L’islamofobia è una forma dell’odio verso la religione e della ribellione verso il Creatore di tutte le cose.
Osservazioni propedeutiche ad una trattazione dettagliata dell’ostilità verso l’Islam.
Tra le forme del pregiudizio e dell’ostilità[1]attualmente diffuse fra gli italiani e gli altri popoli europei, quella contro l’Islam e i musulmani è senz’altro la più radicata e viscerale. Per rendersi conto di ciò, basti un confronto con altre storicamente note forme del pregiudizio e dell’ostilità: contro i neri, i rom, gli ebrei, gli omosessuali, solo per fare alcuni esempi: certamente esistono oggi persone che nutrono sentimenti negativi verso le suddette categorie, ma tutti costoro o quasi tendono a mascherare, in pubblico, i loro reali pensieri.
Un politico, un giornale o un intellettuale che osasse proferire una parola anche vagamente negativa nei confronti di neri, rom, ebrei ed omosessuali si vedrebbe presto costretto a fare marcia indietro in ossequio al politicamente corretto, pena la rovina professionale e personale. Men che meno, in nessuno dei casi summenzionati improntati al “rispetto” si assiste ad un incoraggiamento al pregiudizio, più o meno diretto, da parte degli esponenti del mondo della politica, dell’informazione e della cultura, i quali, anzi, ci spingono a sentimenti assolutamente positivi verso gli ebrei, Israele e la sua politica, gli omosessuali e le loro “rivendicazioni” in quanto gruppo lobbistico organizzato, i rom che hanno diritto alle case popolari eccetera.
Il motivo ufficiale per cui oggi nessuno può permettersi il lusso di criticare pubblicamente quelle categorie che storicamente, in Europa, sono state oggetto del pregiudizio e dell’ostilità, è che “dobbiamo evitare che si ripetano gli orrori del Novecento”. Eppure gli stessi che “vigilano” in un senso, approvano, giustificandole in ogni modo, analoghe discriminazioni e sopraffazioni che oggi prendono la forma dell’aggressione armata, e culturale, verso intere popolazioni del pianeta e i loro modi di vita. Se si presta infatti attenzione alle linee di politica estera dell’Unione Europea, in un’Europa sede di centinaia di installazioni militari Usa e Nato, e al tipo di “società aperta”, “fluida”, che i suoi dirigenti incoraggiano, ci si rende conto che il forzato rispetto per certune categorie e il disprezzo per altre, incoraggiato per giunta da quasi tutto l’apparato politico-mediatico-culturale, dipende da una precisa scelta di campo ‘civilizzazionale’.
L’omosessuale, infatti, con le sue “rivendicazioni”, viene utilizzato per scardinare l’istituto della famiglia, mentre lo sperticato “rispetto” per tutto quel che riguarda gli ebrei ed Israele serve a porre nettamente l’Europa nel campo “occidentale” isterilendo sul nascere ogni anelito di rinascita perché gli europei devono vivere in un eterno ed irrimediabile “senso di colpa”. La famiglia, infatti, secondo un luogo comune moderno, avrebbe fatto il suo tempo, sostituita da qualsiasi altra forma di aggregazione in nome della “libertà individuale”, mentre l’Occidente – col Sionismo che ne costituisce l’avamposto strategico e ideologico – sarebbe il quadro di riferimento, politico e sociale in cui far crescere questo esperimento che rappresenta un unicum nella storia del genere umano oltre il quale, tra l’altro, non vi sarebbe più “storia”, poiché la sua “modernità” segnerebbe la fase finale ed ‘escatologica’ al termine di un percorso evoluzionistico (l’uomo deriva dalla scimmia ecc.) e progressista (tutte le epoche precedenti, in ogni dove, sono state peggiori dell’attuale).
Il fine implicito di tutto ciò sarebbe la “liberazione” dell’uomo da ogni vincolo e costrizione. Liberazione sociale (fine della famiglia) e politica (Occidente “democratico” da esportare a tutti i costi). L’uomo “liberato” che si crede Dio, o che può farne a meno, il che è lo stesso.
Questo punto è importante per capire come mai gli stessi che predicano la “tolleranza” e il “rispetto” sempre o comunque, facciano eccezione solo per la religione, che può essere sbeffeggiata, derisa e presentata alla stregua di un “retaggio”, nel migliore dei casi, di una follia, nel peggiore. Infatti, se vogliamo essere osservatori onesti, non è che il Cristianesimo venga rispettato molto dal mondo della politica, visti i provvedimenti che adotta, i quali, dando forma ad un determinato “modello”, ostacolano in maniera insormontabile chi vuole vivere in linea coi principi del Cristianesimo stesso; né viene rispettato dal mondo dei media: si pensi all’insistenza monomaniacale sui “preti pedofili” e sugli “scandali del Vaticano”; e che dire del mondo della “cultura”, con le sue incomprensioni dettate da un laicismo nichilista senza speranza e le sue insolenti banalizzazioni di ciò che non riesce proprio a comprendere (sempre più la figura del comico linguacciuto si mescola a quella dell’intellettuale).
E se questa è la situazione per quel che concerne la religione che ci si attenderebbe essere rispettata e incoraggiata in Europa e in Italia, figuriamoci cosa viene riservato all’Islam e ai musulmani, che qua sono minoranza, per giunta proveniente perlopiù da fuori. L’Islam, infatti, grazie al lavorio complementare di politica, media e cultura finisce per essere percepito dai più come la “religione dei terroristi”, né più né meno, versione aggiornata dei “turchi”, dei “saraceni”, dei “maomettani” adoranti una specie di demonio.
Sì, perché “terroristi” sono di volta in volta i libanesi, i palestinesi, gli afghani, gli iracheni, gli iraniani… in poche parole tutti i musulmani, tranne quelli che si mostrano entusiasti verso il “modello occidentale” e che non vedono l’ora di conformarsi in tutto e per tutto a quello. Quando si tratta di occuparsi dell’Islam e dei musulmani, tutto quel che valeva come “questione di principio” per gli omosessuali, gli ebrei eccetera diventa opinabile e ci si può tranquillamente sbracare nell’insinuazione (“ma lei è dalla parte dei kamikaze?”), nella provocazione (escrementi sul terreno di un’erigenda moschea ecc.), nell’insulto gratuito (“Maometto pedofilo!”).
Come detto, l’atteggiamento di fondo della politica, dell’informazione e della cultura occidentali è ostile a qualsivoglia tipo di religione, perché una religione integra nei suoi elementi essenziali (un credo, un rito e una morale) rappresenta agli occhi di chi difende la “modernità” (da tradursi: “io sono legge a me stesso”) la prova vivente che tutta questa “tolleranza” e “rispetto” sono degli artifici retorici per nascondere dove invece si vuole andare a parare: la creazione di un tipo umano che si ritiene scollegato dal Principio, ma pronto invece per andare dritto all’Inferno quando finirà la sua breve vita terrena perché ingannato (e sottolineiamo ingannato) sul fatto che poteva “godersela” e fare “come gli pare”. In verità, chiunque sia dotato di un minimo di discernimento può constatare che nessuno, soprattutto tra la cosiddetta “gente normale”, può fare “come gli pare”, ma anzi viene sottoposto a continue coercizioni e sottomissioni a questo o a quel potere illegittimo, che prendono la forma di persone, istituzioni, regole, suggestioni sociali e culturali (gli “idoli”, insomma, che non sono delle statuine dalle forme antropomorfe!), col risultato che la vita dell’uomo occidentale è ridotta ad una schiavitù verso una serie indefinita di cose che concorrono alla sua dispersione nella molteplicità, mentre in realtà l’uomo è solamente sottomesso al suo unico Creatore (che lo riconosca o meno non cambia il dato oggettivo, ma la differenza sta nel corretto uso della facoltà di libero arbitrio di cui siamo stati dotati). Quest’uomo completamente schiavizzato, che insegue solo i suoi appetiti terreni abbindolato com’è da ogni sirena, vive immerso in una concezione relativista dell’esistenza, per cui egli s’illude che ogni cosa equivalga all’altra, che non vi sia un alto e un basso, che ogni comportamento vada bene perché “ognuno fa come gli pare” (fintanto che “non dà fastidio a nessuno”, secondo la formula autoassolutoria più in voga).
Bene, tutto ciò è l’esatto contrario di quel che dice la religione e nello specifico l’Islam, che postula l’esistenza di un Principio (Allah) che ha creato tutte le cose e da cui tutte le cose (uomini compresi) dipendono e verso il quale tutto deve fare ritorno. Ma il problema è in quali condizioni ciascuno vi farà ritorno… Così, si delinea il ‘marchio di fabbrica’ di ciò che agisce coloro che, in buona o in malafede, con lo spauracchio dell’islamofobia si ergono a difensori dell’Occidente, della “modernità”, dei “nostri valori”… Naturalmente, per far credere che si tratti dei “nostri valori” bisogna aver prima rescisso ogni saldo approdo e riferimento, riducendo l’uomo ad una specie di naufrago, e fatto tabula rasa di ogni concezione ordinata verso l’alto e il sovrasensibile. Vogliamo ancora credere la maggior parte di questi cantori del nulla che occupano ogni spazio della politica, dei media e della cultura astiosi verso l’Islam solo perché non hanno mai avuto l’occasione propizia per comprenderlo, perché altrimenti realizzerebbero che non ha senso prendersela con l’Islam se davvero si sentono cristiani; oppure, una volta risvegliatisi dall’incantesimo del laicismo “liberatore”, si renderebbero conto che quello li stava portando dritti al fallimento in questa vita e nell’altra. Una minoranza degli islamofobi invece è in malafede, o meglio, anch’essa non ha avuto modo di comprendere che la via verso la verità non è lastricata di relativismo, ma si presta, convinta, come per una sorta di patto col diavolo (o magari un patto vero e proprio!), a gettare tutto il fango possibile sull’Islam, in quanto vi individua a ragione il pericolo principale che incombe sugli pseudo-principi della “modernità” e del relativismo ai quali hanno giurato fedeltà incondizionata. L’autoidentificazione con le idee fasulle del mondo moderno, fa il resto, pertanto chi si reputa orgogliosamente “occidentale” pensa di mettere a repentaglio tutto se stesso, fin nell’intimo, se concede un seppur minima apertura delle pareti del suo cervello, ma soprattutto del suo cuore, all’Islam e al suo messaggio.
Tutto quanto precede non è una digressione sul tema dell’islamofobia, ma rappresenta la premessa necessaria per capire da dove prende le mosse tutto il variegato quotidiano stillicidio di allarmismi, scandali, paure mirate a fomentare la sensazione di un incombente “pericolo islamico”. Che cosa di più “terribile”, infatti, tanto per fare un esempio, di un modo di vita che prescrive cinque momenti quotidiani, in sintonia col movimento apparente del sole, dedicati al raccoglimento e alla preghiera. Un momento per tornare in quiete, in mezzo all’agitarsi delle acque delle occupazioni quotidiane. Non a caso, tra gli indefiniti pretesti per far polemica, viene messo in conto anche il desiderio, da parte del musulmano, di poter interrompere per pochi minuti l’attività lavorativa in maniera da svolgere il rito della preghiera. Apriti cielo! Tutto un discettare sull’assurda pretesa di interrompere i “ritmi della produzione”, come se quella non fosse – certo ricondotta alle normali esigenze – al servizio dell’uomo, mentre, al contrario, è diventata un giogo al quale tutti sono stati assicurati come degli schiavi. I “nostri valori”, evidentemente, prevedono la riduzione dell’esistenza terrena ad un girone infernale nel quale si praticano sacrifici umani in onore delle divinità “produzione”, “mercato”, “prodotto interno lordo”. Per non parlare del “digiuno”, o meglio “astinenza” del mese di Ramadan, percepito dagli entusiasti difensori dei “nostri valori” come un attentato al “benessere” (infatti Bourghiba, entusiasta assertore dello “sviluppo”, chiese una volta al gran mufti di Tunisia di emettere una fatwa anti-Ramadan in nome della lotta al “sottosviluppo”!)… Eh già, l’astinenza e la rinuncia, evocano la “miseria”, come quella dei racconti, ripetuti come una litania, di chi ha vissuto gli anni del dopoguerra in cui “si pativa la fame”. Guai a parlare di sobrietà, quindi, guai a rinunciare a qualcosa, perché l’uomo occidentale non intende privarsi di nulla. Eppure, in un dato momento dovrà rinunciare a tutto, ma proprio a tutto, compreso se stesso, quindi tanto vale abituarsi all’idea, no? Ma l’uomo “occidentale” crede di appartenere a se stesso, anzi, di essere il centro del mondo, invece anche lui non ha alcun potere né su se stesso né sul mondo esterno a lui, perché anche votandosi a tutti i demoni del mondo non potrebbe posticipare di un milionesimo di secondo l’istante della sua dipartita verso un’altra dimensione che, comunque la si voglia chiamare, è pur sempre una forma di “vita”. Preghiera e astinenza sono l’esatto contrario di quel che predicano i ‘sacerdoti’ del mondo moderno, di destra, di centro e di sinistra, tutti uniti appassionatamente nella riduzione dell’uomo a “elemento della produzione”, assieme al “capitale” e al “lavoro”, tutt’al più distinguendosi tra opzioni individualiste e collettiviste dalle quali, però, l’orizzonte della trascendenza è stato scelleratamente espunto.
Che dire poi della solidarietà sociale? Ciascuno tira fuori dal cilindro la propria originale soluzione, col risultato però che aumentano gli ospizi (“case di riposo”…) e gli asili nido, segno che i vecchi per la “modernità” sono da buttare e i bambini, sin da quando vedono la luce, sono considerati come un peso di cui sbarazzarsi. Vecchi e bambini, infatti, vengono percepiti nel mondo moderno senza Dio come un ostacolo alla propria “realizzazione”, una “perdita di tempo” ecc. Eppure basterebbe dare ascolto a quel che l’Islam ha da dire sul rispetto per i genitori e sulla complementarietà funzionale del maschio e della femmina. Ancora apriti cielo! Macché, la donna “deve lavorare” (non “può”: è obbligata) perché deve “realizzarsi” e perché “i soldi non bastano mai” (per pagare l’asilo nido ecc.). Innanzitutto “i soldi non bastano mai” perché da una parte vige un sistema oppressivo che ha imposto una vita che richiede disponibilità di denaro per fare ogni cosa, dall’altra perché nessuno, come detto, non intende rinunciare a nulla. Che poi la donna si “realizzi” sul lavoro è puntualmente smentito dall’esperienza della maggior parte di esse, sull’orlo di una crisi di nervi tra responsabilità e pressioni lavorative e impegni familiari, col risultato che proliferano le “tate” e i “nidi”, mentre le famiglie scoppiano perché le tensioni sono troppe. Quanto ai vecchi, il disinteresse che questa società dimostra loro, deriva anche in un certo qual modo dal non rappresentare più, com’è stato per millenni, un “esempio”: in una società normale, ovvero orientata verso l’alto e il trascendente, chi arriva ad un’età avanzata è anche progredito nel suo cammino spirituale, per cui i giovani non hanno che da imparare (shaykh, in arabo, non casualmente significa sia “vecchio” che “autorità spirituale”), per non parlare dell’assurda rigida divisione tra “bambini”, “giovani”, “adulti”, “vecchi” che vige in questa società moderna: tutti siamo stati bambini, poi diventeremo giovani, poi magari adulti e chi vivrà di più anche vecchio, quindi ciascuno di noi solo illusoriamente crede di essere, in una certa fase, “giovane”, o “vecchio”, coi suoi specifici “problemi”, ai quali l’apparato pubblicitario mirato a creare sempre nuovi “bisogni”, dà certamente man forte. Nell’Islam non esiste quest’assurda parcellizzazione in fasce di età e la riprova la si ha nei gruppi di preghiera e meditazione, sotto la guida di maestri, che riuniscono uomini e donne di ogni età proprio perché la “domanda essenziale” è la stessa per tutti.
Questi sono solo alcuni degli innumerevoli spunti suscitati dal confronto tra le imposizioni, le violenze (quelle vere, che entrano nel profondo, altro che gli scontri di piazza!) della “vita moderna” e l’accettazione di una vita in sintonia coi ritmi della natura, di una natura che è sempre stata la stessa perché regolata da leggi immutabili. Attenzione, stiamo parlando dell’Islam, ma potremmo operare il confronto con qualsiasi tradizione sacra che postuli, come fa quella islamica, certo in forme diverse ma analoghe, che “non vi è altra divinità se non Allah”, ovvero il Principio che tutto ha creato, a cui tutte le cose appartengono e al quale tutte fanno ritorno. Che poi le varie società islamiche presentino difformità tra i principi e la realtà non deve costituire un pretesto, come fanno i professionisti dello scetticismo e della disillusione, per non impegnarsi a dare forma a una società a misura d’uomo, cosa che, con ogni evidenza, non interessa in alcun modo a chi difende i “nostri valori” quali l’iperproduzione, il “benessere”, il relativismo e il nichilismo. Quei “valori” non sono mai stati patrimonio di alcuna società sana, perché una società composta da persone che non credono a nulla se non a se stesse pone le premesse per una vita d’inferno, assaggio di quello che sperimenteranno dopo l’ineluttabile trapasso.
Ecco un’altra cosa che spaventa a morte chi s’è incaponito nel prendersela con l’Islam ad ogni occasione: la credenza nella vita dopo la morte. Gli stregoni della “modernità”, infatti, abbindolano gli uomini facendo credere loro che tutto si risolve qui, e che questa è la prima e l’ultima ‘occasione’ che abbiamo; quindi, “dopo di me il diluvio”, con conseguenze devastanti sia a livello spirituale, individuale, che d’ordine sociale. Anche questo è un unicum nella storia dell’umanità perché tutte le civiltà che ci hanno preceduto non hanno mai perso la fede nell’oggettività di una realtà celeste che trascende il piano meramente umano. Per cui la guerra dichiarata che i padroni dell’Occidente – i capi dell’usura che strozza l’esistenza degli uomini, sia come individui che come nazioni – hanno dichiarato all’Islam come concezione del mondo e sistema di vita, ma soprattutto come via verso la “salvezza” e, per i più puri (ecco la vera “gerarchia”!), verso la “liberazione”, ha l’obiettivo di confondere l’uomo, di non fargli capire chi realmente è e perché è stato creato, facendone un burattino in preda di una serie indefinita di pulsioni egoistiche che lo manderanno dritto verso la rovina. Gli esponenti del mondo della politica, quello dei media e quello della cultura vanno solo al carro di impulsi che non sono farina del loro sacco, anche se essi, boriosi come normalmente sono, ritengono un dovere sacrosanto mettere in guardia contro l’Islam e difendere “i nostri valori” perché è nel “nostro interesse”.
Il nostro interesse, invece, è capire che questa cosiddetta “civiltà” sta andando sparata come un treno senza macchinista verso la distruzione. Una distruzione di cui si vedono già le prime macerie delle frustrazioni, delle psicosi e delle crisi depressive, della violenza e della disgregazione sociale, della mancanza di un progetto di vita in comune in grado di porre finalmente l’uomo al centro, perché l’uomo deve appunto “centrarsi” per non fallire. Ma non l’uomo “troppo umano” delle varie ideologie fallimentari e delle filosofie – come quella dei “diritti umani” – che, sotto il velo del laicismo, lasciano intravedere i tentacoli di una visione del mondo invertita come i crocefissi dei satanisti; bensì l’uomo creatura divina, fatto a Sua immagine, la cui esistenza terrena è un’occasione unica ed irripetibile che è un peccato (in tutti i sensi) sperperare in cose ed aspirazioni futili che ad un momento che per tutti deve arrivare si riveleranno senza alcuna consistenza.
Con queste osservazioni, senza alcuna pretesa di completezza, si spera di aver posto una premessa chiara alla trattazione della questione dell’islamofobia; di aver fatto intendere quali ragioni profonde, più che quelle di ordine sociale, economico, culturale o politico, stanno alla base del pregiudizio e dell’ostilità dimostrate verso l’Islam dai fautori dell’Occidente e della “modernità”. In seguito, si spera di poter proseguire, nei dettagli, con la spiegazione del problema che – dovrebbe essere evidente – si risolve, per chi vive immerso in una crisi totale di riferimenti saldi e di valori, in un autogol, in una forma di autolesionismo simile a quella di chi, mentre affonda la nave, sceglie di mandare alla deriva anche le scialuppe di salvataggio perché così gli è stato suggerito di fare.
[1]
Pregiudizio ed ostilità sono, ovviamente, due cose distinte ma correlate. Il primo è un giudizio che prescinde da una reale conoscenza, la seconda è un sentimento di avversione che può tradursi in atti; sentimento di avversione che può nascere dal pregiudizio, ma anche – non siamo ipocriti al punto dal sostenere che ci deve per forza andare bene tutto – da una conoscenza approfondita!
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