Descrizione
DOSSARIO: I LUOGHI SANTI
La natura dei culti eroici e divini praticati lungo la Via Sacra per Eleusi si giustifica in particolar modo con la processione dei Grandi Misteri. Ai sepolcri ed agli heroa, legati alle vicende del territorio o alle pratiche misteriche, si frappongono santuari di vario genere e grandezza. Fornendoci informazioni preziose sulla topografia eleusina, Pausania ci accompagna fino ai templi di Trittolemo, di Artemide Propilea e di Poseidone sul piazzale antistante al peribolo.
Varanasi, situata sulla riva sinistra del Gange, è la città sacra dell’India per eccellenza; essa è una delle mete di pellegrinaggio principali non solo per gli indù, ma anche per i buddhisti ed i giainisti. Nel corso dei secoli Varanasi ha subito diverse trasformazioni e devastazioni, ma rimane ancora oggi un centro nevralgico e un simbolo dell’induismo ortodosso, data la presenza di importanti e numerosi luoghi di culto. Qui vengono compiute le abluzioni sacre e vengono cremati nel fuoco purificatore i defunti per poi essere dispersi nel Gange. La parola più adatta a descrivere il senso profondo di Varanasi è il termine sanscrito “tirtha”, che, usato per indicare un luogo sacro di pellegrinaggio, letteralmente significa “guado”: evidente allusione al passaggio dalla dimensione materiale a quella spirituale.
L’argomento dei luoghi sacri e dei centri spirituali è alquanto complesso. A tale categoria si possono ricondurre chiese, templi, santuari e, in genere, edifici destinati alla pratica cultuale, ma anche monumenti storici, luoghi in cui operarono personalità dotate di grande carisma che influenzarono il corso della storia. Molti di questi luoghi sono intimamente inseriti nella cultura e nella nazionale, nonché nei processi geopolitici in atto, mentre altri restano proprietà di comunità locali e costituiscono l’oggetto di studi particolari. Data la specifica natura di “Eurasia”, questo articolo si limita ad una sintetica trattazione dell’argomento.
C’è un luogo, nell’Europa occidentale — anzi quasi alle estreme propaggini della penisola europea — che mantiene intatto il suo fascino nei secoli. Si trova a poca distanza da dove, fino alla fine del Medio Evo, le genti del continente eurasiatico credevano finisse il mondo: in Galizia, la verde terra iberica dalla costa frastagliata di fiordi che ne fa una più dolce Scandinavia, affacciata sull’oceano Atlantico. Quel luogo è Santiago de Compostela.
Le scuole di scienze religiose, i mausolei e le tombe dei santi sono il cuore della spiritualità sciita. La forza geopolitica dell’Islam sciita nel XXI secolo è dovuta principalmente all’influenza esercitata dalle “hawza”, le scuole teologiche. I luoghi sacri della Scia si trovano in paesi quali Iran, Iraq e Siria; non è perciò un caso che oggi l’influenza politica sciita si eserciti maggiormente in queste aree del Vicino Oriente.
C’è nell’Anatolia sudorientale – in territorio turco, ma molto vicino alla Siria – un’area geografica in cui i segni dell’uomo risalgono ad epoche per noi antichissime, scanditi da costanti riferimenti alla dimensione del Sacro: Harran, Göbekli Tepe, Urfa. Quest’ultima località in particolare sembra meritare veramente l’appellativo di “città santa” o “città divina”, in particolare per gli importanti richiami alla figura del Profeta Abramo, l’Amico di Dio. Sono comunque tanti i riferimenti di carattere religioso presenti in questa regione, la cui visita rimane indimenticabile per molti motivi.
La Ka’bah, fulcro di riferimento religioso e spaziale dell’Islam, ha una connotazione simbolica molto più profonda, che conduce direttamente al punto centrale della geografia sacra universale. Qui il retaggio adamitico e le componenti del culto monoteistico dell’epoca di Abramo si uniscono alla tradizione apportata da Muhammad, Inviato di Allâh e Sigillo dei Profeti. Questo legame con gli albori dell’umanità fa della Ka’bah il centro della sacralità del mondo e non soltanto un centro religioso. Ma da quando l’ideologia wahhabita, ferocemente avversa all’Islam tradizionale, ha preso il sopravvento politico e religioso, i luoghi sacri più cari ai musulmani, come Mecca e Medina, sono divenuti oggetto di trasformazioni radicali. Le colonne della moschea che circondava la Ka’bah sono state demolite e le macerie gettate nel Mar Rosso; per dare spazio a grattacieli, alberghi di lusso e megacentri commerciali sono stati demoliti interi quartieri e siti storici come la dimora di Khadigia e quella di Abu Bakr as-Siddiq, come la storica moschea di Abu Qubais e il forte ottomano di al-Ajyad. Presto la casa stessa in cui nacque il Profeta subirà la stessa sorte.
DOSSARIO: LO “STATO ISLAMICO”
La recente proclamazione dello “Stato Islamico dell’Iraq e del Levante” (DAESH secondo l’acronimo arabo, ISIL o ISIS secondo quelli inglesi) e l’avanzata delle sue truppe verso il Curdistan iracheno e verso la stessa Bagdad hanno fatto gridare ad una nuova minaccia globale i politici occidentali, a partire dal presidente statunitense Obama, e, al seguito, i media occidentali. Ma le vicende del Vicino Oriente, a partire dalla tragedia in corso in Siria, consigliano di evitare precipitose conclusioni. Alcune costanti della storia recente potrebbero essere tutt’altro che superate e potrebbero inserirsi nel “caos costruttivo” dei conflitti volti a ridisegnare gli equilibri nella regione secondo intenzioni che restano inconfessabili alle opinioni pubbliche occidentali. Tra queste costanti vi è l’alleanza tra l’imperialismo americano e l’islamismo reazionario gihadista sponsorizzato dagli emiri del Golfo.
Il cosiddetto “Stato Islamico in Iraq e nel Levante”, col suo caricaturale “Califfato” proclamato a Mossul, è un fenomeno teologicamente estraneo all’Islam; esso affonda le proprie radici ideologiche in quell’eterodossia wahhabita che da tempo contamina l’Islam sunnita. Così come altre fazioni addestrate ed armate dalle democrazie occidentali, anche il sedicente “Stato Islamico” rientra nella forma più radicale rivestita da tale eterodossia.
Nel Vicino Oriente sta nascendo un nuovo Stato, nel furore e nel sangue: lo “Stato Islamico”. Nessuno sa se durerà, come evolverà e dove si fermeranno le sue frontiere. Coi suoi bombardamenti teoricamente mirati, la coalizione militare istituita dagli Stati Uniti tenta, a quanto pare, di contenerlo entro un quadro predefinito, ritardando il momento in cui essa dovrà intervenire sul terreno. I gihadisti attendono solo questo momento. Secondo loro, una nuova guerra in Mesopotamia – Iraq, Siria – permetterà loro di radicarsi stabilmente nel Vicino Oriente e di promuovere nel mondo musulmano la loro particolare interpretazione del Corano e degli hadith.
La presenza del cosiddetto “Califfato” a cavallo tra Siria e Iraq, lungi dal rappresentare un nostro “problema interno”o una seria “minaccia” militare, potrebbe rappresentare il detonatore di un conflitto su larga scala dagli effetti devastanti. Anche per gli stessi occidentali, impazienti – stando ad alcune autorevoli dichiarazioni – di gettarsi nella battaglia, ma alle prese con l’inadeguatezza delle loro Forze Armate di terra ed una mentalità scarsamente propensa ad impiegare la fanteria per gli evidenti rischi che ciò comporta. La ricerca di truppe locali “fedeli” all’Occidente da impiegare sul terreno potrebbe riservare sorprese per tutti.
Nella macroregione definita “Medio Oriente” in base alla prospettiva atlantista molte delle problematiche ancora irrisolte affondano le loro radici negli assetti ereditati dalla Prima Guerra Mondiale, come conseguenza della disintegrazione dell’Impero Ottomano. Gli interessi contrapposti di Francia e Gran Bretagna, il progetto coloniale sionista, il nascente nazionalismo arabo e la scoperta di giacimenti petroliferi: ecco gli elementi principali dai quali ha preso forma quella che oggi appare come la più drammatica area di instabilità nel bacino del Mediterraneo allargato.
DOCUMENTI
Il libro dell’assiriologo Joachim Menant (1820-1899) è stato ripubblicato quest’anno a Parigi dall’editore Érick Bonnier con un titolo diverso dall’originale: Les Yézidis. Ceux que l’on appelait les Adorateurs du Diable. La nuova edizione reca una prefazione di Gilles Munier, collaboratore di “Eurasia”, che da oltre quarant’anni frequenta l’Iraq e tra il 1995 e il 2003 si è recato più volte nel territorio degli Yazidi, in particolare a Sinjar ed a Lalesh. Lalesh, nel Curdistan iracheno, è la città santa degli Yazidi, poiché agl’inizi del XII secolo vi si ritirò lo sheykh Adi ibn Musâfar al-Umawi, da loro venerato. Dal libro di Joachim Menant viene qui tradotto il capitolo XV, Vallée de Sheikh-Adi.
Da: Carlo Alfonso Nallino, Raccolta di scritti editi e inediti, vol. I: L’Arabia Sa’udiana, Istituto per l’Oriente, Roma 1939, pp. 177-179.
Nei giorni 15, 16 e 17 dicembre del 1981 si tenne a Roma un Colloquio Internazionale su Gerusalemme, promosso ed organizzato dall’Associazione d’Amicizia Italo-Araba. Tema del colloquio: “La comunità internazionale di fronte all’occupazione della città simbolo di pace e di giustizia”. Erano presenti circa cinquecento personalità politiche e culturali europee ed arabe, delegazioni di Stati del Nordafrica e del Vicino Oriente, esponenti dell’OLP, dell’Organizzazione della Conferenza Islamica, della Lega degli Stati Arabi, giornalisti e operatori radiotelevisivi di vari paesi, diplomatici ed ecclesiastici. Viene qui riportato il testo dell’intervento di Shaykh Ibrahim al-Qattan, presidente dei tribunali sciaraitici del Regno di Giordania.
Da: “Time”, 16 ottobre 1989. Trad. it. di M. Blondet in I fanatici dell’Apocalisse. Ultimo assalto a Gerusalemme, Il Cerchio, Rimini 2002, pp. 147-150.
ATTACCO ALLA RUSSIA
L’attuale crisi ucraina va compresa a geopolitico e a livello storico. A livello geopolitico, chiare sono le responsabilità degli Stati Uniti, che stanno tentando una gigantesca manovra a tenaglia, contro Russia e Cina, per ostacolarne l’ascesa economica, politica e militare. In particolare, la conquista violenta dell’Ucraina, alla vigilia della formazione dell’Unione doganale euroasiatica, mira ad impedire la ricostruzione del potere imperiale di Mosca sulle ex Repubbliche sovietiche. A livello storico, lo scontro in atto sul Donbass assume un significato più profondo e più drammatico. Il popolo russo e quello ucraino hanno origine in un unico spazio di civiltà: il Rus’, l’antico Granducato di Kiev, che dopo l’invasione tatara del 1240 si è spaccato nei tronconi “grande russo”, bielorusso e ucraino. Se Ucraini e Bielorussi sono stati incorporati dalla cattolica Polonia, il sentimento unitario del Rus’ è sempre stato vivo presso i “Grandi Russi”, per i quali la rottura con Kiev è inammissibile. Ma esiste anche un forte sentimento indipendentista nelle regioni ucraine dell’estremo Ovest, soggette al Papato di Roma fin dal 1596. La situazione si complica quando nasce l’Ucraina sovietica, che incorpora l’Ovest agrario e nazionalista e l’Est industrializzato e russofono.
La dissoluzione dell’Unione Sovietica ha posto fine alla guerra fredda, ma non ha fatto cessare gli scontri geopolitici nello scenario eurasiatico; un’altra “guerra” è scaturita per l’egemonia dello spazio territoriale corrispondente all’ex blocco sovietico. Le vicende ucraine, oltre a rientrare nella lotta per il controllo dell’area ex sovietica, mostrano come l’eterna lotta tra le potenze di “mare” e le potenze “di terra” perduri anche dopo il tramonto dell’ideologia comunista e la scomparsa delle differenze ideologiche tra Oriente ed Occidente. In questo “grande scacchiere”, l’Ucraina, a causa della sua posizione geografica e delle sue caratteristiche culturali, etniche e storiche, ha assunto un ruolo centrale. Mackinder, il padre della geopolitica moderna, all’inizio del ventesimo secolo descriveva così questa centralità: “Chi controlla l’Europa orientale comanda l’Heartland, chi controlla l’Heartland comanda l’Isola Mondo, chi controlla l’Isola Mondo controlla il mondo intero”.
È stato spesso affermato che le tensioni in corso tra Russia e Occidente costituiscono il principio di una nuova Guerra Fredda. Le affinità con quell’epoca, dopo tutto, non mancano, né manca il rischio che queste tensioni assumano un carattere permanente. Tuttavia il paragone più diretto non è con la Guerra Fredda, bensì con il Grande Gioco: le tensioni in corso in Ucraina, nelle quali nazionalismi e differenze culturali svolgono un ruolo tutt’altro che marginale, hanno molti più punti in comune con la crisi balcanica degli anni Settanta dell’Ottocento che non con qualsiasi episodio degli anni del bipolarismo globale.
L’ingresso dell’Ucraina nell’Unione Europea e la sua prevedibile integrazione nella NATO sono vie che devono condurre al progettato indebolimento della Federazione Russa. Questa politica di indebolimento comincia con la demonizzazione e il discredito che colpiscono la sua classe dirigente. Pur essendo ancora lungi dall’aver conseguito i loro obiettivi, gli occidentalisti contano di realizzare ben presto la marginalizzazione economica e diplomatica della Russia, prima di ridurla – quando le opposizioni liberali e filooccidentali avranno sconfitto la dirigenza attuale – alla condizione di semplice fornitrice di energie fossili del mercato mondializzato.
RECENSIONI
Florian Mühlfried, Being a State and States of Being in Highland Georgia (V. Simeoni)
Mahdi Darius Nazemroaya, La globalizzazione della NATO (A. Iacobellis)
Renato Pallavidini, Problemi di critica hegeliana in Italia (D. Ragnolini)