Ferenc Szálasi (1897 – 1946), militare e politico ungherese, fu capo del Partito della Croce Frecciata, Primo Ministro del Regno d’Ungheria e Guida della Nazione ungherese prima della sconfitta dell’Asse nel secondo conflitto mondiale. Uomo dotato di una notevole preparazione culturale, aveva elaborato una propria concezione politica e geopolitica: l’ungarismo. Nel presente scritto, dopo aver trattato brevemente le principali vicende politiche della vita di questo personaggio e del suo partito, ci si soffermerà sul suo pensiero politico ed in particolare sulla sua riflessione geopolitica, analizzando il modo in cui egli integra i concetti di “grande spazio”, “spazio vitale” e “popolo guida” in funzione della costruzione di un nuovo ordinamento mondiale.
Storia di un “fascismo di sinistra”
Kitartás!
(“Perseveranza!” – parola d’ordine dei militanti del Partito della Croce Frecciata)
Ferenc Szálasi nacque il 6 gennaio 1897 a Kassa (l’attuale Kosice, in Slovacchia), da una famiglia in cui si intrecciavano radici ungheresi, slovacche, rutene, armene e tedesche[1]. Indirizzato dal padre (Ferenc Szálasi senior, funzionario subalterno della fanteria andato in pensione col grado di capitano), intraprese fin da subito studi in ambito militare[2]. Prese parte al primo conflitto mondiale e combatté per tre anni al fronte in veste di ufficiale; dopo il termine della guerra restò in servizio, in quanto era sua intenzione intraprendere la carriera militare come il padre e altri tre dei suoi fratelli. Dopo aver concluso gli studi accademici, nel 1925 iniziò a prestare servizio presso lo Stato Maggiore dell’esercito ungherese e nel 1933 raggiunse il grado di maggiore. Come nota il filosofo e teologo ungherese András László, diverse delle sue qualità personali, come la preparazione in ambito militare, la vastissima cultura, il forte carisma, la sorprendente operosità ed il profondo senso della giustizia «lo resero proverbiale negli ambienti dell’esercito»[3].
Tuttavia, nonostante i riconoscimenti e gli avanzamenti di carriera ottenuti in ambito militare, superati i trent’anni decise di occuparsi totalmente di politica e, dopo essersi congedato dall’esercito, nel 1935 fondò il Partito della Volontà Nazionale (Nemzet Akaratának Pártja, da cui deriva l’acronimo NAP, che in ungherese significa “sole” e scritto con i caratteri “runici” székely-magiari costituiva allora il simbolo del partito) in opposizione al Partito dell’Unità Nazionale (Nemzeti Egység Pártja, avente come sigla NEP) allora al governo. Dotato di un programma nazionale e socialista, mentre gli altri movimenti nazionalsocialisti, fascisti e nazionalisti trovavano seguito soprattutto fra i contadini, il partito di Szálasi si rivolse fin da subito anche alla classe operaia, cosicché in seguito «riuscirà ad espugnare le tradizionali roccheforti del Partito Socialdemocratico»[4]. In questo modo, prendeva forma «un “fascismo di sinistra” potente e originale (avente numerosi punti in comune con la Guardia di Ferro), “fascismo di sinistra” la cui sola esistenza contraddice in maniera decisiva la maggior parte delle definizioni classiche (specialmente marxiste) del fenomeno fascista»[5].
In poco tempo, il Partito della Volontà Nazionale divenne la più importante forza politica d’opposizione nei confronti del governo; infatti, erano le Camicie Verdi[6] «a portare il popolo nelle piazze, a controllare i sindacati operai e ad organizzare gli scioperi»[7]. Già nel 1937 il partito giunse ad avere nelle sue file ben ventimila militanti. Alla luce del vigore dimostrato da questa giovane forza politica, nell’aprile del medesimo anno il governo retto dal conservatore Kálmán Darányi deliberò lo scioglimento del Partito della Volontà Nazionale e Szálasi venne condannato a tre mesi di reclusione con l’accusa di aver messo in atto una propaganda antisemita. Tuttavia, alcuni mesi più tardi le Camicie Verdi diedero vita al Partito Nazionale Socialista (Nemzeti Szocialista Párt), che in poco tempo arrivò a contare nelle sue file ben centomila iscritti. Alla fine del 1937, questo nuovo partito lanciò la campagna “Szálasi 38”, con la quale manifestò la speranza e l’obiettivo di vedere il suo leader al vertice del governo per l’anno successivo. Ciò, alla luce del vastissimo consenso di cui godevano le Camicie Verdi in tutto il paese e presso tutte le categorie sociali, non appariva affatto come qualcosa di impossibile.
Il Reggente d’Ungheria Miklós Horthy, «allarmato sia dal successo nazionalsocialista sia dagli sviluppi della politica europea»[8], decise che era il momento di reagire a tale situazione: destituì Darányi e assegnò all’ex ministro del coordinamento economico Béla Imrédy l’incarico di formare un nuovo esecutivo, che avesse come principale obiettivo quello di arginare l’avanzata dei nazionalsocialisti. Come primo provvedimento, Imrédy emise un decreto che vietava ai dipendenti pubblici l’iscrizione ai partiti politici; chiaramente, tale norma intendeva colpire il Partito Nazionale Socialista, il quale aveva numerosissimi militanti all’interno dell’amministrazione pubblica e dell’esercito[9]. Poco tempo dopo, la polizia segreta mise in circolazione dei volantini che inneggiavano a Ferenc Szálasi e offendevano il Reggente, cosicché il capo del Partito Nazionale Socialista venne arrestato, processato e condannato a tre anni di detenzione con l’accusa di aver diffuso «letteratura sovversiva». A ciò seguirono diverse proteste delle Camicie Verdi, alle quali il governo rispose mettendo al bando il partito di Szálasi; tuttavia, Kálmán Hubay lo ricostituì subito dopo con il nome di Partito Ungarista (Hungarista Párt). In seguito il conte Pál Teleki, nuovo capo del governo, sciolse anche quest’ultima formazione, ma Hubay diede vita al Partito della Croce Frecciata (Nyilas Keresztes Párt)[10]. Dopo altri provvedimenti repressivi di vario genere si giunse alle elezioni del maggio 1939 per il rinnovo del Parlamento. In quest’occasione, il partito crocefrecciato riuscì a sfondare a destra come a sinistra, divenendo il secondo partito del paese: su due milioni di voti ne ottenne 750.00, anche se dei 259 seggi parlamentari gliene vennero attribuiti solo 31[11]. Inoltre, nonostante le intimidazioni del governo e i massicci arresti dei militanti, il numero degli iscritti al partito raddoppiò e toccò addirittura le duecento unità.
Come nota lo storico Mariano Ambri, «Il gruppo dei deputati crocefrecciati rappresentò la prima vera opposizione nell’Ungheria di Horthy; un’opposizione molto agguerrita che non perdeva alcuna occasione di criticare non solo le singole misure del governo, ma lo stesso regime “conservatore ed antipopolare” in nome di ciò che era stato battezzato “ungaro-socialismo”»[12], ovvero una dottrina che propugnava «un socialismo di tipo comunitario nutrito di valori spirituali»[13]. Tuttavia, durante il periodo in cui Szálasi si trovava in carcere, nel partito crocefrecciato vi furono alcuni contrasti fra la “destra” e la “sinistra”[14]. Con lo scopo di equilibrare l’influenza degli esponenti di “sinistra”, Kálmán Hubay si adoperò per fondere il Partito della Croce Frecciata con altre formazioni appartenenti all’estrema destra. Fra di esse, vi era il Partito del Rinnovamento Ungherese (Magyar Megújulás Pártja) fondato dall’ex primo ministro Béla Imrédy, il quale, trovatosi isolato nel partito di governo in seguito al rafforzamento di Pál Teleki, con altri ventisei deputati aveva dato vita a quest’organizzazione che si dichiarava espressamente fascista e filotedesca. In sostanza, Hubay e Imrédy intendevano dar vita ad una vasta coalizione governativa attestata su posizioni di estrema destra[15]. Però, nel settembre del 1940, quando venne scarcerato, Ferenc Szálasi si oppose decisamente a tale disegno e ribadì l’orientamento nazionale e socialista dell’ungarismo indicendo, per il mese successivo, uno sciopero di quarantamila minatori[16]: «la più potente azione proletaria ungherese, dalle origini della classe operaia in quel paese»[17].
Tuttavia, nei primissimi anni quaranta vi fu un declino dei consensi del Partito della Croce Frecciata, determinato soprattutto «dalle misure antiebraiche del governo e dall’adesione dell’Ungheria al Patto Tripartito»[18]. Infatti, come nota Mariano Ambri, «molti appartenenti alle classi medie avevano già abbandonato il partito ritenendo che esso si fosse spinto troppo oltre nelle sue rivendicazioni sociali e che la politica estera ed antisemita del governo fosse abbastanza soddisfacente»[19]. Per quanto riguarda la Germania, essendo preoccupata essenzialmente per la stabilità politica dell’Europa sudorientale, ridusse fortemente il suo appoggio all’opposizione nazionalsocialista ungherese, rafforzando così il regime di Miklós Horthy. Tuttavia, il Reggente e la sua cerchia manovravano fin dall’inizio per preparare il tradimento[20]. Già alla fine del 1940, infatti, essi pensavano di mandare in Occidente un loro uomo, che fondasse un Comitato Ungherese all’estero e predisponesse il terreno per il trasferimento di Horthy a Londra e la formazione di un governo in esilio. Per quanto concerne le attività belliche, vi è da dire che l’Ungheria in questi anni intensificò il proprio disimpegno, «ritirando le sue truppe dal fronte russo, non abbattendo gli aerei nemici che sorvolano il suo territorio, dando addirittura asilo a prigionieri inglesi ed americani fuggiti dai campi di concentramento tedeschi»[21].
Nel 1943, quando le sorti del conflitto iniziarono a volgersi contro il Tripartito ed i suoi alleati, il Reggente Horthy e Miklós Kállay, che dal marzo 1942 ricopriva la carica di primo ministro, «cominciarono a testare il terreno presso gli Alleati occidentali per vedere in che modo l’Ungheria potesse “saltar fuori” dal conflitto», senza finire sotto l’egemonia sovietica e possibilmente evitando di doversi scontrare con la Germania di Hitler[22]. Le potenze occidentali, inizialmente alquanto riservate, nel 1944 fecero capire agli Ungheresi che avrebbero accettato solamente una capitolazione senza condizioni; altrimenti, l’Ungheria avrebbe dovuto offrire la propria resa direttamente ai Sovietici. Si deve tenere conto, che «I Tedeschi vennero subito a conoscenza di tutte le trattative, in ogni particolare e nel modo più esatto possibile»[23].
Per quanto concerne il capo del governo Miklós Kállay, bisogna rilevare che sul piano politico era straordinariamente ambiguo, «tanto che la sua era detta la “politica dell’altalena”. Egli rese talmente incostante la politica estera, interna e militare dell’Ungheria, che il Grande Reich germanico non la poté più tollerare se non a proprio rischio»[24]. Dunque, verso la fine del marzo 1944, Horthy ricevette da Hitler un invito pressante ad incontrarsi con lui per poter avere un colloquio. Il Reggente così si recò dal Führer, il quale gli fece apprendere chiaramente che a suo parere la situazione dell’Ungheria non era più sostenibile. Hitler chiarì di essere venuto a conoscenza delle trattative di Kállay con le potenze occidentali e si lamentò dell’insufficiente determinazione dell’Ungheria nella conduzione del conflitto. Dunque, secondo il Führer, il primo ministro Kállay doveva andarsene immediatamente; inoltre, Hitler ritenne indispensabile inviare provvisoriamente in Ungheria delle truppe per ristabilire l’ordine, favorire una più determinata partecipazione alla guerra e proteggere il territorio ungherese (e, indirettamente, quello tedesco). Nonostante le proteste del Reggente, l’azione progettata da Hitler ebbe immediatamente luogo; infatti, al rientro di Horthy a Budapest «la presenza delle truppe tedesche era un fatto compiuto»[25] e durò dal 19 marzo 1944 fino all’aprile 1945.
L’ambiguo primo ministro Kállay venne quindi destituito e gli succedette «il tenente generale in congedo Döme Sztójay, già ambasciatore a Berlino, che godeva della fiducia sia del Reggente sia dei Tedeschi»[26]. Ben presto, tuttavia, «Acquisita la certezza che gli Alleati occidentali avrebbero accettato solo ed esclusivamente la resa incondizionata dell’Ungheria davanti all’URSS», gli ambienti liberali e anglofili vicino a Horthy «cominciarono a prendere in esame la possibilità di un contatto coi Sovietici»[27]. In seguito alle pressioni di tali circoli, «approfittando della capitolazione romena e contando sulla passività tedesca»[28], il 24 agosto 1944 il Reggente depose Döme Sztójay, il quale, benché fosse malato, era ancora in grado di svolgere le sue funzioni. Dunque, venne nominato primo ministro il generale comandante di corpo d’armata Géza Lakatos, un militare antitedesco «ma capace di nascondere i suoi sentimenti […]; il Reggente lo nominò primo ministro allo scopo deliberato di “saltar fuori” dalla guerra»[29].
Nel frattempo, Ferenc Szálasi era uscito dal carcere. Dopo aver avuto un paio di incontri con il Reggente, grazie anche alle fonti informative di cui disponeva e al controspionaggio tedesco, si rese conto ben presto che Horthy ed il suo entourage stavano preparando alla resa nei confronti degli Alleati. Dunque, «Ferenc Szálasi, i dirigenti e la totalità dei militanti del Partito Crocefrecciato – Movimento Ungarista decisero di impedire con ogni mezzo la capitolazione. Per iniziativa di Szálasi, si formò in seno al parlamento l’Alleanza Nazionale Legislativa, che raggruppava tutti i risoluti difensori dell’Ungheria nei confronti del Reich»[30].
Nell’ottobre del 1944 il Reggente inviò una delegazione a trattare l’armistizio con i sovietici. Come afferma András László, «Era già stato stabilito che l’Ungheria non poteva fissare nessuna condizione, ma si impegnava a deporre le armi per poi impugnarle di nuovo rivolgendole contro il Reich; vale a dire, avrebbe cominciato a combattere al fianco dei Sovietici contro quello che era stato il suo alleato fino a un momento prima»[31]. Mentre erano ancora in corso le trattative con i sovietici, il Reggente si convinse a compiere un passo decisivo: il 15 ottobre 1944 fece leggere un proclama alla radio, nel quale si denunciava l’alleanza militare coi tedeschi e si annunciava l’avvio delle trattative con i russi per l’armistizio. Tuttavia, il proclama, al fine di mitigare la loro ira, non faceva alcun cenno riguardo la possibilità di un’aggressione contro gli alleati tedeschi. Questi ultimi, però, erano ben consapevoli che i sovietici avrebbero costretto l’Ungheria ad attaccare il Reich e sapevano che ciò era chiaro anche per il Reggente.
Dunque, i tedeschi reagirono immediatamente entrando nel Castello di Buda e deportando il Reggente Horthy in Germania. Subito dopo presero «una serie di contromisure, sul piano diplomatico, poliziesco e militare. A tali azioni si associarono subito, armi in pugno, i militanti crocefrecciati»[32], il cui momento era evidentemente arrivato. Questi ultimi occuparono i centri nevralgici del paese e in un proclama radiofonico dichiararono che «l’Ungheria continua la lotta al fianco dei fratelli d’arme tedeschi»[33]. Nel frattempo, Adolf Hitler si era ormai convinto che solo Ferenc Szálasi potesse ricoprire la carica di capo dello Stato e del governo; infatti, soltanto egli disponeva di un numero elevato di uomini armati ed il suo partito era il più popolare ed il più forte fra quelli filotedeschi. Come nota correttamente András László, «Parecchi avrebbero visto più volentieri, alla guida dell’Ungheria, persone ben più filotedesche di Szálasi. Persone del genere non mancavano […], ma dietro di sé non avevano la forza di cui disponeva invece Szálasi»[34].
Quindi Ferenc Szálasi chiese a Horthy di nominarlo primo ministro e di rassegnare le dimissioni. Il Reggente inizialmente rifiutò e poi tenne un comportamento piuttosto ambiguo, ma infine, «nominò Szálasi, con tutti i crismi della legalità, presidente del consiglio dei ministri del Regno d’Ungheria; poi, in maniera altrettanto conforme ai canoni giuridici, rinunciò alla carica di Reggente»[35]. In questo modo, il capo crocefrecciato poté dar vita ad un governo di coalizione che comprendeva «civili e militari, nazionalsocialisti, fascisti e anche un comunista di tendenze nazionalbolsceviche, Ferenc Kassay-Schallmayer»[36]. Come nota correttamente Ambri, il Movimento Ungarista «si gonfiò di un’ultima grande ondata di popolarità, questa volta quasi esclusivamente tra le classi popolari, e tra gli operai di Budapest in particolare»; infatti, era diffusa l’opinione che «finalmente la rivoluzione sociale che, per venticinque anni, era stata bloccata dalle forze conservatrici fosse ormai a portata di mano»[37]. Il nuovo governo ottenne la fiducia del parlamento e Ferenc Szálasi, dopo aver prestato il giuramento da primo ministro dinanzi alla Corona di Santo Stefano, il 4 novembre 1944, su proposta del Consiglio Nazionale, fu eletto all’unanimità Guida della Nazione (Nemzetvezetö) dalle due camere del parlamento riunite in seduta comune e col numero legale.
Intanto, le truppe sovietiche e rumene giunsero alla periferia di Budapest ed ungheresi e tedeschi iniziarono una resistenza accanita, che durò oltre tre mesi. Secondo Marzio Gozzoli, «Per le forze dell’Asse la difesa ad oltranza di Budapest rappresentò quel che l’insurrezione di Varsavia era stata per la resistenza antifascista: il momento più tragico e più alto della volontà di lotta e dello spirito di sacrificio di una Nazione in armi, un’epopea di lotta popolare animata da un coraggio fanatico e disperato»[38]. In seguito, i ministri del governo ungherese furono costretti a lasciare Budapest e a trasferirsi a Szombathely e a Sopron, nei pressi del confine con il Reich. A Sopron iniziarono a tenersi anche le sedute del parlamento, che all’inizio di dicembre discusse il Piano di Ricostruzione Nazionale: «l’Ungheria sarebbe diventata, a partire dal 1 marzo 1945, uno Stato Ungarista Corporativo»[39].
Nel frattempo, gli eventi continuarono a precipitare. Il 18 gennaio 1945, le truppe russe e rumene entrarono a Pest, mentre i difensori della capitale si ritirarono a Buda dopo aver fatto saltare i ponti sul Danubio. Il 13 febbraio le truppe sovietiche avevano ormai il controllo di Budapest; tuttavia, dopo la caduta della capitale ed anche in seguito alla totale occupazione del paese, gli Ungheresi non cessarono di combattere. Il governo ungherese si stabilì a Vienna, mentre gli ultimi reparti aerei, i resti della Honvéd, delle divisioni ungariste e Waffen SS proseguirono le operazioni militari e le milizie crocefrecciate compirono atti di guerriglia sul territorio occupato[40]. In ogni caso, Il 4 aprile 1945 l’Ungheria venne totalmente occupata. Il 5 maggio, Szálasi venne arrestato dalle forze armate statunitensi, che lo portarono ad Augsburg; da lì, il 18 settembre venne trasferito in un campo di concentramento a sud di Salisburgo, il cosiddetto Marcus Camp. Il 3 ottobre, insieme ad una decina di altri uomini politici ungheresi, fu imbarcato su di un Douglas dell’esercito americano, per essere consegnato alle nuove autorità ungheresi affinché queste lo processassero in qualità di criminale di guerra. Così, insieme agli altri dieci venne portato al n. 60 di via Andrássy a Budapest, nello stesso edificio che precedentemente era stato la Casa della Fedeltà, sede centrale del Partito della Croce Frecciata. Nel sotterraneo vennero ricavate delle celle, dove i prigionieri furono rinchiusi sotto stretta vigilanza. Il processo contro Szálasi ed un primo gruppo di imputati ebbe inizio il 5 febbraio 1946. La corte era presieduta dal dr Péter Jankó, di origini ebraiche, ed era composta dai rappresentanti dei partiti collaborazionisti. La funzione di pubblico ministero era esercitata dal dr. László Frank (anch’esso ebreo). Nel febbraio 1946 Szálasi fu giudicato colpevole ed il 12 marzo 1946 venne impiccato nel cortile del carcere di via Markó a Budapest.
L’ungarismo
Ferenc Szálasi era un uomo politico di grande cultura, dotato di un autentico pensiero personale, ovvero di una propria idea politica, con la quale illuminava il suo partito. Quest’idea politica era quella dell’ungarismo. Seguendo András László, si può dire che quest’ultimo non fosse affatto «un puro e semplice adattamento ungherese del nazionalsocialismo», bensì «un nazionalsocialismo ungherese autonomo e sovrano»[41]. La realizzazione di tale dottrina, per Szálasi, era la cosa più importante: «non erano l’organizzazione del partito né le sue forme elettorali che interessavano Szálasi; erano piuttosto le sue idee, di cui il partito costituiva uno dei tanti possibili veicoli. Esso poteva dunque cambiare denominazione, essere sciolto e ricostituito sotto altra forma, avere un apparato pubblico ed uno clandestino, presentarsi alle elezioni od agire soltanto nel corpo sociale mediante un’opera di propaganda: ma tutto ciò non era essenziale. Ciò che era importante era l’“ungarismo”, cioè l’assieme delle idee di Szálasi»[42]. Il termine “ungarismo” era stato utilizzato per la prima volta, nella sua accezione politica, dal battagliero “vescovo dei poveri” Ottokár Prohászka, considerato da Szálasi come un suo precursore. Tuttavia, bisogna dire che «l’ungarismo di Szálasi fu un’esclusiva creazione di Szálasi stesso»[43].
Come afferma András de László, il termine “ungarismo” significa innanzitutto “idea ungherese d’impero”[44]. Infatti, l’obiettivo primario di Szálasi era quello di riunire tutti i popoli dell’Europa sudorientale in un’unica formazione di tipo imperiale, che egli chiamava “Grande Patria Danubiano-Carpatica”. Tale impero doveva dunque caratterizzarsi per avere al suo interno una notevole pluralità di popoli ed etnie: «ne avrebbero fatto parte gli ungheresi, in tutta la zona etnicamente magiara, i ruteni e gli slovacchi, i tedeschi del Burgenland, i serbo-croati del Banato, ed i “transilvani” (cioè i romeni della Transilvania)»; all’interno di tale struttura imperiale, «le diverse popolazioni avrebbero goduto di una autonomia culturale, linguistica ed amministrativa»[45].
Inoltre, questa “Grande Patria Danubiano-Carpatica” «doveva essere una patria giusta, anzitutto sul piano sociale»[46]. L’impero preconizzato da Szálasi, ed ancor prima di esso lo stesso Stato ungherese, doveva essere privo di classi privilegiate e quindi al suo interno non doveva esservi alcun tipo di lotta di classe. Esso doveva poggiare su tre pilastri: i contadini, gli operai e gli intellettuali[47] (questi ultimi sarebbero dovuti emergere dai primi due gruppi, mantenendo un intimo legame con essi). Tuttavia, Szálasi attribuiva all’esercito un ruolo fondamentale, per certi versi superiore e più importante rispetto a quello degli altri tre pilastri: esso doveva creare la “Grande Patria” e proteggerla dai pericoli interni ed esterni. Bisogna rilevare che secondo Mariano Ambri «Non è chiaro come la posizione che Szálasi assegnava all’esercito si inserisse nella sua concezione [di uno Stato senza classi] senza contraddirla»[48]. In verità, se si riflette con un poco più d’attenzione, ci si accorge immediatamente come in ciò non vi fosse alcun tipo di contraddizione. Innanzitutto, Szálasi non pensava esattamente ad uno Stato senza classi (come invece afferma Ambri), bensì ad uno Stato senza classi privilegiate, totalmente libere di perseguire i propri interessi privati, nel quale i diversi ceti che lo componevano sarebbero stati legati in modo organico per inseguire il bene e soddisfare le esigenze comuni della nazione. È ovvio, quindi, che in questo Stato organico egli assegnasse un ruolo così importante all’esercito: Szálasi era realisticamente consapevole che ogni formazione politica, Stato o impero che sia, nasce a seguito di un atto di forza e si mantiene, preservando la propria sovranità e la propria indipendenza, in primo luogo grazie alla capacità e alla volontà delle sue forze armate. Si tenga presente, a questo riguardo, quanto egli affermava in un discorso del 1943, che verrà analizzato approfonditamente nel prossimo paragrafo: «L’Ungarismo è ben consapevole della legge fondamentale per cui senza lotta non c’è né vita né benessere. Bisogna lottare per il pane quotidiano della famiglia, per la sopravvivenza del popolo, per la sicurezza di vita della nazione, per la creazione e il mantenimento di un rapporto pacifico fra il suolo, il lavoro ed i popoli al servizio dello sviluppo umano della nazione e della sua sicurezza di vita. Quindi bisogna sempre lottare per il benessere»[49].
Da un punto di vista maggiormente pratico, secondo Szálasi la Banca Nazionale doveva essere espropriata e la programmazione dell’economia doveva avvenire da parte di un organo centrale, il Consiglio Generale delle Corporazioni. Anche la produzione agricola doveva essere pianificata ed affidata a contadini-piccoli proprietari riuniti in cooperative. Dunque, il fine ultimo del programma di Szálasi era «la creazione di un sistema socialista, beninteso non marxista»[50]. Egli criticava assai duramente sia la dottrina marxista che quella liberale, accusando entrambe di eccessivo materialismo e di essere completamente estranee allo spirito e alle tradizioni dell’Ungheria. Inoltre, «al marxismo rimproverava di non tener conto degli interessi nazionali, che subordinava a quelli di classe, e di esser legato – nella sua versione comunista – all’Unione Sovietica e alla sua politica estera»; il liberalismo, invece, era accusato di essere eccessivamente «dipendente da centrali capitalistiche straniere e spesso “anti-cristiane” (cioè ebraiche) e, mentre era iniquo perché ignorava le esigenze del popolo, si dimostrava anche debole ed inefficiente»[51].
Per quanto concerne il rapporto di Szálasi con la Germania nazista, si deve notare come egli in una certa misura ne diffidasse. Come nota correttamente Ambri, «pur riconoscendo una certa parentela tra le sue idee e quelle di Hitler, egli non intendeva affatto farsi strumento di quest’ultimo in Ungheria»[52]. Infatti «Si può dire che sino all’ottobre del 1944 egli non soltanto si rifiutò di cambiare alcunché nei suoi grandi progetti di sistemazione dell’area danubiana, che non coincidevano affatto con quelli hitleriani, ma non ammise neppure la possibilità di scender a sia pur temporanei compromessi»[53]. Egli tuttavia non credeva che l’Ungheria avrebbe fatto tutto quanto da sola; infatti, «la partecipazione della Germania alla riorganizzazione dell’Europa era necessaria, ma il popolo ungherese avrebbe partecipato all’impresa su un piede di eguaglianza, e non come un satellite di Hitler o di chiunque altro».[54] Il capo crocefrecciato «non avrebbe mai accettato una incorporazione dell’Ungheria nel Reich come una sua provincia, e ciò in contrasto con alcuni nazionalsocialisti ungheresi»[55]. In generale, egli «non tollerò mai il tentativo di diminuire il rango dell’Ungheria»[56].Comunque, tutto questo emergerà in modo molto chiaro nel prossimo paragrafo del presente scritto, dove si tratterà in modo specifico della riflessione geopolitica di Ferenc Szálasi.
Riguardo la visione di Szálasi rispetto la questione ebraica, bisogna dire innanzitutto che egli era decisamente convinto dell’esistenza di un complotto ebraico: «L’ebraismo è al potere mondiale e al dominio mondiale fin dal 1918, de facto e de jure. […] La plutocrazia, la massoneria, le democrazie liberali, il parlamentarismo, il tallone aureo e il marxismo sono tutti strumenti di cui l’ebraismo si serve al fine di mantenere e consolidare il proprio potere e dominio mondiale, impedire ai popoli di veder chiaro in questa questione decisiva per il destino del globo e di loro stessi e impedire che agiscano di comune accordo per il loro bene»[57]. Convinto della fondamentale incapacità degli ebrei di integrarsi con la popolazione con la quale vivevano, egli sosteneva che essi, al termine della seconda guerra mondiale, avrebbero dovuto abbandonare definitivamente (con i loro averi) il continente eurasiatico, per recarsi in quello americano, dove avrebbero trovato il loro «domicilio coatto»[58]. Szálasi dunque «era contrario alle persecuzioni e alle soluzioni “radicali”»[59], tant’è vero che «“non intendeva sterminio” quando parlava di soluzione del problema ebraico»[60], e per questo invece che “antisemita” preferiva definirsi “asemita”. Degno di nota è il fatto che idee di questo tipo nell’Ungheria degli anni trenta venivano giudicate come particolarmente moderate, in quanto nel paese magiaro il risentimento nei confronti degli ebrei aveva una larghissima diffusione ed un profondo radicamento all’interno della popolazione.
La struttura geopolitica del nuovo ordine mondiale
Come accennato in precedenza, il 15-16 giugno del 1943 Ferenc Szálasi tenne un lungo discorso nella Sala del Gran Consiglio della Casa della Fedeltà di Budapest (sede centrale del Partito della Croce Frecciata), in cui illustrò assai dettagliatamente la sua visione geopolitica rispetto l’ordinamento mondiale che si sarebbe dovuto instaurare dopo la conclusione della seconda guerra mondiale. Tale discorso venne successivamente divulgato in forma scritta con il titolo “Grande spazio, spazio vitale, popolo guida” (Nagytér, élettér, vezetönép) ed è stato recentemente pubblicato anche in Italia[61].
All’inizio di tale discorso Szálasi chiarisce come la sua visione rispetto il nuovo ordine mondiale scaturisca direttamente dagli assiomi della dottrina ungarista: «Nel suo sistema ideologico e nel suo ordinamento l’Ungarismo fornisce un quadro del mondo nuovo seriamente compenetrato della coscienza della sua responsabilità, nonché le basi, la cornice e il contenuto della nuova verità, della nuova realtà e della nuova libertà che traggono origine dalla comune visione del nazionalismo e del socialismo»[62]. In seguito egli afferma che «La tesi più importante dell’Ungarismo è che la base del nuovo quadro mondiale è l’ordine, l’armonia vitale. Esso fonda su di ciò le sue norme ideologiche e pratiche»[63]. Gli elementi essenziali sui quali si dovrà fondare tale nuovo ordinamento globale si possono già evincere dal titolo del suo intervento: «L’Ungarismo costruisce il sistema morale, materiale e spirituale del nuovo quadro mondiale per mezzo di tre fattori fondamentali: il grande spazio, lo spazio vitale e il popolo guida»[64]. Infatti, convinto che l’ordine e l’armonia non si diano nell’unità, bensì nella divisione, quella a cui pensa Szálasi è una vera e propria spartizione del pianeta; si potrebbe dire, in termini schmittiani, un autentico nomos della Terra[65]: «L’Ungarismo dichiara che occorre sempre spartire quella scorta di beni morali, spirituali e materiali del globo che è venuta e viene alla luce col procedere del tempo, cosicché ogni popolo posa avervi accesso e soddisfare le proprie esigenze e necessità morali, spirituali e materiali. A tal fine però dobbiamo effettuare la prima consapevole spartizione di beni della nostra storia»[66]. Ma vediamo di chiarire in modo più dettagliato quali sono e come si presentano le categorie su cui dovrà fondarsi il nuovo quadro globale.
Szálasi sostiene che il primo elemento su cui dovrà reggersi l’umanità intera è quello della famiglia. Quest’ultima, a causa dell’attività lavorativa che deve svolgere per il suo sostentamento, è costretta ad insediarsi in un luogo specifico: «Il luogo d’insediamento è funzione della famiglia e dell’attività lavorativa, ossia espressione pratica della comunità morale, spirituale e materiale di queste due realtà»[67]. Tuttavia, Szálasi nota che le famiglie non sono in grado di bastare a sé stesse; infatti, a causa del «bisogno naturale» che hanno «di soddisfare le proprie necessità materiali e le proprie esigenze», esse «si cercano reciprocamente, si aggregano» ed in questo modo danno vita a quella «comunità vitale, sociale e di destino» chiamata popolo[68]. Per quanto riguarda quest’ultimo, è di fondamentale importanza il legame che esso intrattiene col suo territorio, sul quale deve dimostrarsi in grado di edificare la propria patria: «Ogni popolo deve essere radicato nel suolo […]; ma deve anche essere capace di costruirsi una patria […]. Senza radicamento nel suolo e senza capacità di costruirsi una patria, la vita rilassata della comunità familiare non può diventare popolo»[69]. Ma è anche vero che esso, «oltre a regolare la propria vita interiore, cerca con tutte le sue forze di regolare in maniera sicura anche il proprio rapporto coi popoli vicini», sforzandosi di realizzare con essi «un’armonia morale, spirituale e materiale che renda completa e sicura la sua vita»[70]. Se poi da tale armonia vitale nasce «una comunità sociale e di destino», allora si può parlare di nazione[71]. Il territorio di quest’ultima, ovvero quello dove essa «trae origine dalla comune, vitale armonia politica, economica e sociale dei popoli»[72], deve essere chiamato spazio vitale. Tuttavia, su di esso non tutti i popoli esercitano lo stesso ruolo nel creare e nel sostenere la nazione: «si chiama nazione quella naturale comunità vitale, sociale e di destino che il popolo guida, nel suo spazio vitale, organizza in unità politica, economica e sociale e che soltanto esso ha la capacità e la missione di guidare in maniera responsabile, cosicché ne nascano il bene morale, spirituale e materiale e la sicurezza dei popoli interessati»[73]. La nazione si presenta dunque come una «comunità di popoli»[74], che sono orientati e tenuti assieme da un popolo guida. Tuttavia, anche la nazione «è costretta a regolare il suo rapporto vitale con le altre nazioni»[75] e da tale necessità nasce il «connazionalismo, o comunità di nazioni, vale a dire l’alleanza, l’aggregazione delle nazioni che si rapportano l’una all’altra, la loro comunità vitale, sociale e di destino»[76]. Però mentre un popolo si fonda su «fattori morali, spirituali e materiali» e una nazione su «fattori politici, economici e sociali», una comunità di nazioni «è definita dai fattori della cultura, della civiltà e della tecnologia»[77]. Pertanto per quest’ultima si rende necessario un particolare tipo di territorio: il grande spazio.
Volendo riassumere brevemente quanto è appena stato riportato, dunque, si potrebbe fare il seguente schema:
- LUOGO D’INSEDIAMENTO – FAMIGLIA
- TERRITORIO DELLA PATRIA – POPOLO
- SPAZIO VITALE – NAZIONE (POPOLO GUIDA)
- GRANDE SPAZIO – COMUNITÁ DI NAZIONI (O CONNAZIONALISMO)
In seguito Szálasi fa una serie di precisazioni. Innanzitutto, chiarisce che per quanto concerne i grandi spazi, i «presupposti fondamentali e fattori di base indispensabili» per la loro formazione sono costituiti dalle «materie prime necessarie per l’alimentazione, l’abbigliamento, la costruzione e l’industria»; inoltre, tutte le risorse e i beni che si trovano in essi «non sono proprietà esclusiva di un solo popolo che ne dispone a proprio piacimento, ma costituiscono la scorta di beni – acquisita, organizzata e difesa in comune – di tutti i popoli che partecipano al sistema del grande spazio»[78]. L’ordine nuovo prospettato dall’ungarismo è pensato in modo tale da rendere «completamente ingiustificata nei secoli avvenire ogni iniziativa bellica»; infatti, nel nuovo contesto globale un impulso di questo genere non sarebbe generato da una reale esigenza vitale, «ma soltanto da un’aspirazione e da un progetto di violenza imperialista»[79].
Benché Szálasi sia perfettamente conscio del fatto che senza lotta non può esserci né vita né benessere, egli afferma che «Al contrario, la lotta per avere di più, che si svolge a danno degli altri o dell’intera umanità, e non ha nessun altro fondamento se non la pura violenza; che in virtù di un potere più forte o più violento esclude gli altri dalla tavola riccamente imbandita della vita […] è innaturale ed illegittima ed ha origine da un mondo psichico morbosamente deforme, che è sempre necessario reprimere, specialmente nel caso di coloro i quali, affermando che le loro prepotenze sono dovute alla volontà di un dio creato a loro propria immagine, perdono il diritto a proclamarsi gli eletti da Dio»[80]. Da tali considerazioni deriva la feroce critica dell’Autore all’imperialismo di matrice statunitense: «i popoli dell’America non hanno nessun motivo, ma proprio nessuno, per stendere le mani verso una qualunque altra parte del globo terrestre. In base ai fatti oggettivi, essi semplicemente non possono trovarsi in stato di bisogno; se vi si trovano, ciò può accadere solo perché la vita americana si basa sull’economia di rapina dell’egoismo individuale, che è la causa intima di ogni male e di ogni miseria»[81]. Perciò, «La guerra combattuta dall’America è […] l’ultimo e più ripugnante imperialismo della storia mondiale»[82]. Al contrario, decisamente necessaria e legittima appare «la guerra di Berlino-Roma-Tokyo contro Londra-Parigi-Washington», per combattere l’abiezione in cui versa il pianeta e «poter creare in perfetta unità un nuovo quadro mondiale corrispondente alla nuova idea epocale» del nazionalsocialismo[83].
Szálasi è profondamente convinto che dopo la fine del conflitto mondiale e la vittoria da parte delle forze del Tripartito, per tutti i popoli della massa continentale eurasiatica (per l’esattezza «il territorio più potente del globo», che «abbraccia l’Europa e l’Asia come continenti guida, nonché l’Africa, l’Australia e l’Oceania, che ne costituiscono i necessari complementi integrativi»[84]), inizierà un’era caratterizzata da relazioni pacifiche e assai vantaggiose per tutti. Infatti, fra quelli che saranno i principali centri di forza di questa immensa zona geografica, ovvero Berlino, Roma e Tokyo, «si metterà in moto una possente circolazione mondiale», che «si svilupperà su quattro possenti vie di comunicazione» che attraversano tutto il continente eurasiatico: una settentrionale, due centrali ed un’altra meridionale[85]. Da ciò consegue che l’Europa sudorientale, sulla quale veglierà il popolo ungherese, trovandosi «esattamente sull’asse delle linee di traffico mondiale centrali e meridionali», costituirà «un territorio chiave»[86]. A tale collocazione dovranno rapportarsi «la causa e il motivo di ogni nostra decisione, risoluzione, iniziativa ed azione. La nostra Patria può davvero essere, nel senso più rigoroso del termine, un paradiso; ma può essere anche un inferno»[87]. La sua principale missione consisterà dunque «nella mediazione e nell’instaurazione dell’armonia tra l’Occidente e l’Oriente. Siamo una porta e una soglia: una porta verso oriente, una soglia che deve essere attraversata da chi si dirige dall’Oriente verso l’Occidente»[88].
Il continente americano, invece, dovrà innanzitutto fare ordine al proprio interno, eliminando «il sistema schiavistico bianco dello strato dirigente pluto-giudaico-massonico-marxista ed anglo-puritano, per realizzare una vita morale, spirituale e materiale che possa fare dell’America un membro degno della comunità umana»[89]. Dunque, dopo la sconfitta totale «delle potenze guida del vecchio quadro mondiale, il grande spazio europeo eserciterà un’influenza decisiva sulla vita del grande spazio americano»: al posto del sistema liberale, «come proiezione dell’ordine e del sistema europeo, nascerà […] quel grande spazio nazionalista e socialista che sarà guidato e indirizzato dalla nuova Washington e dalla nuova nazione nordamericana»[90].
Vi è ora da illustrare il modo in cui Szálasi applica, da un punto di vista concretamente geopolitico, le categorie che sono state elencate poco sopra al nuovo quadro mondiale.
Innanzitutto, egli identifica un grande spazio europeo, uno asiatico ed uno americano. Per quanto concerne il grande spazio europeo, esso «prende i suoi elementi costitutivi dalla capacità gondwaniana di creare cultura, dalla capacità ariana di edificare civiltà e dall’abilità organizzativa nordica in fatto di tecnologia»[91]. Ciò significa che esso riceve la sostanza della sua cultura dalla razza «gondwaniana», che abita i territori situati a nord-est dell’antico limes dell’Impero Romano (ovvero, grosso modo, della linea Reno-Alpi-Danubio), l’essenza della sua civiltà dalla razza ariana situata a sud della medesima linea e le risorse (materiali ed organizzative) necessarie al suo sviluppo tecnologico dalla razza nordica, che popola la periferia dell’Europa occidentale e l’isola britannica[92]. Inoltre, il grande spazio europeo può essere suddiviso in due territori fondamentali: l’«Europa politica» e l’«Africa politica».
Per quanto riguarda l’«Europa politica», Szálasi chiarisce che «Il continente europeo, continente guida [del grande spazio], non corrisponde più ad un concetto geografico, ma è diventato spazio politico e realtà politica»; pertanto, «esso non coincide col proprio territorio geografico, ma è molto più grande di esso». Infatti, comprende anche «quei territori asiatici che si estendono fino ai confini orientali del grande spazio europeo e, in generale, i territori dell’Africa che si trovano a nord della linea Aden-Dakar»[93]. Durante il corso della storia, in diverse zone di questa vasta area geografica si sono potuti sviluppare tre differenti indirizzi di organizzazione politica e sociale: uno «italiano, che vede nello Stato la sostanza e il fondamento di tutto»; uno «tedesco, che a fondamento di tutto pone la razza ed il suo effetto immediato, il popolo»; ed uno «ungherese, che riconosce e individua la sostanza e fondamento di tutto nella nazione»[94]. Il primo di essi caratterizza la zona situata a sud del vecchio limes romano e vi si è potuto affermare proprio in conseguenza delle peculiarità naturali e geografiche di quest’area. Infatti, a causa della sua collocazione geografica (alla periferia del continente europeo, collegata dal Mar Mediterraneo alle aree periferiche settentrionali e occidentali dell’Africa e dell’Asia), questo territorio è abitato da popoli fra loro «molto diversi e appartenenti a razze diverse», che «si trovano a stretto contatto l’uno con l’altro»[95]. Pertanto, in condizioni del genere «l’autorità e l’ordine possono essere mantenuti solo da un potere statale rigidamente installato, che si ponga al di sopra delle razze e dei popoli ed amministri la giustizia in modo imparziale»[96]. È per questo motivo che gli elementi fondamentali della civiltà hanno potuto prendere forma in questa zona. Chiaramente, a partire dagli anni venti, tale indirizzo si è concretizzato nel fascismo italiano. L’indirizzo «tedesco», invece, si è sviluppato nella zona a nord del limes, ovvero nel «territorio germano-slavo». A causa dell’omogeneità delle popolazioni che abitano questo territorio, in esso si sono potuti consolidare quelli che per Szálasi sono i fattori della cultura: «la razza, il popolo e l’intimo rapporto di queste due realtà con l’assoluto. Perciò in questi territori Dio, razza e popolo sono stati e stanno al centro dell’ordine d’idee d’ogni epoca»[97]. Frutto di questo indirizzo è chiaramente la Völkische Bewegung tedesca, che «ha collocato nel proprio obiettivo la razza totale», ma non solo: «anche la pratica russa del marxismo non solo ha ripartito il suo Stato per le esigenze dell’amministrazione pubblica, ma ha dovuto scegliere il fondamento etnico come spina dorsale di essa»[98]. Nello spazio europeo si profilano dunque due territori distinti, uno meridionale ed uno settentrionale, aventi tradizioni politiche ed organizzative assai differenti. Secondo Szálasi, queste due zone, divise da catene montuose quali le Alpi e i Carpazi, nel corso della loro storia si sarebbero sviluppate in modo totalmente separato e indipendente, se non fosse stato per il ruolo fondamentale svolto dal fiume Danubio, che le ha collegate scorrendo da ovest verso est: «Il Danubio è dunque il fattore che rende unitaria l’Europa, l’unico in grado di riunire completamente la rete idrica europea dalla Volga alla Garonna»[99]. L’Autore nota che «Il territorio chiave di questo corso fluviale è quello che conosciamo sotto il nome di Europa sudorientale e il cuore di questo territorio chiave è quel paese che finora l’Europa non ha voluto accettare sotto il nome di Ungheria»[100]. La caratteristica principale del territorio dell’Europa sudorientale è che «accanto all’unità geografica, geostorica, geogiuridica, geosociologica e geoeconomica, la sua composizione etnica non è unitaria. Questo territorio, si potrebbe dire, è un cumulo di detriti etnici»[101]. Proprio a causa di questa sua peculiarità fondamentale, secondo Szálasi, in esso è nato e si è potuto sviluppare il concetto di nazione inteso come «comunità vitale, sociale e di destino dei popoli serrati in uno spazio vitale»[102]. Dunque, «“Nazione” e “Popolo guida” è il risultato di un popolo, quello ungherese, che prende atto dei dati dell’Europa sudorientale e costruisce sulla loro base»[103]; risultato che, ovviamente, viene perfezionato nella dottrina ungarista. Secondo Szálasi, fra i tre indirizzi politici del Fascismo, della Völkische Bewegung e dell’ungarismo, sarà proprio quest’ultimo che in Europa «influenzerà maggiormente i sistemi nazionalisti e socialisti nella loro realizzazione pratica»[104]. Infatti, i diversi spazi vitali che divideranno il territorio europeo, saranno composti al loro interno da una notevole pluralità di etnie, in un modo simile alla zona dell’Europa sudorientale. Pertanto, le categorie pratiche di “nazione” e “popolo guida” non potranno essere ignorate da nessuno, ma dovranno essere recuperate ed utilizzate in ogni spazio vitale dell’«Europa politica». In questo modo, è evidente che l’ungarismo si presenta come «un pensiero e un sistema ideale non soltanto ungherese, ma europeo al tempo stesso»[105].
Nel suo lungo discorso, Szálasi dedica un certo spazio anche alla questione dell’Islam. Innanzitutto, egli nota che «il mondo islamico è, in maniera eminente, una comunità di cultura, un duro nocciolo morale e spirituale, sul quale molti finora si sono rotti i denti»[106]. Inoltre, rileva che le popolazioni che abitano l’area del Vicino Oriente, ormai «hanno acquisito coscienza decisiva e rivendicano la loro conoscenza. Possiamo osservare e constatare che queste comunità dell’Islam si vogliono organizzare in una comunità popolare; quindi si sbarazzano di ogni ostacolo politico, economico e sociale che glielo impedisce, perché si rendono conto che solo così potranno conquistare il posto che spetta loro nel nuovo quadro mondiale»[107]. Tuttavia, queste comunità mancano delle risorse necessarie (sia in termini di materie prime, che di strumenti e di conoscenze tecnologiche) per l’edificazione di un autentico grande spazio indipendente. Pertanto, dopo la guerra il loro territorio dovrà integrarsi col grande spazio europeo, al fine di soddisfare le «esigenze di civiltà e di tecnologia» di questi popoli, almeno finché non «si rivelino fondate le ipotesi secondo cui in Africa vi sarebbe abbondanza di materie prime in grado di costituire le basi salde e incrollabili della civiltà e della tecnologia»; soltanto allora, potrà sorgere «il quarto grande spazio, quello islamico, in una completa unità di cultura, di civiltà e di tecnologia»[108].
Alla luce di tali considerazioni, Szálasi individua, nel territorio della cosiddetta «Europa politica», ben cinque diversi spazi vitali «integri e netti»:
- uno «spazio vitale sudoccidentale o latino, altrimenti detto del Mar Mediterraneo»[109], che come proprio sistema e ordinamento ha quello del Fascismo e come proprio popolo guida quello italiano. La sua missione «consiste nell’assicurare la vita dei territori meridionali del grande spazio europeo, nel prendere in considerazione l’Africa e il suo collegamento organico con la vita del grande spazio europeo»[110];
- uno «spazio vitale nordorientale o slavo, altrimenti detto lo spazio vitale della pianura sarmatica» ed uno «spazio vitale nordoccidentale o germanico, altrimenti detto lo spazio vitale dei cinque fiumi [Reno, Weser, Elba, Oder e Vistola]»[111]. I loro rispettivi popoli guida sono quelli russo e tedesco. Tuttavia, questi due spazi vitali dovranno unirsi in un unico «spazio vitale germano-slavo», il cui indirizzo politico di riferimento sarà quello della Völkische Bewegung e la cui missione consisterà «nell’assicurare la vita dei territori settentrionali del grande spazio europeo, nel creare ed organizzare i traffici e le relazioni vitali verso i grandi spazi americano ed asiatico» ed in particolare «nell’assicurare l’armonia vitale dei grandi spazi europeo ed asiatico»[112];
- uno «spazio vitale dell’Europa sudorientale, altrimenti detto spazio vitale carpato-danubiano»[113], che come propria dottrina di riferimento ha quella dell’ungarismo e come proprio popolo guida quello ungherese. La sua missione consiste «nell’assicurare e nell’organizzare la vita politica, economica e sociale dell’Europa sudorientale, nonché nel creare ed assicurare verso sudest, insieme con lo spazio vitale islamico, la relazione vitale del grande spazio europeo col grande spazio asiatico»[114];
- uno «spazio vitale dell’Asia Anteriore o dell’Islam», dove, tuttavia, quest’ultimo «deve ancora costruirvi il suo proprio sistema e ordinamento, le cui basi dovranno poggiare sul nazionalismo e sul socialismo»[115]. La sua missione «consiste nella [completa] realizzazione dell’autocoscienza del mondo islamico in quanto popolo, nella sua partecipazione alla scoperta dell’Africa, nonché nell’assicurare, insieme con lo spazio vitale carpato-danubiano, una stretta relazione vitale» tra il grande spazio europeo e quello asiatico[116].
In seguito Szálasi torna a soffermarsi sullo spazio vitale carpato-danubiano, notando che «esso è lo spazio più perfettamente centrale del grande spazio europeo e il territorio più europeo di questo grande spazio»[117]. A tal riguardo, egli afferma che «Le guide e gli eruditi del liberalismo direbbero: classico esempio di territorio di collisione»; e sostiene che essi «Avrebbero ragione, se l’Europa venisse riorganizzata in conformità di una prospettiva liberale»[118]. Ma all’interno del nuovo quadro mondiale nazionalsocialista, «non possono esistere territori di collisione, perché ciò sarebbe in contraddizione con l’intero nuovo sistema. I grandi spazi devono essere costruiti proprio per escludere la possibilità di collisioni tra essi ed all’interno di essi. Quindi lo spazio dell’Europa sudorientale non è un luogo di collisione, non è il cosiddetto isolatore e separatore internazionale […] bensì una necessaria unità costitutiva del grande spazio europeo»[119]. Infatti, qualora si volesse fare di questo spazio un territorio di contrasti e di conflitti, in Europa non si affermerebbe altro che «un sistema di arbitrio imperialistico, che getterebbe nella confusione il grande spazio europeo; ciò provocherebbe un’inerzia o un’impotenza europea, della quale né il grande spazio asiatico né quello americano guarderebbero immobili le manifestazioni suicide»[120]. Secondo Szálasi, nel nuovo contesto globale, la pratica stessa del colonialismo dovrà essere completamente abbandonata; infatti, in un discorso di quasi un anno precedente[121] egli affermava che «con l’ineluttabile comparsa del grande spazio vengono completamente a cessare sul globo terrestre le condizioni e le possibilità della colonizzazione, nonché l’inevitabilità di quest’ultima». Lo stesso concetto di spazio vitale, infatti, si pone in radicale antitesi rispetto a tale prassi: «Nemmeno una parte del grande spazio si comporrà di colonie, ma si comporrà di spazi vitali».
Per quanto concerne invece l’«Africa politica», essa comprende tutto il territorio del continente africano situato a sud della linea Aden-Sakar, compresi i suoi arcipelaghi. Secondo Szálasi, questo territorio non può assolutamente costituire un grande spazio a parte, in quanto «Si tratta di una zona che, sotto il profilo della cultura, della civiltà e della tecnologia, non può fare a meno della guida, della direzione e del controllo dell’Europa»[122]. Inoltre, l’Europa stessa ha un grande bisogno delle risorse che si trovano in questo territorio, a tal punto che «Soltanto insieme con questa parte, l’Europa potrà dirsi autosufficiente»[123]. Pertanto, la parte settentrionale dell’«Africa politica» ricadrà nella sfera di competenza della nazione latina, «mentre la parte meridionale, insieme con gli arcipelaghi fino alle Isole Kerguelen, toccherà alla sfera degli spazi vitali germano-slavi»[124]. Tuttavia, Szálasi precisa che «Ambedue le parti […] assolveranno e porteranno coscienziosamente a termine il loro compito, soltanto se nei loro territori non si comporteranno secondo l’attuale sistema coloniale, ma vi ambienteranno dei sistemi in grado di collegare organicamente al grande spazio, secondo principi di armonia e di ordine, pure questo territorio, anche per il vantaggio morale, spirituale e materiale dei popoli che vivono su di esso»[125].
Quasi al termine del suo discorso, Szálasi chiarisce che il nuovo ordine geopolitico del globo sarà il frutto della nuova visione del mondo, ovvero quella del nazionalsocialismo, che dovrà accomunare ogni singolo popolo del pianeta. Ciò significa che inizierà una nuova epoca per la storia dell’umanità, segnata da un nuovo modo di intendere la vita, e che la visione liberale del mondo dovrà essere definitivamente espunta dalla Terra. La speranza profonda che ciò possa realizzarsi, e che il popolo ungherese possa conquistarsi il posto che gli spetta nel mondo, lo porta a vedere anche quello che, in verità, in quel momento non si stava affatto verificando: «Il ruolo guida di Washington, Londra e Parigi tramonta col tramontare del liberalismo e del marxismo; come fattore globale di potenza e di dominio sorge e subentra la triplice stella del nazionalsocialismo: Berlino, Roma, Tokyo»[126].
* * *
Senza alcun dubbio, il discorso geopolitico di Ferenc Szálasi è strettamente legato al momento storico in cui venne pronunciato. Tuttavia, esso presenta diversi elementi di originalità ed è in grado di fornire alcuni spunti di riflessione validi ancora oggi. Ad esempio, è molto stimolante il modo in cui Szálasi integra il concetto di nazione con quello di grande spazio (a fronte di coloro che vedono fra le due nozioni una sostanziale incompatibilità); inoltre, particolarmente interessante è il ruolo che egli attribuisce allo spazio vitale carpato-danubiano all’interno del grande spazio europeo; per non parlare, poi, del modo in cui concepisce le relazioni fra l’Europa e l’Africa, facenti parte entrambe di un unico grande spazio. Ma esula dallo scopo del presente scritto una trattazione critica da un punto di vista teorico-geopolitico del discorso di Szálasi.
Particolarmente stimolante sarebbe uno studio comparativo fra la visione geopolitica di Szálasi e quella di autori fondamentali come Karl Haushofer e Carl Schmitt, per stabilire in che misura questi ultimi hanno influenzato la riflessione del capo crocefrecciato e se esso è stato in grado di integrare positivamente le loro teorie apportando degli elementi di novità. Inoltre, si potrebbero effettuare interessanti comparazioni anche con le elaborazioni teoriche di alcuni autori contemporanei, quali, ad esempio, Samuel Huntington e Aleksandr Dugin, che usano categorie molto simili a quelle di Szálasi (“grande spazio”, “civiltà”, “stato guida” ecc.).
In conclusione, lo scopo ultimo del presente lavoro vuole essere quello di fornire un modesto strumento per effettuare studi utili a pensare ad una nuova divisione geopolitica del mondo, ad un nuovo nomos della Terra (schmittianamente parlando), contro l’idea di un mondo unipolare annichilito sotto il segno liberale. Tuttavia, si deve ammettere che al giorno d’oggi non è per nulla semplice porsi in una simile prospettiva teorica; forse, però, occorrerebbe non dimenticarsi dell’imperativo con cui Ferenc Szálasi conclude il suo discorso: «Perseveranza!».
NOTE
[1] Claudio Mutti, Ferenc Szálasi e le croci frecciate, in Ferenc Szálasi, Diario dal carcere, Edizioni all’insegna del Veltro, Parma 1997, p.13.
[2] Per quanto concerne la carriera scolastica e accademica di Szálasi, dopo aver completato le otto classi del real ginnasio militare entrò nell’imperial-regia accademia ufficiali. Dopo la prima guerra mondiale frequentò l’accademia dello Stato Maggiore, allora chiamata Scuola di Guerra, e quest’ultimo fu il suo titolo di studio più elevato.
[3] András de László, La battaglia di Ferenc Szálasi, in F. Szálasi, Diario dal carcere, cit., p. 84.
[4] C. Mutti, Ferenc Szálasi e le croci frecciate, cit., p. 15.
[5] Robert Cazenave, Naissance et développement du fascisme hongrois, “La Revue d’Histoire du Nationalisme Révolutionnaire”, n.1, été 1989 (pagine non numerate); citato in C. Mutti, Ferenc Szálasi e le croci frecciate, cit., pp. 15-16.
[6] Questo era il nome che veniva attribuito ai militanti del Partito della Volontà Nazionale, a causa del colore della loro divisa. In quegli stessi anni, Camicie Verdi venivano chiamati per la stessa ragione anche i legionari della Guardia di Ferro rumena.
[7] C. Mutti, Ferenc Szálasi e le croci frecciate, cit., p. 16.
[8] Ivi, p. 17
[9] Ivi, pp. 17-18
[10] Tale nome deriva dal simbolo scelto per il partito, la cosiddetta “croce frecciata”, ovvero una croce (a volte di colore verde ed altre di colore nero) al termine delle cui braccia vi erano delle punte di freccia. Per un’analisi del rapporto vigente fra questo simbolo e la mistica di Ferenc Szálasi si veda il saggio di Róbert Horváth, Spiritualità di Ferenc Szálasi, in F. Szálasi, Diario dal carcere, cit., pp. 5-12.
[11] C. Mutti, Ferenc Szálasi e le croci frecciate, cit., p. 18.
[12] Mariano Ambri, I falsi fascismi. Ungheria, Jugoslavia, Romania 1919-1945, Jouvence, Roma 1980, p. 110. In verità, il nome corretto dell’ideologia di Szálasi e del suo partito sarebbe quello di “ungarismo”. Delle linee fondamentali di tale corrente di pensiero si parlerà in modo specifico nel prossimo paragrafo del presente scritto.
[13] C. Mutti, Ferenc Szálasi e le croci frecciate, cit., p. 19.
[14] Ivi, p. 20.
[15] Ivi, p. 21. Vi è da sottolineare che tale progetto era appoggiato in modo esplicito dalla Germania nazista.
[16] Ivi, p. 22.
[17] François Duprat, Le Croci Frecciate in Ungheria, in AA. VV., I fascismi sconosciuti, Milano 1969, p. 64; citato in C. Mutti, Ferenc Szálasi e le croci frecciate, cit., p. 22.
[18] C. Mutti, Ferenc Szálasi e le croci frecciate, cit., p. 22.
[19] M. Ambri, I falsi fascismi. Ungheria, Jugoslavia, Romania 1919-1945, cit., p. 17.
[20] C. Mutti, Ferenc Szálasi e le croci frecciate, cit., p. 23.
[21] M. Ambri, I falsi fascismi. Ungheria, Jugoslavia, Romania 1919-1945, cit., pp. 115-116.
[22] A. de László, La battaglia di Ferenc Szálasi, cit., p. 91.
[23] Ivi, p. 92.
[24] Ibidem
[25] Ivi, p. 93.
[26] Ivi, pp. 93-94
[27] Ivi, p. 94.
[28] C. Mutti, Ferenc Szálasi e le croci frecciate, cit., p. 24.
[29] A. de László, La battaglia di Ferenc Szálasi, cit., p. 94.
[30] Ivi, p. 94-95.
[31] Ivi, p. 95.
[32] Ivi, p. 96.
[33] Citato in C. Mutti, Ferenc Szálasi e le croci frecciate, cit., p. 24.
[34] A. de László, La battaglia di Ferenc Szálasi, cit., p. 97.
[35] Ivi, p. 98.
[36] C. Mutti, Ferenc Szálasi e le croci frecciate, cit., p. 24
[37] M. Ambri, I falsi fascismi. Ungheria, Jugoslavia, Romania 1919-1945, cit., p. 121.
[38] Marzio Gozzoli, Popoli al bivio. Movimenti fascisti e resistenza nella seconda guerra mondiale, Ritter, Milano 1989, p. 154; citato in C. Mutti, Ferenc Szálasi e le croci frecciate, cit., p. 26.
[39] C. Mutti, Ferenc Szálasi e le croci frecciate, cit., p. 26.
[40] Ivi, p. 27.
[41] A. de László, La battaglia di Ferenc Szálasi, cit., p. 87.
[42] M. Ambri, I falsi fascismi. Ungheria, Jugoslavia, Romania 1919-1945, cit., p. 96.
[43] A. de László, La battaglia di Ferenc Szálasi, cit., p. 87.
[44] Ibidem
[45] M. Ambri, I falsi fascismi. Ungheria, Jugoslavia, Romania 1919-1945, cit., p. 97.
[46] Ivi, p. 98.
[47] A tal riguardo si vedano i seguenti discorsi programmatici tenuti da Szálasi: Discorso al Gran Consiglio operaio del 18 ottobre 1942, in Claudio Mutti (a cura di), Kitartás. Ferenc Szálasi, le Croci Frecciate e il nazionalsocialismo ungherese, Edizioni di Ar, Padova 1974, pp. 13-28; Discorso al Gran Consiglio Contadino del 22 novembre 1942, in C. Mutti, Kitartás. Ferenc Szálasi, le Croci Frecciate e il nazionalsocialismo ungherese, cit., pp. 29-59; Discorso al Gran Consiglio degli intellettuali del 27 dicembre 1942, in Ferenc Szálasi, Discorso agli intellettuali, Edizioni di Ar, Padova 1977.
[48] M. Ambri, I falsi fascismi. Ungheria, Jugoslavia, Romania 1919-1945, cit., p. 99.
[49] Ferenc Szálasi, Grande spazio, spazio vitale, popolo guida, Edizioni all’insegna del Veltro, Parma 2017, p. 26.
[50] M. Ambri, I falsi fascismi. Ungheria, Jugoslavia, Romania 1919-1945, cit., p. 98.
[51] Ivi, p. 99.
[52] Ivi, p. 100.
[53] Ibidem
[54] Ivi, pp. 100-101.
[55] A. de László, La battaglia di Ferenc Szálasi, cit., p. 89.
[56] Ivi, p. 90.
[57] F. Szálasi, Grande spazio, spazio vitale, popolo guida, cit., p. 30.
[58] Ibidem
[59] M. Ambri, I falsi fascismi. Ungheria, Jugoslavia, Romania 1919-1945, cit., p. 101.
[60] C. Mutti, Ferenc Szálasi e le croci frecciate, cit., p. 25.
[61] F. Szálasi, Grande spazio, spazio vitale, popolo guida, cit. A causa della rilevanza del suo contenuto per la dottrina geopolitica, tale discorso è stato pubblicato dalle Edizioni all’insegna del Veltro di Parma in una collana denominata “Quaderni di geopolitica”, che fra gli altri raccoglie scritti di Karl Haushofer e di Johann von Leers.
[62] F. Szálasi, Grande spazio, spazio vitale, popolo guida, cit., p. 13.
[63] Ivi, p. 14.
[64] Ivi, p. 15; corsivo nostro. Si può assai realisticamente presumere che questa terminologia utilizzata da Szálasi sia ispirata al lessico geopolitico di due grandi intellettuali tedeschi dell’epoca: Karl Haushofer e Carl Schmitt. A tal riguardo, si veda Claudio Mutti, Introduzione, in F. Szálasi, Grande spazio, spazio vitale, popolo guida, cit., pp. 5-11.
[65] Riguardo tale concetto fondamentale della teoria giuridica e politica del giurista tedesco Carl Schmitt, si vedano: Carl Schmitt, Il nomos della terra nel diritto internazionale dello “jus publicum europaeum”, Adelphi, Milano 1991, pp. 19-77; Id., Appropriazione/divisione/produzione. Un tentativo di fissare correttamente i fondamenti di ogni ordinamento economico-sociale a partire dal «nomos», in G. Miglio e P. Schiera (a cura di), Le categorie del ‘politico’. Saggi di teoria politica, il Mulino, Bologna 1972, pp. 293-312; Id., Nomos-presa di possesso-nome, in G. Gurisatti (a cura di), Stato, grande spazio, nomos, Adelphi, Milano 2015, pp. 337-60.
[66] F. Szálasi, Grande spazio, spazio vitale, popolo guida, cit., p. 16.
[67] Ivi, p. 19; corsivo nostro.
[68] Ivi, p. 20.
[69] Ibidem
[70] Ivi, pp. 20-21.
[71] Ivi, p. 21.
[72] Ibidem
[73] Ibidem; corsivo nostro.
[74] Ibidem
[75] Ivi, pp. 21-22.
[76] Ivi, p. 22.
[77] Ibidem
[78] Ivi, p. 25.
[79] Ivi, p. 26.
[80] Ibidem
[81] Ivi, p. 27.
[82] Ibidem
[83] Ivi, pp. 27-28.
[84] Ivi, p. 31.
[85] Ivi, p. 32.
[86] Ibidem
[87] Ibidem
[88] Ivi, p. 33.
[89] Ivi, p. 27.
[90] Ivi, p. 28.
[91] Ivi, p. 41; corsivo nostro.
[92] Szálasi sottolinea l’importanza di tenere ben distinti e non confondere l’uno con l’altro i diversi fattori della cultura, della civiltà e della tecnologia. Altrimenti, la conseguenza potrebbe essere quella di giungere a vedere «nella tecnologia la più alta vetta e il compimento della cultura» (Ivi, p. 42). Secondo l’Autore, questo è proprio ciò che è avvenuto nel caso dei popoli appartenenti alla razza nordica: «La mancata delucidazione dei concetti e delle realtà corrispondenti ha potuto far sì che ogni creazione culturale del globo terrestre venisse attribuita alla stirpe anglosassone di provenienza nordica» (Ibidem). Al contrario, Szálasi sostiene che nei territori da loro colonizzati gli Anglosassoni abbiano introdotto soltanto i loro mezzi e le loro conoscenze tecnologiche, peraltro nel loro egoistico interesse: «Non vi hanno potuto portare né cultura né civiltà […]. Non si poteva nemmeno parlare di opera di civilizzazione, perché hanno colonizzato dappertutto in maniera brutale […]; e ciò non ha proprio nulla a che fare con la civilizzazione, ma tutt’al più col profitto» (Ibidem). Dunque, «data la mancanza di cultura attestata dagli Anglosassoni, occorre assolutamente contestare loro il diritto di parlare dei vantaggi della cultura, della civilizzazione e della tecnologia. È come se le mammane parlassero della benedizione rappresentata dalla prole» (Ivi, p. 43).
[93] Ivi, p. 44. Szsálasi si riferisce, in altre parole, all’area geografica del Vicino Oriente e a quella del Nordafrica.
[94] Ibidem; corsivo nostro.
[95] Ivi, p. 45.
[96] Ibidem
[97] Ivi, p. 46.
[98] Ibidem. È sorprendente notare come anche l’intellettuale francese Pierre Drieu la Rochelle, solo qualche mese prima rispetto a Szálasi, avesse avuto nel suo diario personale più o meno la stessa impressione: «I russi hanno una forma, mentre gli americani non ne hanno. Sono una razza, un popolo; gli americani sono un’accolita di ibridi. Quando si ha una forma, si ha una sostanza; ebbene, i russi hanno una forma. Il marxismo è una febbre di crescenza in un corpo sano. Credevamo che quel corpo magnifico fosse marcio, ma non è così» (citato in Claudio Mutti, Un solo stendardo rosso, in Autori vari, Omaggio a Drieu la Rochelle, Edizioni all’insegna del Veltro, Parma 1996, pp. 67-83).
[99] F. Szálasi, Grande spazio, spazio vitale, popolo guida, cit., pp. 46-47.
[100] Ivi, p. 47; corsivo nostro.
[101] Ibidem
[102] Ibidem
[103] Ibidem
[104] Ivi, p. 48.
[105] Ivi, p. 49.
[106] Ivi, p. 53.
[107] Ivi, p. 33; corsivo nostro.
[108] Ivi, p. 53. È interessante notare che secondo Szálasi, nel periodo successivo alla fine del conflitto, a causa delle sue intrinseche caratteristiche e della sua posizione geografica, sarà proprio il popolo ungherese a svolgere un ruolo decisivo per lo sviluppo tecnico-industriale dell’area islamica e per la sua integrazione nel grande spazio europeo.
[109] Ivi, p. 49; corsivo nostro.
[110] Ivi, p. 54.
[111] Ivi, p. 49; corsivo nostro.
[112] Ivi, p. 54; corsivo nostro. A tal riguardo bisogna rilevare che Szálasi rimprovera al «territorio germano-slavo» di non aver saputo, finora, «raggiungere quella necessaria superiore unità con cui avrebbe potuto adempiere alla sua missione morale, spirituale e materiale all’interno dell’Europa e in direzione dello sviluppo dell’umanità» (Ivi, p. 46). Tuttavia, l’Autore non chiarisce affatto il modo in cui tale unificazione dovrà realizzarsi e nemmeno il ruolo che in questo processo dovranno avere i due popoli guida tedesco e russo.
[113] Ivi, pp. 49-50; corsivo nostro.
[114] Ivi, p. 54.
[115] Ivi, p. 50.
[116] Ivi, p. 54.
[117] Ivi, p. 56.
[118] Ivi, pp. 56-57; corsivo nostro.
[119] Ivi, p. 57; corsivo nostro. È alquanto sorprendente osservare come, con tali considerazioni sull’area danubiano-carpatica, Szálasi sembri rivolgersi direttamente contro la teoria delle cosiddette “linee di faglia” elaborata dal politologo americano Samuel Phillips Huntington ben cinquant’anni più tardi. Riguardo tale riflessione di Huntington, si veda Samuel P. Huntington, Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale, Garzanti, Milano 2000.
[120] F. Szálasi, Grande spazio, spazio vitale, popolo guida, cit., p. 57.
[121] Discorso al Gran Consiglio Contadino del 22 novembre 1942, cit.
[122] F. Szálasi, Grande spazio, spazio vitale, popolo guida, cit., p. 50.
[123] Ibidem
[124] Ibidem
[125] Ibidem. Le considerazioni di Szálasi sul continente africano e sulla relazione di questo con l’Europa, appaiono decisamente simili a quelle che esprimerà una ventina d’anni dopo un altro geopolitico militante, ovvero Jean Thiriart. Basti pensare alle seguenti parole: «L’Africa deve vivere in simbiosi con l’Europa, giacché ne è la continuazione naturale. È nostro interesse associarci ai popoli dell’Africa ed aiutarli, con i mezzi opportuni, a raggiungere quello sviluppo materiale e spirituale che li libererà dall’anarchia e permetterà loro di acquistare, grazie a noi, una reale agiatezza economica. L’Africa moderna non può fare a meno dell’Europa. Le economie di questi due continenti sono complementari. L’Europa, inoltre, non può tollerare in nessun caso che una potenza extra africana si possa insediare in Africa e minacciarla così sul fianco meridionale» (Jean Thiriart, L’Europa: un impero di 400 milioni di uomini, avataréditions, Dublino 2011).
[126] F. Szálasi, Grande spazio, spazio vitale, popolo guida, cit., p. 61.
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