non si limitano a una mera questione di approccio pratico o tattico, ma affondano le radici in priorità geopolitiche e ideologiche che riflettono le rispettive visioni della regione e del mondo.

Per la Russia, l’intervento in Siria è stato principalmente dettato da un pragmatismo strategico e da un bisogno di preservare il proprio ruolo di potenza globale. Mosca ha visto nel supporto al regime di Assad una mossa necessaria per mantenere la propria influenza nel Medio Oriente e per consolidare la sua presenza nel Mediterraneo. Le basi navali di Tartus e Latakia sono vitali per la Russia, non solo per ragioni di sicurezza marittima e accesso strategico alla regione, ma anche per proiettare il proprio potere nella più ampia arena internazionale. La sua alleanza con Assad non è mai stata ideologica, ma funzionale a obiettivi concreti: il rafforzamento dell’influenza russa nel continente asiatico e una manifestazione della sua capacità di proiettare potenza militare lontano dai suoi confini tradizionali. In altre parole, per Mosca, il regime di Assad è stato più uno strumento che un fine, una pedina utile nel gioco di equilibrio geopolitico mondiale.

L’Iran, invece, ha intrapreso un percorso molto diverso. Per Teheran, la Siria rappresenta un elemento chiave dell’“Asse della Resistenza”, un asse strategico che include Hezbollah in Libano e le milizie sciite in Iraq, e che ha lo scopo di contrastare l’influenza israeliana e americana nella regione. La visione iraniana della Siria è intrinsecamente ideologica, legata alla sua interpretazione della geopolitica regionale come una lotta per la sopravvivenza del blocco sciita contro i potentati del Golfo e Israele. Per l’Iran, mantenere il controllo su Damasco non è solo una questione di influenza politica, ma una necessità strategica che consente di garantire il flusso di armi e risorse a Hezbollah e ad altri alleati, formando un corridoio terrestre che collega l’Iran al Mediterraneo. Questo passaggio terrestre è considerato cruciale per l’armamento e il rafforzamento delle milizie sciite, e per consentire all’Iran di proseguire la sua sfida geopolitica a Israele, una priorità assoluta nella politica estera iraniana.

Tuttavia, questa alleanza tra Mosca e Teheran non è mai stata priva di contraddizioni, e le tensioni tra le loro rispettive visioni della Siria e della regione sono emerse in modo evidente in diverse occasioni, soprattutto in relazione alla politica di Israele. I raid aerei che in questi anni Israele ha compiuto in Siria hanno messo in luce un divario fondamentale: mentre la Russia ha scelto di tollerare questi attacchi, mantenendo al contempo relazioni diplomatiche con Tel Aviv, l’Iran ha visto questa posizione come una violazione dei suoi interessi strategici. La Russia, infatti, ha cercato di mantenere un equilibrio nelle sue relazioni con Israele, accettando implicitamente che gli attacchi aerei israeliani contro le forze iraniane e di Hezbollah in Siria siano tollerati. Questo comportamento è stato interpretato da Teheran come un segno di debolezza o di tradimento.

Per l’Iran, l’atteggiamento della Russia mina la stabilità della sua strategia regionale, poiché la lotta contro Israele è vista come una questione esistenziale. La tolleranza russa verso gli attacchi israeliani non solo mette a rischio gli investimenti iraniani in Siria, ma compromette anche il corridoio logistico vitale che collega l’Iran a Hezbollah. La percezione iraniana è che la Russia stia sacrificando gli interessi comuni per motivi legati alla propria diplomazia internazionale, un errore che potrebbe indebolire la coesione di quella che è stata fino ad ora un’alleanza funzionale ma complessa.

Queste divergenze non si limitano a questioni tattiche o a singoli episodi, ma riflettono un più ampio contrasto tra due modelli di politica estera. La Russia cerca di mantenere un ruolo di mediatrice e di attore internazionale equilibrato, mentre l’Iran è motivato da un impegno ideologico che prescinde dagli interessi pragmatici, rendendo difficile trovare una convergenza stabile a lungo termine. Le tensioni tra questi due approcci potrebbero portare a un deterioramento delle loro relazioni strategiche, complicando ulteriormente la già fragile situazione in Siria. In definitiva, il supporto a Bashar al-Assad, che in un primo momento ha unito Russia e Iran in una causa comune, potrebbe non essere sufficiente a superare le divisioni fondamentali che ora emergono tra i due paesi.

Il nuovo ruolo dell’opposizione e le garanzie di sicurezza

In questo contesto di incertezza, i leader dell’opposizione armata siriana hanno giocato un ruolo inatteso, garantendo la sicurezza delle basi militari russe e delle istituzioni diplomatiche. Secondo quanto riportato dall’agenzia TASS, funzionari russi sono in contatto con rappresentanti dell’opposizione per assicurare la protezione delle infrastrutture strategiche, un segnale di come Mosca stia cercando di adattarsi rapidamente ai nuovi equilibri, costruendo relazioni anche con attori tradizionalmente ostili al regime.

Questa dinamica riflette una realtà complessa in cui le alleanze si dimostrano fluide e mutevoli, rimodellandosi in base agli interessi contingenti. La capacità della Russia di gestire queste relazioni dimostra un approccio pragmatico e una volontà di preservare la propria influenza nella regione, anche in assenza di Assad. Le basi militari russe di Tartus e Latakia, situate nella regione costiera del Mediterraneo, rappresentano un pilastro fondamentale della strategia russa. Quest’area, a maggioranza alawita, beneficia di una protezione naturale offerta dalle catene montuose circostanti, che rendono estremamente difficile una conquista da parte delle milizie sunnite o di gruppi ostili al Cremlino.

Questo contesto geografico e demografico assicura a Mosca una relativa tranquillità per quanto riguarda la sicurezza delle sue basi, almeno nel breve termine. Nonostante la caduta del regime di Assad, il Cremlino può ancora considerare solidi i propri interessi strategici nella regione. Tuttavia, questa posizione potrebbe non essere immune da critiche. Alcuni analisti interpretano la geopolitica siriana attraverso il prisma di un gioco a somma zero, in cui ogni guadagno di una fazione viene percepito come una perdita per l’altra. Questo approccio rischia di ignorare la complessità della situazione siriana e la capacità di Mosca di mantenere una posizione di equilibrio, collaborando anche con fazioni tradizionalmente ostili.

D’altro canto, mentre la Russia cerca di consolidare il proprio ruolo come garante della stabilità nelle aree sotto la sua influenza diretta, l’Iran potrebbe trovarsi in una posizione sempre più precaria. La necessità per Teheran di sostenere nuove milizie filoiraniane, in un contesto di frammentazione crescente, rischia di esporre la Repubblica Islamica a un isolamento diplomatico e strategico. In questo scenario, il pragmatismo russo e la visione ideologica iraniana entrano in netto contrasto, evidenziando come l’apparente collaborazione tra i due paesi sia, in realtà, attraversata da divergenze sempre più profonde.

L’intervento dell’opposizione armata nel garantire la sicurezza delle basi russe è emblematico di un equilibrio delicato: Mosca sta dimostrando la capacità di navigare tra fazioni diverse, ma questa strategia dipenderà dalla sua abilità di mantenere legami bilaterali che non compromettano i propri interessi fondamentali, evitando che i conflitti locali degenerino ulteriormente in una competizione globale.

L’instabilità della Siria post-Assad: nuovi attori e vecchie dinamiche

La caduta di Assad non segna necessariamente la fine del conflitto siriano. Al contrario, apre la porta a nuovi attori e dinamiche che potrebbero rendere il paese un terreno ancora più instabile. È probabile che l’Iran inizi a finanziare e armare nuove fazioni filoiraniane, simili a quelle sostenute in Iraq e Libano, con l’obiettivo di mantenere un ruolo centrale nel panorama siriano. Questi gruppi potrebbero non puntare al controllo diretto del territorio, ma operare come forze ombra per condurre attacchi contro Israele, basi statunitensi e, eventualmente, il nuovo governo siriano.

Parallelamente, figure di spicco del vecchio regime, come il Generale Suhail Hassan della 25ª Divisione, potrebbero cercare di consolidare il controllo su aree strategiche come Latakia e Tartus, sfruttando il sostegno delle comunità alawite e di una parte dell’élite sunnita. La possibilità di un ritorno a governi militari autoritari, sulla scia di quanto avvenuto in Egitto e Libia, non può essere esclusa, soprattutto in un contesto di frammentazione politica.

Il nuovo governo ribelle, probabilmente guidato da forze come HTS, dovrà dimostrare di essere in grado di governare efficacemente e di proteggere il paese da minacce esterne. Un fallimento in questa direzione potrebbe accelerare il ritorno di ex membri del SAA o di milizie locali al potere, creando un ulteriore ciclo di instabilità.

Conclusioni

Le divergenze strategiche tra Russia e Iran, esacerbate dalla caduta di Bashar al-Assad, mettono in evidenza la fragilità di un’alleanza costruita più su necessità contingenti che su una visione condivisa del futuro della Siria. Quello che inizialmente sembrava un fronte unito per garantire la sopravvivenza del regime si sta rapidamente trasformando in una competizione velata, in cui le priorità divergenti rischiano di minare le fondamenta stesse della loro cooperazione. Le conclusioni che emergono da questa dinamica sono molteplici e rivelano l’estrema complessità della situazione geopolitica siriana.

La Russia, nonostante le difficoltà, mantiene una posizione di relativa forza. Le sue basi militari a Tartus e Latakia, situate in una regione a maggioranza alawita e protette da un contesto geografico favorevole, garantiscono al Cremlino un punto d’appoggio sicuro nel Mediterraneo. Tuttavia, Mosca è consapevole che la sua strategia pragmatica deve affrontare sfide significative, in particolare la necessità di bilanciare le relazioni con Israele, l’Iran e altri attori regionali. Questa diplomazia multilaterale, sebbene efficace nel breve termine, potrebbe rivelarsi insostenibile se le tensioni tra i suoi partner aumentassero.

Per l’Iran, invece, la situazione è molto più delicata. La caduta di Assad rappresenta un colpo duro alla sua visione dell’“Asse della Resistenza”. Senza un regime siriano fedele a Teheran, il corridoio terrestre verso il Libano e Hezbollah diventa più vulnerabile, mettendo a rischio non solo la strategia regionale dell’Iran, ma anche la sua capacità di proiettare potere e influenza. La percezione di un tradimento russo, esacerbata dalla tolleranza di Mosca verso gli attacchi israeliani, sta alimentando il malcontento a Teheran e potrebbe spingere l’Iran a intraprendere azioni più aggressive per consolidare la propria posizione. Tuttavia, in un contesto di frammentazione politica e instabilità, questa strategia potrebbe portare a ulteriori tensioni e, paradossalmente, isolare ancora di più Teheran.

Inoltre, la caduta di Assad ha rimosso un importante elemento di coesione tra Russia e Iran, aprendo la porta a un futuro di incertezza e potenziali conflitti di interesse. La Siria potrebbe diventare un terreno di competizione non dichiarata tra Mosca e Teheran, con entrambe le parti che cercano di consolidare la propria influenza attraverso alleanze con attori locali. Questa competizione potrebbe aggravare la frammentazione del paese, rendendo ancora più difficile la possibilità di una stabilizzazione duratura.

A livello regionale, le conseguenze di queste dinamiche si estendono ben oltre i confini siriani. La competizione tra Russia e Iran potrebbe destabilizzare ulteriormente il Medio Oriente, influenzando gli equilibri di potere in Libano, Iraq e persino nella Penisola Arabica. Israele, dal canto suo, continuerà a sfruttare queste divisioni per perseguire i propri interessi strategici, intensificando gli attacchi contro le infrastrutture iraniane in Siria e rafforzando la propria posizione nella regione.

Infine, a livello globale, la situazione in Siria mette in evidenza la complessità delle relazioni tra le grandi potenze. La Russia, che cerca di affermarsi come mediatore globale, deve affrontare il rischio di essere percepita come inaffidabile dai suoi partner, mentre l’Iran si trova a fronteggiare una crescente pressione internazionale e regionale. Questa situazione sottolinea come i conflitti locali possano trasformarsi in catalizzatori di dinamiche geopolitiche più ampie, con conseguenze imprevedibili.

In conclusione, il futuro della Siria post-Assad rappresenta un banco di prova non solo per i suoi protagonisti interni, ma anche per le potenze regionali e globali coinvolte. La caduta di Assad non ha risolto le tensioni che attraversano il paese, ma le ha semplicemente riorganizzate su nuove linee di frattura. La capacità di Russia e Iran di gestire queste sfide determinerà non solo il futuro della loro presenza in Siria, ma anche il destino di un’area che rimane centrale per l’equilibrio geopolitico del Medio Oriente. In un contesto così fluido e imprevedibile, la possibilità di una stabilizzazione a lungo termine appare ancora lontana, lasciando la Siria come uno degli epicentri più instabili e contestati della politica globale.


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