Descrizione
GEOPOLITICA E GEOSTRATEGIA
In un precedente contributo (“Nazionalismo neoliberista o integrazione eurasiatica”, in “Eurasia” 1/2019) l’autore del presente articolo ha già sostenuto la tesi secondo la quale il progetto cinese della Nuova Via della Seta possiede le potenzialità per determinare una vera e propria rivoluzione spaziale e geopolitica riaffermando il concetto schmittiano della terra come “madre del diritto” e ricostituendo il medesimo nesso fra diritto, tradizione e spazio. Di fronte ai reiterati tentativi “occidentali” di sabotaggio del progetto (attraverso la continua creazione di aree di crisi, dal Myanmar al Pakistan), l’obiettivo di questo lavoro è di approfondire le radici teoriche dell’idea di creazione di un Grossraum eurasiatico autosufficiente ed immune dall’interventismo nordamericano.
Nel concreto svolgimento delle relazioni interstatuali, i rapimenti internazionali posti in essere da organizzazioni estremiste rappresentano fattispecie divisive dell’unità d’azione della comunità degli Stati nel contesto della lotta al terrorismo. A fronte di quanti adottano una linea di condotta intransigente, un numero non trascurabile di Paesi, per quanto non ufficialmente, considera la trattativa con i sequestratori come una realistica alternativa. Ciò pone il dubbio, prima sul piano etico-morale e quindi su quello della legittimità giuridica internazionale ed interna, se sia, o meno, giusto pagare un riscatto per preservare la vita di un concittadino assumendo il rischio che il pagamento stesso finisca, però, per finanziare l’organizzazione terroristica.
Prosegue la serie di analisi sugli strumenti militari delle principali potenze del continente eurasiatico: dopo India, Giappone, Corea del Sud e del Nord, Cina ed Italia, parliamo della Federazione Russa attraverso la storia delle sue dottrine, strategie e cultura militari.
DOSSARIO: LA GEOPOLITICA DELLE SÈTTE
Sotto il nome generico di “protestantesimo” si raccoglie, negli Stati Uniti, una pletora di confessioni religiose che di spirituale hanno ben poco. L’antica intenzione di strutturare la società in senso autenticamente evangelico ha lasciato da tempo il posto alla determinazione di invadere l’ambito istituzionale, con la precisa volontà di orientare le scelte della politica interna ed estera. I risultati hanno fatto la storia degli ultimi vent’anni, e il futuro è ancora incerto.
Fra i nuovi movimenti religiosi provenienti dagli Stati Uniti d’America vi sono i Testimoni di Geova, che contano circa 8,6 milioni di adepti nel mondo e circa 250.000 di seguaci in Italia. Attivo in Italia fin dai primi anni del Novecento, il movimento fu ostacolato nelle sue attività dal governo fascista; ma in seguito alla vittoria degli “Alleati” e per effetto della Legge 18 giugno 1949, n. 385, che ratificò il Trattato di amicizia, commercio e navigazione fra il governo degli USA e quello di Alcide De Gasperi, i Testimoni di Geova, al pari di altri organismi religiosi acattolici, ottennero riconoscimento legale in quanto enti legali con sede negli Stati Uniti.
I due principali movimenti che hanno dato origine al cosiddetto “islam politico” sono il wahhabismo e il riformismo islamico. Dopo essersi occupato del wahhabismo nella prima parte del suo studio, l’autore affronta in questa seconda parte il tema del riformismo islamico, nato nel XIX secolo nelle logge massoniche orientali ricollegate alla massoneria francese e britannica.
Pensiamo di aver detto abbastanza per mostrare cosa valgono le dottrine dei Mormoni ed anche per far comprendere che, malgrado il loro carattere singolare, la loro apparizione non costituisce un fenomeno isolato. Molti aspetti di queste dottrine rappresentano tendenze che nel mondo contemporaneo si sono manifestate in diversi modi; nel loro sviluppo, esse si rivelano il sintomo piuttosto inquietante di uno squilibrio mentale che, se non si vigila attentamente, rischia di generalizzarsi. Gli Americani hanno fatto all’Europa, sotto questo aspetto, dei doni assai spiacevoli.
CONTINENTI
Al fine di comprendere le varie possibilità politiche di cui dispone l’Inghilterra e, quindi, la funzione che essa può e vuole ricoprire, è opportuno individuare la rappresentazione geopolitica (o rete di significato) tramite cui la classe dirigente inglese orienta la propria azione nel mondo e nei confronti dell’Europa. Il presente articolo, dopo aver mostrato l’importanza che l’immagine dello spazio esercita sull’agire di un attore politico, mostra come l’Inghilterra, nel suo tentativo di rilanciare l’ormai perduta dimensione globale, abbia essenzialmente due scelte: o ripensarsi all’interno di una dimensione euro-continentale e quindi collocarsi in un impero europeo, o coltivare una relazione speciale, ma subordinata, con gli Stati Uniti. La rappresentazione geopolitica inglese dominante sta chiaramente spingendo l’Inghilterra verso la seconda scelta, riducendola ad “aerodromo” statunitense sul fianco occidentale dell’Europa.
Il grande gioco afghano vede protagoniste tutte le maggiori potenze dell’Eurasia e il loro sfidante storico (con sede prima a Londra e poi a Washington). In una lotta che appare sempre più complessa, vi è però una nazione chiave per gli equilibri di tutta la regione: il Pakistan. Elemento cardine della “Terra dei puri” sono i suoi servizi segreti, il famigerato ISI, diviso al suo interno tra un’ala filostatunitense e un’ala filocinese, ma la cui sintesi politica finale corrisponde all’interesse nazionale del Paese. Contrappeso indispensabile o miccia per la destabilizzazione dell’Afghanistan, comunque le carte decisive di questa partita verranno date ancora una volta da Islamabad.
Quella sul Nagorno-Karabach è senza dubbio la più lunga e sanguinosa delle dispute che hanno coinvolto lo spazio ex sovietico dopo la dissoluzione dell’URSS. Una disputa che, al pari di molte analoghe, ha le sue radici nell’epoca presovietica e vede il coinvolgimento di considerazioni culturali, religiose, geopolitiche ed economiche. Perché l’Azerbaigian ha vinto l’ultima guerra e quali sono le prospettive future.
La recente dipartita del presidente tanzaniano John Pombe Magufuli ha alimentato, tra gli osservatori ed analisti internazionali, un acceso dibattito sui possibili rivolgimenti che un cambio di dirigenza potrebbe sortire sulla politica estera del Paese, specialmente verso la Cina, con cui la Tanzania ha intessuto relazioni strettissime sin dall’epoca di Nyerere. Il presente articolo si cura di esaminare le origini storiche nonché l’evoluzione, nel contesto internazionale della Guerra Fredda fino ai giorni nostri, dell’approccio del Paese africano verso l’estero in generale e, più nello specifico, verso Pechino. L’asse stabilito con Dodoma è, infatti, fondamentale per la Repubblica Popolare, che sente oggi la necessità di rafforzare la propria Via della Seta Marittima e la propria posizione economica fra gli Stati della Comunità dell’Africa Orientale (EAC). A ciò, peraltro, risponde l’imperativo cinese di proseguire e concludere un insieme di imponenti progetti infrastrutturali dall’elevato valore strategico.
DOCUMENTI
Il 17 aprile 1311 Dante scrisse questa Epistola VII all’Imperatore Arrigo VII, che in Lombardia cercava di assicurarsi il controllo dei Comuni infidi o ribelli, sollecitandolo a rompere gl’indugi e a dirigersi verso Firenze per estirpare alla radice la rivolta antimperiale. – Traduzione di C. Mutti, eseguita sul testo latino stabilito da Manlio Pastore Stocchi in: Dante Alighieri, Epistole – Ecloge – Questio de situ et forma aque et terre, Editrice Antenore, Roma-Padova MMXII.
Jean Thiriart, La paix américaine : la paix des cimetières, “La Nation Européenne”, 15 Sept. 15 Oct. 1966.
RECENSIONI E SCHEDE
Maria Morigi, La perla del drago. Stato e religioni in Cina (Luca Baldelli)
Maria Morigi, Afghanistan. Storia, geopolitica, patrimonio (Daniele Perra)
Rod Dreher, The Benedict Option (Francisco de la Torre)
Apollonio di Tiana, Epistole (Adelaide Seminara)
Alain de Benoist e Julien Freund, Il mare contro la terra. Carl Schmitt e la globalizzazione (Juan de Lara Vazquez)