L’autrice di questo saggio, che attualmente dirige l’École des Hautes Etudes en Sciences Sociales, è nata in Turchia ed ha insegnato all’Università del Bosforo di Istanbul, per cui può considerarsi qualificata per affrontare da una duplice prospettiva il rapporto tra l’Islam e l’Europa. D’altronde essa ritiene che il suo Paese d’origine, esempio di quotidiana coesistenza di tradizione e modernità nell’ambito privato e in quello sociale, svolga “un ruolo importante in questa conversazione tra civiltà, perché sin dall’abolizione del califfato e dalla svolta laicista di Atatürk (…) ha rappresentato un’importante posta in gioco, non solo per l’Europa, ma anche per il mondo arabo e musulmano” (p. 33).
La relazione tra l’Islam e l’Europa, a parere di Nilüfer Göle, richiede una necessaria ridefinizione del rapporto con la modernità. Da parte dei musulmani si tratta di “identificarsi con la modernità senza rinunciare all’Islam, come fanno i laici in Turchia”, mentre l’Europa deve “riflettere criticamente sulla sua definizione di modernità”, basandosi sulla propria capacità di “creare una relazione con l’Altro, lo straniero, una capacità che a sua volta è sinonimo di democrazia” (p. 172).
Ci sia consentito di dire che una proposta di questo genere evidenzia la sua fondamentale debolezza proprio per via del richiamo a due principi che vengono ritenuti obbligatori ed irrinunciabili: nella fattispecie, la laicità e la democrazia.
Per quanto riguarda la laicità, non sarà fuor di luogo ricordare che in origine il termine “laico” (dal greco laikós, “volgare”, “profano”) si contrappone propriamente a “chierico” (col significato di “dotto”) e designa perciò l’individuo ignorante, sicché risulta più che fondata questa osservazione di Guénon: “certa gente, che nella nostra epoca si vanta di essere ‘laica’, insieme con quella che si compiace di dirsi ‘agnostica’ (e spesso si tratta delle stesse persone), non fa altro che gloriarsi della propria ignoranza; e questa ignoranza deve essere in effetti molto grande e veramente irrimediabile, se non si accorge che tale è il significato delle etichette di cui si fregia”. Tuttavia, anche se intesa nel significato corrente di separazione della politica dalla religione e di estraneità dello Stato rispetto alle questioni religiose, la nozione di laicità risulta del tutto incompatibile con la cultura islamica, in quanto secondo quest’ultima la legge dello Stato deve fondarsi sulla giurisprudenza sciaraitica, che a sua volta procede dai principi insiti nel Corano e nella Sunna profetica. A questo proposito sarebbe il caso di osservare che uno Stato musulmano comunemente considerato “laico”, ossia la Siria, smentisce in maniera incontestabile tale qualifica laddove proclama, nel suo stesso dettato costituzionale, che fonte principale della legislazione è il diritto islamico e che il presidente deve professare la religione musulmana.
Quanto poi alla democrazia, la sua incompatibilità con l’Islam appare evidente non solo dalla storia del mondo musulmano, ma dallo stesso testo coranico, che della democrazia nega esplicitamente il fondamento individualistico ed egualitario: “Sono forse ritenuti uguali il cieco e colui che vede, o sono forse ritenute uguali le tenebre e la luce?” (Cor., XIII, 17).
Logiche quindi le conclusioni che vengono tratte da Luciano Pellicani (Jihad: le radici, Roma 2004, pp. 66-67) in ordine alla questione del rapporto tra Islam e democrazia: “La stessa idea – così tipica della moderna democrazia liberale -, secondo la quale la legge è cosa fatta dagli uomini, non può non risultare blasfema per chi, come i musulmani ortodossi, considerano il ‘potere legislativo riservato a Dio’ (Khomeini, Il governo islamico) e, conseguentemente, vedono nel diritto la Parola Divina (Kalam Allah), di fronte alla quale è concepibile un solo atteggiamento: l’obbedienza senza riserve – l’islam, per l’appunto. Donde il rifiuto dell’individualismo (…) valore fondamentale della civiltà occidentale”.
Proporre come condizione del rapporto tra l’Europa e l’Islam l’assimilazione di quest’ultimo alla modernità equivale perciò a proporre la deislamizzazione dell’Islam; così come identificare l’Europa con l’Occidente, secondo una sinonimia che nel libro di Nilüfer Göle viene data per scontata, significa alterare l’identità dell’Europa. Un risultato, questo, di cui l’autrice sembra d’altronde ben consapevole, poiché in maniera esplicita e brutale essa sostiene che sia l’Europa sia l’Islam devono superare “le loro fissazioni sull’identità culturale” (p. 34).
In che modo dunque l’Europa e l’Islam potrebbero impostare una relazione benefica per entrambi, capace di preservare la loro specificità senza annullarla nel tritatutto della modernità occidentale?
Come alternativa alla ricetta eutanasica sintetizzata più sopra, vogliamo ricordare la proposta formulata trentacinque anni or sono in un saggio che reca lo stesso titolo di quello scritto da Nilüfer Göle: Islam ed Europa di Antonio Medrano (Quaderni del Veltro, 1978). L’autore spagnolo puntava ad un’intesa euroislamica fondata su principi diametralmente opposti a quelli contenuti nell’omonimo libro della Göle, illustrando il suo progetto con una chiarezza che non è oscurata dal pathos e dalla retorica dell’esposizione:
“Non occidentalizzazione e modernizzazione dell’esistenza, – scriveva Medrano – non ripudio della propria tradizione celeste; ma islamizzazione, rivoluzione spirituale islamica, ritorno alle origini (…) Questo chiediamo noi oggi al mondo dell’Islam: fedeltà alla propria tradizione, esempio spirituale per l’Europa” (pp. 108-111). “Il mondo musulmano – secondo l’autore – deve preservare e difendere con fermezza il suo ricco ed elevato patrimonio tradizionale, riscoprire e ravvivare questa poderosa luce spirituale di cui è portatore; luce e patrimonio che, nell’attuale mondo materialista, rappresentano una speranza di libertà, anche per la nostra Europa” (p. 110); alla quale l’Islam può presentarsi “come un faro che ci illumina e ci aiuta a ritrovare la nostra propria via (…) Esso potrà diventare per noi (…) una via che ci conduce a ritrovare la nostra propria luce, la luce dei nostri antenati” (p. 105). Infatti “il nucleo della tradizione islamica contiene un retaggio spirituale affine al nostro, racchiude qualcosa che ci appartiene e possiamo considerare come nostro” (p. 13).
Claudio Mutti
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