Un Paese “mega-diverso”
Il Perù è uno dei dieci Paesi “mega-diversi” per ricchezza biologica e di specie viventi, il quarto per estensione di foreste tropicali al mondo e che presenta 11 ecoregioni e 28 dei 32 climi esistenti in natura. Possiede 12201 laghi e lagune e 1007 fiumi e rii e che superano nel complesso i 14000 chilometri di lunghezza di vie fluviali (di cui 4000 sono commercialmente navigabili). Questo paese andino è anche il secondo produttore mondiale di rame (dopo il Cile), di zinco (dopo la Cina), terzo produttore di argento e sesto di oro.
Tali dati celano le enormi potenzialità del settore ortofrutticolo, della pesca ed agricolo in generale; cifre ancora poco conosciute, ma che sono la fonte di quel 6,3% di crescita annuale media che dura da più di un decennio (dal 2000) e che ha fatto meritare al paese l’epiteto di “estrella fulgorante” (stella sfolgorante). Ça va sans dire che lo sviluppo del settore minerario è una componente fondante di tale crescita. Un settore che è fiore all’occhiello ed allo stesso tempo è al centro e causa di grandi conflitti e polemiche che sarebbe oltremodo riduttivo stigmatizzare in un’antitesi tra ambientalisti integralisti retrogradi ed intrepidi promotori dello sviluppo minerario. Per cercare di comprenderne le ragioni ed in secondo luogo, analizzare l’impronta alle relazioni internazionali data dal governo Humala, bisogna immergersi innanzitutto in un contesto “ricco”, anche questo, di paradossi e “doppi discorsi”.
Dei paradossi
Quello che queste cifre sfolgoranti non permettono di cogliere è, come spesso accade, la realtà fisica del paese e lo svolgersi della vita reale della popolazione.
In una superficie estesa quattro volte quella italiana, in un territorio che la geografia naturale impone di distinguere nelle tre regioni di costa, sierra (ovvero catena delle Ande) e selva (ovvero in prevalenza foresta amazzonica), dei più di 30 milioni di abitanti, circa un terzo vive a Lima. La capitale rappresenta di fatto il concentrato della “mega-diversità” sociale ed umana del paese: città di pueblos jovenes (corrispondenti alle più note favelas brasiliane) senz’acqua né strade e quartieri chiusi formati da ville con piscina. Ma soprattutto Lima, sede di un potere fortemente accentrato, che sa sfruttare a suo vantaggio le distanze fisiche e la diseguale distribuzione della popolazione: rispetto a Lima, “il resto” del paese è costituito da cifre da gestire, indigeni e campesinos (1), che risultano realtà lontane e poco conosciute dal nucleo dell’opinione pubblica e dell’elettorato.
Di tutte le suddette migliaia di laghi e fiumi, vi è solo il 2% di disponibilità di acqua nella costa, fortemente desertica e che paradossalmente rappresenta la regione in cui si concentra l’attività agricola e la restante popolazione. Un paradosso che è conseguenza della conformazione del territorio unita allo scarso sviluppo di un’adeguata rete infrastrutturale , che rende ancora moltissimi pueblos (centri abitati della sierra e della selva) difficilmente accessibili, condannandoli di fatto ad un’attività agricola per lo più di sussistenza o destinata ad un limitato mercato locale.
I dipartimenti (corrispondenti amministrativi delle nostre regioni) che occupano i primi posti quanto ad investimenti nell’industria mineraria, sono anche quelli che registrano i tassi più elevati di povertà e di denutrizione infantile. Tra questi si evidenzia Cajamarca, distretto andino del Nord, il cui 44,9% del territorio risulta sotto concessione mineraria: primo dipartimento per produzione di oro nel paese ed in cui il tasso di incidenza della povertà è superiore al 53%, quello di denutrizione infantile è del 37,6% e vi è ancora un 14,1% di analfabetismo (2).
Dei conflitti nel settore minerario
In questi paradossi evidenti si celano le cause primarie di una conflittualità elevatissima. Lo scorso aprile, nel suo rapporto mensile, la Defensoria del Pueblo ha denunciato l’esistenza di 229 conflitti tra attivi e latenti. Di questi conflitti 175 risultano attivi, ed il 72,6% (ossia 127) appaiono di natura socio-ambientale (3). Risulta quasi superfluo precisare che la maggior parte di tali conflitti (il 70,9%, ossia 90 casi) è relazionato con l’attività mineraria e presenta una forte correlazione con tematiche legate all’acqua.
Ma in cosa si traducono, nel concreto, tali conflitti? Quale incidenza hanno nel paese e nel guidare poi le mosse internazionali del potere centrale?
Una situazione emblematica è rappresentata dal cosiddetto “caso Conga”, sviluppatosi appunto nella regione di Cajamarca, su cui da anni indugia l’attenzione dei media e dell’opinione pubblica del paese, spaccata su un estremizzato “Conga va” – “Conga no va” e su cui gli investitori internazionali tengono gli occhi puntati.
Con il progetto minerario Conga l’impresa Yanacocha, joint venture tra la statunitense Newmont (53,35%), la compagnia Buenaventura (43,65%) e la Corporazione finanziaria internazionale (5%), vorrebbe realizzare uno sfruttamento prevalentemente aurifero senza precedenti: un totale di duemila ettari in concessione ed un investimento totale di 4800 milioni di dollari. Ora, il progetto, annunciato nel 2004 e per cui già si erano realizzate la fase previa di esplorazione e di valutazione di impatto ambientale del sito, si trova in una fase di stallo. Il progetto Conga dovrebbe infatti svilupparsi all’interno di un delicato ecosistema di cento ettari di “zona umida”, alla sorgente di cinque bacini idrografici e nella quale sono presenti quattro lagune, che verrebbero irrimediabilmente danneggiate: il progetto prevedrebbe due tagli aperti, uno dei quali di 2 km di larghezza ed 1 km di profondità, sopra la laguna Perol, mentre la laguna Azul si convertirebbe sostanzialmente in una discarica di rifiuti, accogliendo le 92000 tonnellate di rocce al giorno prodotte per 17 anni. In definitiva, le lagune verrebbero rimpiazzate da delle cisterne di acqua.
Quanto detto è solo uno degli aspetti critici del progetto che nel complesso modificherebbe irrimediabilmente l’ambiente, la fauna, l’agricoltura e quindi la vita di gran parte della popolazione cajamarquina – che nel novembre 2011 si rese protagonista di una forte protesta che portò ad una paralisi totale di qualsiasi attività. Da allora, in estrema sintesi, il conflitto si è giocato tra richieste di nuove perizie, perizie fortemente critiche sulla fattibilità del progetto (svolte da idrogeologi internazionali super partes), tentativi di discredito di tali documentazioni, alternate a vere e proprio opposizioni allo studio di impatto ambientale dei progetti. La conseguenza sono state marce di protesta degenerate in violenza che ha provocato diversi morti e richiesto l’intervento delle forze armate – intervento rafforzato dalla proclamazione a più riprese dello stato di emergenza.
Ad oggi, la situazione resta ambigua: non esiste l’ufficialità né della fattibilità del progetto, né della sua sospensione, ma a discapito delle ronde campesine di vigilanza (che dovrebbero impedire l’intraprendere di ulteriori attività sul sito), Yanacocha rimane positiva ed annuncia la costruzione di una prima cisterna – rafforzando tale posizione con l’acquisizione di macchinari necessari allo sviluppo del nuovo sito.
Della semplificazione e del doppio discorso del governo
Davanti a questo complesso banco di prova, ciò su cui sembra puntare il governo di Ollanta Humala è la semplificazione. A livello interno, complici il suddetto paradosso di una diseguale distribuzione della popolazione, con l’ausilio dei media non è difficile placare gli animi ed in particolar modo il dissenso degli abitanti della capitale (limegni) che, come detto precedentemente, rappresentano un terzo dell’intera popolazione peruviana. Questi, fisicamente distanti dal problema, sono assediati da (dis)informazione mediatica: chi ha posizioni ostili a Conga viene spesso dipinto in toto come un “anti-minero” o come un ambientalista integralista fermo su convinzioni retrograde colpevoli, per gli analisti governativi, di:
– Generare perdite di 350.000 dollari al giorno;
– perdita e mancata generazione di posti di lavoro;
– danni al turismo nella regione.
Tali argomentazioni, unite alla campagna mediatica, hanno la loro efficacia: mentre il 78% dei cajamarquini si oppone al progetto, il 54% della popolazione totale peruviana si pronuncia come favorevole (4).
A partire dall’inizio della paralisi (novembre 2011) ad oggi il Presidente Humala ha continuato a svolgere un pacato doppio discorso, ripetendo come un mantra il suo rifiuto a posizioni estreme che vedono “o l’acqua o l’oro” e che può coesistere “Y el agua Y el oro”.
Da un lato si mostra in abiti campesini in visita alle popolazioni di Cajamarca, dall’altro continua il dialogo con Yanacocha, la quale, nonostante le minacce di considerare alternative di investimento in Nevada, Australia, Ghana o Indonesia, sembra difficile che abbandoni i suoi interessi in Perù.
A chi accusa Humala di aver abbandonato le posizioni critiche nei confronti dei progetti minerari di Cajamarca (tenute durante la campagna elettorale), il presidente risponde rinnegando ogni tipo di affermazione in sentore “antiminero”, pronunciata prima del 28 luglio 2011 e ribadendo fermamente il concetto “Y el agua Y el oro”.
Come tecnicamente sia possibile raggiungere la coesistenza di questo binomio (acqua e oro) è difficile immaginarlo, se non mettendo in conto danni irreparabili all’ambiente. Ma appare evidente che questo è un costo che l’esecutivo stima sostenibile in rapporto allo sviluppo minerario ottenibile. Tale settore, nel 2012 ha rappresentato il 10% del PIL del Paese con un flusso di investimenti provenienti dall’estero di 8569 milioni di dollari (principalmente da Stati Uniti, Svizzera, Canada e Cina), senza contare le cifre generate dal pagamento dei canoni di esplorazione, sfruttamento dei siti ed altre spese di partecipazione imposte a tutte le compagnie minerarie senza distinzione. Da parte sua, l’esecutivo peruviano prevede lo stanziamento di 53000 milioni di dollari in progetti minerari, ponendo ancor più in evidenza l’importanza che vuole dare a tale settore.
Il governo conferma quindi la sua totale apertura ed accoglienza degli investimenti stranieri e la buona coesistenza con quelli nazionali nello stesso settore. Il tutto viene accompagnato da ulteriori semplificazioni: riduzione delle barriere d’ingresso al mercato minerario con l’obiettivo di ampliare la lista dei suoi partner (tra questi – i già citati Stati Uniti, Svizzera, Canada e Cina e – dal 2012 – l’UE) con cui è firmatario di importanti trattati di libero commercio. D’altra parte, in un Paese in cui nella bilancia commerciale la voce esportazioni costituisce il 29% del PIL ed il 56% di esse ha origine mineraria, la linea è già tracciata. Ecosistemi, lagune millenarie, popolazioni locali ed ambientalisti radicali possono solo retrocedere: la estrella fulgorante prosegue il suo cammino di crescita aurea.
*Laura Sesenna ha una laurea triennale in Giurisprudenza a Genova ed una laurea specialistica in Relazioni internazionali presso l’Université Catholique de Louvain. Ha lavorato per un anno a Lima con Fedepaz, ONG di avvocati impegnati nella difesa dei diritti umani e del diritto dell’ambiente.
(1) I “campesinos” sono i contadini, coloro che vivono dell’attività di agricoltura e pastorizia; normalmente vivono in comunità, nelle Ande, ed hanno un forte sentimento identitario di appartenenza al gruppo ed un vivo legame con la terra.
(2) 11° Observatorio de conflictos mineros en el Perú, Reporte segundo semestre, dic. 2012, CooperAccion, Fedepaz, Grufides. http://www.muqui.org/index.php?option=com_content&task=blogsection&id=14&Itemid=16
INEI, Instituto Nacional de Estadística e Informática: http://www.inei.gob.pe/web/PeruCifrasDetalle4.asp
(3) Reporte mensual de conflictos sociales n°110, Defensoría del pueblo, apr. 2013:
(4) 11° Observatorio, cit. “El 54% de los peruanos aprueba ejecución del proyecto minero Conga”, El Comercio, 2 mag. 2012: http://elcomercio.pe/economia/1409351/noticia-54-peruanos-aprueba-ejecucion-proyecto-minero-conga
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