Il ministro degli Interni Süleyman Soylu si è espresso con la consueta chiarezza: “Per l’Occidente le elezioni del 14 maggio equivalgono a un tentativo di colpo di Stato politico per togliere di mezzo la Turchia”. Una denuncia politica, che non incorpora di per sé una minaccia alla regolarità delle elezioni presidenziali e legislative turche, come qualcuno paventa. Un’affermazione che rappresenta invece l’attenzione dei Turchi per queste “elezioni del Centenario” e anche la loro importanza sul piano internazionale.

Le forze in campo si affronteranno il 14 maggio per le elezioni legislative e per il primo turno di quelle presidenziali e il 28 maggio, prevedibilmente, per il ballottaggio di quelle presidenziali. È estremamente difficile, infatti, che uno dei candidati raggiunga la maggioranza assoluta dei voti al primo turno.

Due i grandi schieramenti presenti: il Cumhur İttifakı (Alleanza del popolo), composto dai partiti di area governativa e da quelli fiancheggiatori: AKP (Adalet Kalkınma Partisi ), MHP (Milliyet Halk Partisi), BBP (Büyük Birlik Partisi), Yeniden Refah Partisi. L’altro grande schieramento, accredito nei sondaggi con un numero di voti pari o leggermente superiore al primo, è il Millet İttifakı (Alleanza della nazione), comprendente un gruppo eterogeneo di partiti: CHP (Cumhuriyet Halk Partisi), İyi Partisi, SP (Saadet Partisi), DP (Demokrat Partisi), Gelecek Partisi, DEVA (Demokrasi ve Atılım Partisi).

I candidati alla Presidenza della Repubblica dei due schieramenti sono rispettivamente Tayyip Erdoğan – presidente uscente – e Kemal Kılıçdaroğlu, storico esponente del partito kemalista-progressista CHP. A loro vanno aggiunti altri due candidati, senza alcuna possibilità di affermazione ma che potrebbero avere un ruolo importante al ballottaggio, dando ai loro elettori indicazioni di voto per Erdoğan o per Kılıçdaroğlu: sono Muharrem İnce (sostenuto dal Memleket Partisi, movimento fondato da scissionisti del CHP), che fu rivale di Erdoğan alle elezioni presidenziali del 2018, e Sinan Oğan, che ha il sostegno dell’Ata İttifakı (Alleanza primordiale, formazione scaturita da esponenti usciti dal nazionalista MHP, attualmente al governo).

Oltre ai partiti fin qui elencati ne figurano altri presenti alle elezioni legislative, ma senza alcuna concreta possibilità di superare la soglia di sbarramento minima (7% dei voti) per il conseguimento di deputati: ricordiamo fra questi il Vatan Partisi di Doğu Perinçek e il Sosyalist Güç Birliği İttifakı, che raggruppa alcune formazioni di estrema sinistra. Non si presenta, invece – e questo è un fatto assai rilevante – il partito di matrice curda HDP (Halk Demokrasi Partisi), che presenterà i propri candidati per il Parlamento nella nuova formazione Yeşil Sol Partisi e che soprattutto sosterrà la candidatura presidenziale di Kılıçdaroğlu.

Per una migliore comprensione delle forze in campo diamo qualche indicazione e approfondimento in più sulle stesse. Innanzitutto c’è da osservare l’eterogeneità, dianzi accennata, del “tavolo dei sei” dell’opposizione : il Millet İttifakı, infatti, è capitanata dal laico e progressista CHP – che ha imposto la candidatura di Kılıçdaroğlu, settantaquattrenne certamente privo di grande carisma ma con una carriera di fedelissimo del partito – cui si affiancano: a) lo storico movimento islamista Saadet Partisi; b) il liberale e occidentalista İyi Partisi; c) il Demokrat Partisi, piccola formazione di centrodestra; d) i movimenti Gelecek Partisi e DEVA, guidati da due celebri transfughi dei governi Erdoğan come Ahmet Davutoğlu e Ali Babacan. Infine c’è da considerare, come detto, l’esplicita presenza fiancheggiatrice dei curdi dell’HDP (in contrapposizione con gruppi curdi minori che invece appoggiano Erdoğan). Ne deriva insomma una problematica “accozzaglia” di espressioni politiche tenuta insieme soltanto dalla comune avversione per l’attuale presidente turco; il progetto – vincere le elezioni – potrebbe nondimeno andare in porto, con successive difficoltà di gestione della vittoria che il CHP di Kılıçdaroğlu tenterà di superare con una precisa parola d’ordine: apertura all’Occidente e ai suoi “valori”.

Più omogeneo è lo schieramento “governativo”: al partito di maggioranza relativo AKP e ai nazionalisti MHP e BBP si affianca lo Yeniden Refah Partisi, che copre le posizioni lasciate, con la fuga verso lo schieramento avversario, dal Saadet Partisi. Diretto dal figlio di Necmettin Erbakan, il celebre politico che fu vittima negli anni Ottanta e Novanta della repressione militare e giudiziaria quando il suo Refah era diventato addirittura – a un certo punto – il partito di maggioranza relativa, questo nuovo Refah è una forza islamica e antioccidentale non rilevante sul piano elettorale ma importante per la notevole base militante (oltre 250.000 membri). Come accennato in precedenza, anche gruppi minori filocurdi si affiancano allo schieramento erdoğaniano, così come – al ballottaggio – presumibilmente partiti come lo Zafer Partisi (ostile al neoliberismo e fautore della sovranità statale) e lo stesso eurasiatista Vatan Partisi dovrebbero portare acqua al mulino del Cumhur İttifakı.

Un esito di voto alquanto incerto, dunque, ma quali saranno i temi più importanti che orienteranno le scelte degli elettori ? Verosimilmente saranno – in ordine di importanza per la sensibilità degli elettori – il tema economico/sociale, quello della sicurezza e quello della sovranità/posizione internazionale della Turchia. Il primo soprattutto a causa dell’inflazione galoppante che si trasferisce sul costo della vita (pur in presenza di un’economia nazionale in crescita costante), il secondo che comprende la grave emergenza terroristica legata al PKK e anche l’enorme questione dell’immigrazione, specialmente dalla Siria, il terzo concernente le scelte internazionali della Turchia, il suo protagonismo che nell’era Erdoğan non è certo venuto meno. Logicamente i tre temi sono fra loro connessi, e in particolare il terzo sta a monte ed è determinante o quantomeno molto influente sugli altri due.

Non crediamo che possano influire sul voto la recente tragedia del terremoto né il malore accusato nei giorni scorsi dal presidente Erdoğan; in particolare il livello sconvolgente del sisma è stato tale da mettere da parte non determinate legittime critiche alle istituzioni ma certamente polemiche ingenerose e ideologiche. Un fatto singolare e significativo, però, è che sia nel caso del terremoto che in quello del malore di Erdoğan non sono mancate in Turchia nemmeno tanto larvate accuse di ingerenza occidentale (rispettivamente attraverso scosse provocate scientificamente e tentato avvelenamento). Obiettivamente mancano le prove di tutto ciò ma è appunto significativa la scarsa fiducia turca anche in questi casi nei confronti degli ambienti occidentali e atlantisti, unita alla consapevolezza che – come ha sostenuto il ministro degli Interni di Ankara, e torniamo all’inizio di questo articolo – “per l’Occidente queste elezioni equivalgono a un tentativo di colpo di Stato politico per togliere di mezzo la Turchia”.

L’importanza del voto turco è quindi indubbia dal punto di vista geopolitico: a un fronte di tipo realmente sovranista e fautore di un mondo multipolare se ne contrappone un altro disponibile al riallineamento occidentale. Ünal Çeviköz, capo consigliere per la politica estera del CHP, si è espresso al riguardo con diplomazia (è stato diplomatico di carriera) ma con chiarezza: il nuovo governo che succederà a Erdoğan dovrà “tornare sulla strada della democrazia” e dei “diritti umani”; sarà favorevole all’ingresso della Svezia nella NATO “rafforzando la sicurezza di un’organizzazione difensiva come la NATO”; quanto alla Russia, “le sue relazioni con la Turchia sono piuttosto asimmetriche, per l’attuale eccessiva dipendenza turca (…) Dobbiamo ricordare alla Russia che siamo un membro della NATO”.

Il curriculum del referente di politica estera del CHP è del resto significativo: nel 1989 come distaccato del ministero degli Esteri ha lavorato presso il Segretariato internazionale della NATO, prima alla Direzione dell’economia poi alla Direzione politica; nel 1993 ha conseguito il master in relazioni internazionali presso l’Università di Bruxelles; nel 1994 è stato incaricato di lanciare l’ufficio informazioni della NATO a Mosca, mentre negli anni successivi ha collaborato alla formazione dell’Atto istitutivo delle relazioni bilaterali fra NATO e Russia.


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Aldo Braccio ha collaborato con “Eurasia. Rivista di studi geopolitici” fin dal primo numero ed ha pubblicato diversi articoli sul relativo sito informatico. Le sue analisi riguardano prevalentemente la Turchia ed il mondo turcofono, temi sui quali ha tenuto relazioni al Master Mattei presso l'Università di Teramo e altrove. È autore dei saggi "La norma magica" (sui rapporti fra concezione del sacro, diritto e politica nell'antica Roma) e "Turchia ponte d’Eurasia" (sul ritorno del Paese della Mezzaluna sulla scena internazionale). Ha scritto diverse prefazioni ed ha pubblicato numerosi articoli su testate italiane ed estere. Ha preso parte all’VIII Forum italo-turco di Istanbul ed è stato più volte intervistato dalla radiotelevisione iraniana.