Proprio il 9 giugno, giorno in cui il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha approvato nuove sanzioni a danno dell’Iran, Eurasia. Rivista di studi geopolitici aveva programmato di svolgere nell’ambito dei suoi Seminari 2009/2010 la lectio magistralis di S.E. l’Ambasciatore della Repubblica Islamica dell’Iran presso la Santa Sede Hojjatol Islam Alì Akbar Naseri dal titolo L’Iran e la pace nel mondo, coinvolgendo nell’evento il giornalista e scrittore Pietrangelo Buttafuoco, il quale, a onta delle testate che ospitano i suoi graffianti articoli, ha un approccio nei confronti dell’Iran ben noto e ben differente da quello della vulgata corrente.
S.E. Naseri ha dimostrato a chi ancora nel folto pubblico non lo conosceva di essere un diplomatico di grande cultura teologica, deciso nella difesa delle posizioni del suo Paese, ma al contempo capace di tracciare a partire dal confronto religioso numerose traiettorie di colloquio e di confronto. L’ambasciatore, infatti, ha iniziato il suo intervento ricordando come le tre religioni rivelate abramitiche si propongano la ricerca della pace e come in particolare nel mondo islamico il tanto vituperato jihad in campo pratico sia poi soprattutto la difesa dagli oppressori e dagli assalitori. A tal proposito, chi taccia di aggressività l’Iran ha dei pregiudizi ovvero è mosso da “interessi egemonici diabolici”, visto e considerato che ormai da secoli Tehran non muove guerra e sono state invece numerose le volte in cui ha dovuto difendersi, ultima delle quali negli anni Ottanta del secolo scorso causa l’Iraq di Saddam Hussein, allora lautamente foraggiato e sostenuto da quelle potenze che in tempi più recenti ne hanno decretato la fine. Gli Stati Uniti d’America, ha evidenziato Naseri, ed i loro alleati si muovono sullo scenario internazionale (ed oggi ne pagano le conseguenze) con la medesima rabbia che anima il wahabismo, il quale, con le sue pratiche terroristiche che vanno a colpire i civili, si pone in netto contrasto con i principi del Corano. Il fulcro della politica estera iraniana, invece, consiste nella lotta contro gli aggressori e nella protezione degli inermi auspicando di giungere alla giustizia e alla pace: “Finché le potenze avide punteranno alle risorse altrui, non vi sarà una pace stabile, ma solamente un armistizio” ha puntualizzato Naseri. L’occupazione della Palestina da parte dei sionisti è pertanto l’ultimo atto di ingerenza nel Medio Oriente da parte delle grandi potenze, le quali oggi conferiscono appoggio e legittimità agli occupanti trascurando i diritti fondamentali dei palestinesi. La proposta iraniana a tal riguardo è chiara: i palestinesi hanno diritto all’autodeterminazione ed i profughi quello di rientrare nella propria terra, laddove gli occupanti devono tornare alle loro case affinché gli abitanti originari musulmani, ebrei e cristiani possano scegliere liberamente la propria forma di Stato e di Governo. La Repubblica Islamica d’Iran, inoltre, auspica per bocca del suo diplomatico (e non solo sua, ovviamente, ma stavolta il pubblico ha avuto finalmente modo di sentire un esponente iraniano tradotto non da un’agenzia israeliana…) un Medio Oriente libero dalle armi atomiche e dalle armi di distruzione di massa in genere, come è stato ribadito nella recente e snobbata dai media occidentali Conferenza di Tehran, svoltasi sotto il motto “energia atomica per tutti, armi atomiche per nessuno”. Ribadita l’intenzione iraniana di avvalersi della tecnologica atomica solamente per scopi pacifici, Naseri ha ricordato come il suo Paese non abbia impiegato armi chimiche neppure per ritorsione nei confronti di quell’Iraq che ne aveva fatto largo uso durante il già ricordato conflitto, mentre Washington che oggi insiste tanto sull’argomento dell’atomica iraniana non dovrebbe proprio parlarne: ha il maggior arsenale nucleare al mondo, è il solo Paese ad averne fatto uso ad Hiroshima e a Nagasaki ed ha in seguito minacciato di ricorrervi nuovamente. La politica dei due pesi e due misure statunitense ha pure un altro esempio: la Casa Bianca appoggia Israele che occupa terre altrui e possiede armi atomiche, contrasta invece l’Iran che è membro dell’AIEA e firmatario del Trattato di Non Proliferazione Nucleare ed ha soprattutto trovato un accordo grazie alla mediazione brasiliana e turca in merito ai controlli sull’arricchimento dell’uranio. Il rappresentante di Tehran ha concluso il suo dotto intervento, costellato di precise e puntuali citazioni del Sacro Corano, auspicando una maggiore cooperazione fra i Paesi rivieraschi del Golfo Persico, al fine di limitare i margini di manovra delle ingerenze americane ed evidenziando come il tracollo del regime baathista di Baghdad, la morte di Saddam Hussein e l’impantanamento atlantista in Iraq ben dimostrino come chi aggredisce prima o poi sia destinato a crollare.
Buttafuoco d’altro canto già da tempo conosce l’Ambasciatore Naseri, avendolo fatto parlare all’Università di Catania riguardo alla Vergine Maria proprio nel giorno dell’Immacolata Concezione ed ora sta organizzandogli un intervento all’ateneo di Enna in merito ad un confronto fra l’ashura sciita e la Settimana di Passione dei Cristiani. Un tanto per significare come i popoli possano affratellarsi attraverso la fatica della conoscenza, mentre oggi purtroppo i luoghi comuni ed i mass media non ci permettono di verificare come là dove c’è il cosiddetto “Asse del Male”, vi sia invece serenità, grazie proprio ad una declinazione dell’Islam che ha gli stessi toni che secoli addietro portarono al periodo di maggior fulgore nella storia della Sicilia. La cultura oggi dominante, inoltre, ha cancellato le radici greco-romane dell’Europa, mentre la Repubblica Islamica sorta nel 1979 non ha mai preteso di cancellare i trascorsi zoroastriani e persiani dell’Iran. Noi italiani in particolare, ha proseguito il pungente scrittore siciliano, rinunciamo alla tradizione romana per seguire canoni culturali che nulla hanno a che fare, né con Omero né con Virgilio. Con somma ipocrisia invece molte nazioni che si proclamano islamiche hanno abbandonato i palestinesi, la cui causa si è cercato di far rientrare ed annichilire nell’alveo di un progetto laico e democratico, confacente al materialismo imposto dai due schieramenti della Guerra Fredda. Rivolgendosi anche a parte del pubblico in sala, Buttafuoco ha stigmatizzato quanti nel suo ambiente politico d’origine videro ai tempi la rivoluzione khomeynista come una variante del comunismo e non capirono che invece parlava con quel linguaggio del Sacro oramai svanito in Occidente. Andando poi ad analizzare meno superficialmente le parti in lotta, si poteva scoprire che nell’Armata Rossa vi erano più islamici che in qualsiasi altro esercito al mondo e che invece quegli USA, che sulla banconota stampano ancora il motto “In God we trust”, sono stati di fatto i principali artefici della distruzione dell’approccio spirituale al mondo. Il capostipite dei teocons Leo Strauss era illuminante a tal proposito, allorché, parafrasando Karl Marx, sosteneva “diamo l’oppio ai popoli”, proponendo una caricatura della religione ad usum delphini che ha segnato l’avvio della nostra epoca, quella cioè della menzogna istituzionalizzata. Molto meglio diceva allora Carmelo Bene, ha ironizzato Buttafuoco, quando chiedeva non libertà di stampa ma libertà dalla stampa. Per non parlare poi di come il baraccone hollywoodiano sia passato in pochi anni dal proporci i talebani in guisa di guerrieri mitici e ieratici al fianco del nerboruto Sylvester Stallone nel film Rambo 3 a oggi che li raffigura come quintessenza del male. A conclusione del suo intervento, Buttafuoco ha evidenziato come noi recidendo il legame fra Oriente e Occidente abbiamo rinunciato non solo al nutrimento che dall’Oriente ci proveniva ma anche alla nostra identità fino a ridurci ad un cortile provinciale periferico rispetto alle dinamiche della storia.
Tirando le somme del seminario, Tiberio Graziani, direttore di Eurasia, ha rilevato come, nonostante le apparenze, si sia trattato di un momento di alta geopolitica, nella misura in cui il geopolitico francese Lacoste argomenta che anche l’identità e la sovranità sono variabili che tale disciplina deve prendere in considerazione. Gli Stati Uniti inoltre possono essere considerati come un’isola che ha sempre guardato con gli occhi del pirata alla massa eurasiatica, la quale oggi è costellata di sue basi e strutture di riferimento. Si tratta di un percorso che ha preso definitivamente forma nel secondo dopoguerra per accelerare bruscamente nel 1956. In quell’anno, infatti, la talassocrazia americana non solo ha proseguito il contenimento nei confronti del colosso tellurico sovietico, ma si è anche intromessa nel bacino del Mediterraneo, estromettendone la Francia in seguito ai fatti di Suez. Sì è poi giunti alla politica degli archi di crisi attorno all’URSS per opera di Zbigniew Brezinzki, ai tempi consigliere del Presidente Carter e gran manovratore di quella “trappola afgana” in cui fece cadere i sovietici (“Adesso avranno il loro Vietnam” avrebbe commentato in quei giorni). Ma più di questo Washington ha dimostrato anche in tempi recenti di non saper fare: la sua è la geopolitica del caos, la quale destabilizza e non governa. Si tratta pertanto di una parodia di Impero, la quale oggi brandisce la strategia dei diritti umani contro quanti si oppongano alla sua marcia in Eurasia: un recente report ha, infatti, ribadito le critiche all’Iran e alla Cina, sollevando però questioni pure in merito al tasso di democraticità dell’India, potenza emergente che ha sempre prestato poca attenzione alle sirene atlantiste.
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