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LXXVII – I tre fronti

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La nuova amministrazione del paese egemone dell’Occidente si troverà impegnata su tre fronti principali: Russia, Vicino Oriente, Asia orientale. Quanto al primo fronte, l’incombenza di occuparsene (in Ucraina e altrove) sarà probabilmente scaricata sull’Unione Europea, mentre per quanto riguarda il secondo fronte gli USA e Israele faranno il possibile per distruggere l’Asse della Resistenza. Quanto al terzo fronte, Washington cercherà di creare un’alleanza militare per sostenere Taiwan contro le legittime aspirazioni di Pechino.

Descrizione

GEOPOLITICA E GEOSTRATEGIA

Tra il 17 e il 18 settembre due ondate di attacchi esplosivi, una dopo l’altra, operate tramite di migliaia di dispositivi elettronici acquistati dal movimento libanese Hizbullah per i propri quadri e militanti, hanno causato diversi morti e migliaia di feriti, bloccando le strutture ospedaliere di Beirut. Che cosa significa tutto ciò, oltre la cronaca? Perché l’ennesimo episodio dell’ormai secolare conflitto arabo-sionista assume un significato particolare nel quadro della guerra di oggi?

DOSSARIO | I TRE FRONTI

Finita l’era democratica di Biden, sta per iniziare quella repubblicana di Trump: il mondo si chiede se cambierà qualcosa nella politica estera americana. Forse sì, per quanto riguarda la situazione russo-ucraina. Sicuramente no per quanto riguarda la questione palestinese, che anzi potrebbe costituire il casus belli ideale per un’azione di forza degli Stati Uniti nella regione, allo scopo di impossessarsi del petrolio mediorientale.

La vittoria elettorale di Trump è stata accompagnata dalla promessa di concludere una volta per tutte il conflitto in Ucraina, che ormai perdura da oltre dieci anni. Il Piano Trump, ancora non ufficiale, è stato tuttavia accompagnato da una serie di indiscrezioni, ed è stato probabilmente discusso anche da Orbán nei suoi incontri dello scorso luglio. Ma quali sono le possibilità che si giunga realmente alla pace?

Ancora oggi, con la sua ricchezza in termini di risorse naturali e la sua centralità geostrategica, il Vicino Oriente (o Asia occidentale) possiede una rilevanza cruciale nel processo di trasformazione dell’ordine globale verso forme multipolari. Tale processo, tuttavia, vedrà inizialmente la creazione di due blocchi distinti (un “bipolarismo debole”, secondo l’espressione del geopolitico russo Sergej Karaganov): da un lato l’Occidente (che rimarrà saldamente nelle mani del binomio USA-Israele, con un Europa sempre più marginalizzata), dall’altro una “Grande Eurasia” costruita attorno a tre attori principali (ed “imperiali”), individuabili in Russia, Cina ed Iran. In questo contributo si cercherà di comprendere in quale modo i due “poli” si rapporteranno e si confronteranno, tra progetti divergenti, proprio nella suddetta regione, anche alla luce delle spinte espansioniste di Tel Aviv nei confronti dei Paesi vicini e del latente conflitto Iran-Israele.

L’articolo prende le mosse dall’evento terroristico del 23 ottobre 2024, ossia la strage provocata dall’attacco alla sede dell’ente pubblico dell’industria aerospaziale turca: un esempio di guerra portata entro i confini del proprio territorio nazionale che conferma il ruolo destabilizzante di un PKK sempre più infiltrato da forze internazionali, come denunciato da Erdoğan. Dopo tale premessa si esamina la posizione della Turchia rispetto agli scenari di guerra, quelli in cui i conflitti sono in corso – Vicino Oriente e Ucraina/Russia – e quello incombente che riguarda la Cina e Taiwan. Del conflitto nel Vicino Oriente due aspetti sono particolarmente rilevanti quando si parla di Turchia: l’embargo decretato da Ankara nei confronti di Israele e il fondamentale tentativo di rilancio dell’intesa fra Siria e Turchia, perseguito con lungimiranza dalla Federazione Russa. Tale intesa è necessaria e auspicabile anche alla luce dell’attacco terroristico di Hayat Tahrir al-Sham alla città di Aleppo (fine novembre/inizio dicembre 2024). Per quanto concerne il conflitto fra Mosca e Kiev, la posizione turca è però alquanto incerta nella sostanza: da una parte Ankara rifiuta di aderire alle sanzioni contro la Russia e chiede di entrare nei BRICS, dall’altra fornisce armi (in particolare droni) all’Ucraina e disconosce l’appartenenza della Crimea (e di altri territori russofoni) alla Federazione Russa. Più stabile è la posizione turca sulla questione taiwanese, in quanto Ankara riconosce pienamente il principio di una sola Cina comprendente anche Taiwan; del resto l’intesa fra Cina e Turchia, già operativa, non è stata incrinata neppure dall’artificiosa propaganda atlantista a proposito della cosiddetta “questione uigura” e del Sinkiang.

Un’analisi storica e politica della contesa su Taiwan: dalle origini coloniali alle tensioni odierne tra Cina e Stati Uniti, nel delicato equilibrio della politica internazionale. Mentre gli Stati Uniti, cercando di creare un’alleanza militare per sostenere militarmente Taiwan, provocano grave turbamento nell’Asia-Pacifico, l’approccio pacifico della Cina contribuisce alla stabilità regionale e globale, cosicché Pechino viene sempre più vista come un punto di riferimento dai Paesi del Sud globale.

La Camera dei Rappresentanti americana approva, tramite un convinto sostegno bipartisan, il disegno di legge denominato “Countering the PRC Malign Influence Fund”, che prevede lo stanziamento di circa due miliardi di dollari nei prossimi cinque anni a favore di quelle istituzioni a stelle e strisce che da sempre costituiscono il braccio armato del soft power americano. Lo scopo è di affrontare frontalmente quella che viene definita “maligna propaganda cinese” e allo stesso tempo mantenere la presa sull’Europa.

Volontà di potenza, solipsismo collettivo, perfezione patologica. La terra del Sol Levante di nuovo davanti alla Storia. L’ennesimo adattamento di uno dei popoli più capaci dell’intera umanità. Shōbu e Nintai plasmano il presente e forse anche il futuro. Un nuovo scenario tra Oceano Pacifico e Oceano Indiano alla ricerca di influenze storiche incatenate a problemi interni ed esterni.

L’approccio statunitense nei confronti dell’Iran dopo la Rivoluzione del 1979 è sempre stato ostile. Washington non ha mai rinunciato al suo obiettivo macrostrategico: cambiare la prassi e la natura dell’ordinamento iraniano e rovesciare la Repubblica Islamica. Col succedersi delle amministrazioni statunitensi, sono stati apportati cambiamenti significativi e tangibili alle modalità di attuazione di questa strategia. I governi democratici hanno spesso fatto ricorso, contro l’Iran, al cosiddetto “softpower” e all’orchestrazione di un consenso internazionale, mentre i repubblicani hanno spesso perseguito il loro obiettivo scegliendo un approccio aggressivo e adottando misure dure, anche se per lo più hanno fallito. Utilizzando il metodo analitico-descrittivo basato su fonti scritte e disponibili in rete e passando in rassegna le strategie e le azioni antiraniane dei governi statunitensi del periodo seguito alla Rivoluzione, in particolare quelle dei governi Trump e Biden, cercheremo di rispondere alle seguenti domande: quale linea di condotta verrà adottata contro l’Iran dal futuro governo degli USA? Quali strategie e quali azioni dovrebbe adottare la Repubblica Islamica, importante attore nella regione e in molti casi attore internazionale, per affrontare l’approccio ostile della Casa Bianca?

Il gruppo iraniano Mojahedin-e Khalq nacque in opposizione alla dinastia Pahlavi, poi combatté contro la Repubblica nata dalla Rivoluzione del ’79 e, infine, si alleò con l’Iraq nella guerra 1980-1988. Incluso nelle liste ONU delle organizzazioni terroristiche dagli anni Ottanta e depennato nel 2012 grazie alle sue ingenti risorse provenienti da riciclaggio di denaro, traffico di droga, armi e altro, ora gode di un “ombrello politico” (Consiglio nazionale della resistenza iraniana-CNRI) e della protezione internazionale grazie all’interessamento di ex ambasciatori e parlamentari. La leader Maryam Rajavi, presidente in pectore del futuro “Nuovo Iran” auspicato dall’Occidente, è accolta con favore in sedi ufficiali. Un trattamento simile a quello riservato al World Uyghur Congress, quando la Cina era accusata di reprimere i diritti umani in Xinjiang.

INTERVISTE

Intervista a S.E. Mohammad Reza Sabouri a cura di Daniele Perra.

DOCUMENTI

Discorso tenuto alla Camera il 16 marzo 1949 dall’on. Giuseppe Di Vittorio, deputato del gruppo comunista e segretario generale della Confederazione del Lavoro. Di Vittorio aveva presentato il seguente ordine del giorno: “La Camera, considerato 1) che il bene supremo di tutti i popoli è la pace; 2) che l’esperienza storica dimostra che tutte le coalizioni militari conducono alla guerra e che, in particolare, il Patto Atlantico non può avere altro scopo che quello di scatenare una nuova guerra mondiale; 3) che l’adesione dell’Italia al progettato Patto Atlantico trascinerebbe il Paese in una guerra di aggressione imperialista e di classe del grande capitalismo americano contro l’Unione Sovietica, in una guerra, cioè, ingiusta e contraria agli interessi nazionali ed alla stessa indipendenza dell’Italia; 4) che l’Italia ha bisogno di pace, di lavoro, di giustizia sociale e di riforme strutturali che la rinnovino e le permettano di dar lavoro ai suoi tre milioni di disoccupati e di garantire un maggiore benessere al popolo; 5) che il popolo italiano ha manifestato in tutti i modi la sua ferma volontà di essere in pace con tutti i popoli e che perciò non vuole aderire a nessun patto militare; delibera di dar mandato al Governo di respingere ogni richiesta di adesione, diretta od indiretta, al Patto Atlantico e di proporre un Patto di pace, permanente, dell’Italia con tutti i Paesi. 

Carlo Terracciano (1948-2005) fece parte della redazione di “Eurasia” fin dalla fondazione della rivista, sulla quale, prima di essere stroncato da una morte prematura, pubblicò quattro articoli. Su Terracciano, cfr. Claudio Mutti, Carlo Terracciano, redattore di “Eurasia” (“Eurasia”, 1/2021, pp. 19-24) e Idem, Introduzione a: C. Terracciano, L’Impero del cuore del mondo, Edizioni all’insegna del Veltro, Parma 2013. Il testo che riproduciamo, rimasto inedito, risale al 2001.

Viene qui riproposto, a cinque anni dalla sua pubblicazione, il contributo del direttore di “Eurasia” al volume collettaneo Inganno Bannon (CinabroEdizioni, Roma 2019).

Da Les 106 réponses à Mugarza. Da questa intervista inedita, che Jean Thiriart rilasciò nel 1982 allo scrittore spagnolo Bernardo Gil Mugarza, vengono qui tradotte, nell’ordine, le domande 33, 31, 32, 35, 36, 40, 41, 42, 28, 106, 27 con le relative risposte.

RECENSIONI E SCHEDE

Pietro Mander, Dante tra Caucaso, Iran e Babilonia (Filippo Mercuri)

Daniele Perra, La dottrina Soleimani (Ernesto Giunchi)

AA. VV., Verso un’Europa superpotenza (Adelaide Seminara)

Constantin Von Hoffmeister, Trumpismo esoterico (Adelaide Seminara)

Sayyed Ali Khamenei, Cella n. 14 (Daniele Perra)

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