Dal numero 1/2006 (gennaio-marzo 2006), Claudio Mutti

 
“Pound è l’inventore della poesia cinese per la nostra epoca”.

T.S. Eliot

 

Tra i manoscritti inediti di Ernest Fenollosa, consegnatigli dalla vedova del sinologo nel 1913, Ezra Pound ne trovò uno, intitolato The Chinese Written Character as a Medium for Poetry (1), che fu per lui una vera e propria folgorazione. “Il secolo scorso – scrisse Pound un paio d’anni dopo – riscoprì il Medioevo. È probabile che questo secolo trovi nella Cina una nuova Grecia. Intanto abbiamo scoperto una nuova scala di valori” (2).

Pound non si limitò a concepire una siffatta aspettativa, ma intraprese un’operazione culturale intesa a rendere accessibili tramite soluzioni originali i “valori” espressi dalla poesia cinese. E sembra proprio che ci sia riuscito, se accogliamo l’autorevole giudizio di Wai-lim Yip: “anche quando gli vengono dati i più nudi dettagli, riesce a penetrare nell’intenzione centrale dell’autore mediante quella che possiamo forse chiamare una specie di chiaroveggenza” (3).

Il primo risultato dell’incontro di Pound con la poesia cinese è, nel 1915, Cathay (4), una raccolta di traduzioni effettuate, come si legge nel sottotitolo, “for the most part from the chinese of Rihaku”, ossia dalle poesie di Li Tai-po (700-762). Vent’anni più tardi Pound pubblicherà il saggio di Fenollosa sugli ideogrammi cinesi, corredandolo di una breve Introduzione e di alcune Notes  by a Very Ignorant Man (4) che testimoniano l’approfondimento dell’interesse per la scrittura ideogrammatica. “Tra i fattori che attraggono Pound verso la scrittura cinese vi è certamente la sua immaginazione di tipo visivo e l’esigenza connaturata in lui di esprimersi per immagini rispondenti a cose visivamente concrete” (5).

Nel 1928 vede la luce Ta Hio, the Great Learning (6). Il Ta Hio (o Ta Hsio, ovvero Ta Hsüeh, “Grande Insegnamento” o “Studio Integrale”) è un testo prodotto della scuola di Confucio dopo la morte del Maestro; in esso “la moralità assume funzione cosmica, in quanto l’uomo opera la trasformazione del mondo e continua, quindi, nella società, il compito creativo del Cielo” (7), rivestendo la tipica funzione “pontificale” di mediatore fra il Cielo e la Terra. A Eliot, che gli chiede in che cosa creda, il 28 gennaio 1934 Pound risponde: “Credo nel Ta Hsio”. Dall’interesse per l’insegnamento di Confucio nascono anche le versioni poundiane dei Dialoghi (Lun Yü) (8), del Costante Mezzo (Chung Yung) (9) e delle Odi (Shih) (10).

Ha così inizio quel rapporto con Confucio che indurrà Pound a rintracciare nella dottrina del Maestro cinese le risposte più adatte ai problemi dell’Europa del Novecento: “Mi pare che la cosa più utile che io possa fare in Italia sia di portarvi ogni anno un brano del testo di Confucio” (11); e a ritenere che “Mussolini ed Hitler per magnifico intuito seguono le dottrine di Confucio” (12). La dottrina confuciana, così come la scrittura cinese, corrisponde all’esigenza poundiana di precisione linguistica. Per Confucio, infatti, la decadenza della società umana è dovuta al venir meno della corrispondenza tra le cose ed i “nomi” (ming), i quali normalmente definiscono l’insieme dei caratteri di una data realtà oppure indicano una funzione morale o politica; perciò un’efficace riforma della società deve partire proprio da quell’atto di restaurazione dell’armonia che è la “rettifica dei nomi” (cheng ming). Il passo degli Analecta (XIII, 3) relativo a tale concezione viene più volte parafrasato da Pound (13), il quale traduce cheng ming con un neologismo di suo conio, “ortologia”, e chiama “economia ortologica” una scienza economica basata sulla precisione terminologica.

Secondo alcuni interpreti sembrerebbe però che il rapporto con il Maestro K’ung Fu, da cui l’opera di Pound è profondamente segnata, non debba essere ridotto a termini puramente etici e politici. “Confucio, il pensiero confuciano – è stato sostenuto – svelarono a Pound un modo nuovo di percepire il mondo. Nuovo eppure antichissimo, perché chiave di tutta la tradizione cinese che K’ung aveva voluto salvare e restaurare. Ma chiave anche di una tradizione primordiale che continuò a parlare in Occidente nei Misteri greci e poi, ancora, nell’intuizione dei grandi poeti ‘romanzi’. La percezione del mondo come circolazione della Luce. E quindi come unità. Che è poi il fondamento, l’anima stessa della civiltà cinese” (14). Insomma, prima come ministro e poi come maestro di scuola Confucio “aspirò solo a ripulire e rafforzare l’anello di connessione tra gli uomini dei suoi tempi e la tradizione degli avi” (15), sicché Pound, attraverso Confucio, si avvicinò a quella saggezza tradizionale che in Europa aveva avuto i propri esponenti in Omero, Aristotele e Dante (da lui esplicitamente citati come tali nella Nota introduttiva al Ta Hsio), ma era ormai difficilmente accessibile nell’Europa del Novecento.

Nel gennaio del 1940 appaiono i Cantos LII-LXXI (16), i cosiddetti “Canti cinesi”, chiamati inizialmente da Pound Canti degli Imperatori di Catai, del Regno di mezzo. Pound li ha composti “per spiegare il suo ideale di Utopia sociale: essi ricordano il metodo impiegato da uno Spengler o da un Toynbee, i quali citano gli esempi della storia per indicare la tendenza ad un movimento da tenere in considerazione, qualora si intenda trar profitto dal giudizio e dagli errori del passato” (17). Se il Canto XIII era il Canto di Confucio, la decade LII-LXI passa in rassegna l’avvicendarsi delle dinastie cinesi, dal terzo millennio a. C. fino al 1735 d. C., ultimo anno del regno di Yung-Cheng, ma anche anno di nascita di John Adams, secondo presidente degli Stati Uniti. “Ora più che mai Pound applica la propria teoria ciclica della storia. Come nell’avvicendarsi delle stagioni, così nel loro succedersi le dinastie degli imperatori di Catai alternano pace e guerra, buon governo e mal governo, secondo un metodo espositivo che ne presenta l’operato come esempio positivo o negativo, a seconda dei casi” (18). D’altronde la fonte di Pound è costituita dall’opera del Padre De Mailla (19), il quale aveva interpretato il T’ung-chien kang-mu (“Abbozzo e dettagli dello specchio esauriente”) di Chu Hsi (1130-1200), fondatore del neoconfucianesimo. A sua volta, il testo di Chu Hsi è un sunto del Tzu-chih t’ung-chien (“Lo specchio esauriente per l’ausilio nel governo”), opera dello storiografo confuciano Ssu-ma Kuang. E lo scrittore confuciano, quando espone i fatti storici, privilegia le situazioni archetipiche: “Confucio impone questo sentimento del paradigma della storia, oltre il tempo, poiché il suo ingegno tende al giudizio morale, un genere di assoluto” (20). Ne risulta una visione della storia in cui “le figure degli imperatori si muovono e agiscono come esempi di buon governo, quando seguono le norme politiche confuciane e scelgono i loro collaboratori tra i letterati, oppure di mal governo, quando subiscono l’influenza di eunuchi, donne di palazzo, di buddhisti e taoisti” (21). Insomma, secondo la visione che Pound ha mediata da Chu Hsi l’armonia e la giustizia nell’ordine politico-sociale dipendono da una condotta conforme alla natura, mentre il disordine e la sovversione sono l’effetto della violazione delle norme naturali.

Così nell’opera di Pound la Cina diventa uno “specchio per l’Europa moderna, e per gli eterni principi di governo che altri prima di lui – uomini della statura di Voltaire – avevano avuto la certezza di vedere nella cronaca cinese” (22). La riscossione delle decime in granaglie, voluta da Yong Ching al fine di prevenire la carestia, è implicitamente paragonata alla politica degli ammassi proposta nell’Italia fascista dal ministro Edmondo Rossoni (Canto LXI), al quale Pound espose la teoria di Silvio Gesell e della moneta affrancabile; la festa offerta da Han Sieun al sovrano tartaro richiama alla mente lo spettacolo delle manovre sottomarine organizzato per il Führer a Napoli (Canto LIV) e così via.

L’adesione all’insegnamento di Confucio viene dunque esplicitamente ribadita fin dal Canto LII, che termina con l’enunciazione di due precetti confuciani. Il primo è quello della “rettifica dei nomi” (“Call things by the names”), che ricollega il Canto LII al Canto LI (ultimo della quinta decade), suggellato a sua volta con l’ideogramma cheng wing. Il secondo, desunto dallo Studio Integrale, nell’adattamento poundiano suona così: “Good sovereign by distributionEvil king is known by his imposts”.

Anche nel Canto LIII, che sintetizza gli eventi della storia cinese compresi tra l’ illud tempus dei mitici imperatori Yu-tsao e Sui-jen e il tramonto della dinastia Chou, troviamo importanti precetti confuciani. Per esempio: “A good governor is as wind over grassA good ruler keeps down the taxes”. In particolare, Pound rievoca il caso di un sovrano che emise direttamente la moneta e la distribuì al popolo: “(…) in 1760 Tching Tang opened the copper mine (ante Christum)made discs with square holes in their middlesand gave these to the peoplewherewith they might buy grain where there was grain”. Provvedimento esemplare per Pound, che lo menziona anche altrove: “La creazione del denaro per assicurare la distribuzione dei beni non è una novità. Se non volete credere che l’imperatore Tching Tang sia stato il primo a distribuire, nell’anno 1766 a. C., un dividendo nazionale, chiamatelo pure con un altro nome. Diciamo che sia stato un sussidio straordinario…” (23).

Nella serie degli episodi esemplari che ben evidenziano la funzione paterna dell’imperatore confuciano, spicca nel Canto LIV il proclama di Hsiao-wen Ti: “Earth is the nurse of all men – I now cut off one half the taxes – (…) Gold is inedible”. L’oro non si mangia, base della sussistenza è il pane. Perciò il Canto LV dà un notevole risalto ai provvedimenti di Wang An-shih, il quale, vedendo che i campi erano incolti, ordinò che ai contadini venisse concesso un prestito e fece batter moneta in quantità sufficiente per mantenere stabile il corso. “Nei ripetuti episodi di distribuzione gratuita di derrate e denaro al popolo Pound aveva individuato d’istinto le economie del dono, la funzione redistributiva degli antichi imperi, delle civiltà dove il mercato era ancora concepito in funzione della polis e non viceversa” (24). Una politica fiscale sbagliata è invece individuata da Pound come causa del tramonto della dinastia Sung (“SUNG died of levying taxes – gimcracks”, Canto LVI), alla quale subentrò quella mongola degli Yüan.

La Cina degli Yüan, che si estese tra il Lago Bajkal e il Brahmaputra, costituì la pars Orientis di quell’impero gengiskhanide che nel secolo XIII unificò lo spazio eurasiatico compreso tra il Mar Giallo e il Mar Nero. Primo imperatore della nuova dinastia fu Qubilai (1260-1294): “KUBLAI KHAN – that came into Empire – (…) – and mogols stood over all China” (Canto LVI). Prima di lui, era stato Ögödai (1229-1941) ad imporre il tributo ai Cinesi: “ (…) and Yeliu Tchutsai said to Ogotai: – tax, don’t exterminate – You’ll make more by taxing the blighters – thus saved several millyum lives of these chinamen” (Canto LVI). Ma i Mongoli non seguirono la legge di Confucio, e così la loro dinastia ebbe termine: “Mongols are fallen – from losing the law of Chung Ni – (Confucius) – (…) – Mongols were an interval” (Canto LVI).

L’approccio alla storia cinese attraverso un’opera basata su fonti confuciane induce Pound a vedere nei sintomi di decadenza del Celeste Impero l’effetto dell’influenza corruttrice di taoisti (taoists, taozers, tao-tse) e buddhisti (hochangs), spesso accomunati agli eunuchi, alle ballerine, ai ciarlatani e ai malfattori d’ogni sorta: “war, taxes, oppressionbacksheesh, taoists, bhuddists (sic) – wars, taxes, oppressions” (Canto LIV), “TçIN NGAN died of tonics and taoists” (Canto LIV), “conscriptions, assassins, taoists” (Canto LIV), “And there came a taozer babbling of the elixir – that wd/ make men live without end – and the taozer died very soon after that” (Canto LIV), “And half of the Empire tao-tse hochangs and merchants – so that with so many hochangs and mere shifters – three tenths of the folk fed the whole empire (…)” (Canto LV), “Hochangs, eunuchs, taoists and ballets – night-clubs, gimcracks, debauchery – (…) – Hochangs, eunuchs, and taozers” Canto LVI). La dinastia Ming (1368-1644) è corrosa dai medesimi tarli: “HONG VOU restored Imperial order – yet now came again eunuchs, taozers and hochang” (Canto LVII), “HOEÏ of SUNG was nearly ruined by taozers” (Canto LVII), “OU TI of LÉANG, HOEÏ-TSONG of SUNG – were more than all other Emperors – Laoists and foéist, and came both to an evil end” (Canto LVII).

L’assimilazione del buddhismo esercitò un influsso determinante sulla vita spirituale della Cina durante l’epoca T’ang (618-907), della quale Pound ripercorre gli annali nei Cantos LIV e LV. Quanto al taoismo, che diventò qualcosa di simile ad una religione, esso subì una considerevole influenza da parte del buddhismo tantrico: “i Taoisti elaborarono insegnamenti esoterici risalenti alla più remota antichità aventi lo scopo di assicurare l’immortalità agli adepti mediante metodi simili a quelli dello Hatha-yoga indiano, e concezioni cosmologiche tratte dallo Yin-yang Chia, che in seguito furono studiate e sviluppate dai pensatori neo-confuciani” (25). In tal modo la cultura spirituale cinese si arricchì di nuovi elementi, che però erano estranei all’ambito etico e sociale cui si era tradizionalmente attenuto il pensiero confuciano. Per tutta l’epoca Sung (960-1279), che costituisce lo sfondo degli eventi evocati nella seconda parte del Canto LV e nella prima del LVI, lo stesso confucianesimo accolse e rielaborò concezioni cosmologiche di provenienza taoista.

La predicazione cattolica arrivò invece in Cina grazie al gesuita maceratese Matteo Ricci, che, giunto nel 1601 a Pechino, fu benevolmente accolto dall’imperatore Chin Tsong, nonostante i custodi dell’ortodossia confuciana, ostili alla diffusione di una dottrina che a loro appariva bizzarra, avessero espresso parere contrario all’introduzione del missionario e delle sue reliquie nella corte imperiale. “And the eunuchs of Tientsin brought Père Mathieu to court – where the Rites answered: – Europe has no bonds with our empire – and never receives our law – As to these images, pictures of god above and a virgin – they have little intrinsic worth. Do gods rise boneless to heaven – that we shd/ believe your bag of their bones? – The Han Yu tribunal therefore considers it useless – to bring such novelties into the PALACE – we consider it ill advised, and are contrary – to receiving either these bones or père Mathieu” (Canto LVIII). Il padre Ricci, che aveva recato in dono al Figlio del Cielo un orologio, diventò per i Cinesi una sorta di patrono degli orologiai; altri gesuiti, “Pereira and Gerbillon” (Canto LIX), conquistarono la fiducia dell’imperatore K’ang Hsi (1654-1722), “who played the spinet on Johnnie Bach’s birthday – do not exaggerate/ he at least played on some such instrument – and learned to pick out several tunes (european)” (Canto LIX); altri ancora, come “Grimaldi, Intercetta, Verbiest, – Couplet” (Canto LX), diedero vari contributi alla diffusione della cultura europea in Cina. Ma i rapporti tra l’Impero e i cattolici non furono facili. Anche se i gesuiti vollero identificare Shang-ti, il Signore del Cielo,, con il Dio della religione cristiana e cercarono di integrare nel cristianesimo alcuni riti confuciani, Papa Clemente XI condannò il culto degli antenati e proibì di celebrare la messa in lingua cinese: “The European church wallahs wonder if this can be reconciled” (Canto LX). Da parte loro le autorità imperiali, pur riconoscendo i meriti dei gesuiti, vietarono il proselitismo missionario e la costruzione di chiese: “MISSIONARIES have well served in reforming our mathematics – and in making us cannon – and they are therefore permitted to stay – and to practice their own religion but – no chinese is to get converted – and they are not to build any churches – 47 europeans have permits – they may continue their cult, and no others” (Canto LX). Yung Cheng, succeduto a K’ang Hsi nel 1723, mise definitivamente al bando il cristianesimo, giudicato immorale e sovvertitore delle tradizioni confuciane: “and he putt out Xtianity – chinese found it so immoral – (…) – Xtians being such sliders and liars. – (…) – Xtians are disturbino good customs – seeking to uproot Kung’s laws – seeking to break up Kung’s teaching” (Canto LXI). Di Yung Cheng, Pound elogia la saggezza, la sollecitudine per l’agricoltura e per l’erario. Di suo figlio Ch’en Lung, che regnò dal 1736 al 1795, pone in risalto l’attività letteraria, concludendo il Canto LXI con l’auspicio che ne vengano lette le poesie.

K’ang Hsi e Yung Cheng, che ritornano nei Cantos XCVIII e XCIX, furono rispettivamente il secondo e il terzo imperatore della dinastia mancese dei Ch’ing, insediatasi alla testa dell’Impero dopo il crollo dei Ming (1644). Sotto la nuova e ultima dinastia, proveniente da un popolo di cavalieri e guerrieri di lingua altaica, la Cina conobbe una grande prosperità ed ampliò le proprie frontiere, estendendole via via dal bacino dell’Amur (1689) alla Mongolia (1697) al Tian-shan (1758) al Tibet (1731): “Tibet was brought under and ’22 was a peace year” (Canto LX). La Pax Sinica instaurata dalla dinastia mancese è d’altronde già celebrata nel Canto LVIII: “we came for Peace not for payment – came to bring peace to the Empire”.

La stesura dei Cantos LXXXV-XCV (26) corona quel paideuma confuciano che Pound aveva enunciato più volte come proprio programma d’azione. “Sono assolutamente convinto – scriverà nel gennaio 1945 su “Marina Repubblicana” – che, portando in Italia una maggiore conoscenza dell’eroica dottrina di Confucio, vi porterò un regalo più utile del platonismo che Gemisto vi portò nel XIV secolo rendendovi un così gran servizio di stimolo al Rinascimento” (27). Secondo Pound, infatti, il confucianesimo presenta vantaggi superiori al platonismo, in quanto, a differenza della cultura greca, esso contiene i princìpi etici e politici necessari a fondare un impero. Questo concetto era stato da lui espresso il 19 marzo 1944 in una lettera al ministro repubblicano Fernando Mezzasoma:  “L’importanza della cultura confuciana è questa: la Grecia non aveva il senso civico per la costruzione di un impero” (28). In Cina, invece, il confucianesimo ha consolidato l’edificio imperiale: “La Cina con 400 milioni IN ORDINE – dice Pound in un radiodiscorso del 24 aprile 1943 –  sarebbe di certo un elemento di stabilità mondiale. Ma quell’ordine deve EMERGERE IN CINA. In 300 o più anni di storia, anzi attraverso tutta la storia che conosciamo di quel Paese, l’ordine deve emergere internamente. La Cina non ha mai vissuto la pace quando è stata nelle mani di un governo guidato dall’estero sul capitale mutuato” (29).

Non è dunque un caso, se il teorico dell’imperialismo statunitense ha individuato nella civiltà confuciana un sistema di valori e di istituzioni irriducibile alla cultura dell’Occidente: “parsimonia, famiglia, lavoro, disciplina (…) il comune rifiuto dell’individualismo e il prevalere di un autoritarismo ‘morbido’ o di forme molto limitate di democrazia” (30). L’araldo dello “scontro di civiltà” è esplicito: “La tradizione confuciana della Cina, con i suoi valori portanti come quelli di autorità, ordine, gerarchia e supremazia della collettività sull’individuo, crea ostacoli alla democratizzazione” (31). L’ostacolo maggiore all’instaurazione dell’egemonia statunitense sull’Asia e all’imposizione del modello occidentale sarebbe dunque rappresentato dalla paventata alleanza tra l’area confuciana e i paesi musulmani, alleanza che Huntington definisce nei termini di un “asse islamico-confuciano”. (Un concetto, questo, che potrebbe avere ispirato il bizzarro sintagma “Asse del Male”, impiegato da Bush in relazione alla terna Iran-Iraq-Corea del Nord). D’altra parte, prima di Huntington era stato un Gheddafi non ancora del tutto addomesticato a lanciare un appello in questo senso. “Nuovo ordine mondiale – aveva detto il Colonnello il 13 marzo 1994 – significa che ebrei e cristiani controllano i musulmani; se possono fare ciò, domani eserciteranno il loro dominio anche sul confucianesimo e sulle forme tradizionali dell’India, della Cina e del Giappone (…) Oggi cristiani ed ebrei sostengono che l’Occidente, dopo avere distrutto il comunismo, deve distruggere l’Islam e il confucianesimo. (…) Noi ci schieriamo dalla parte del confucianesimo; alleandoci con esso e combattendo al suo fianco in un unico fronte internazionale, sconfiggeremo il nostro nemico comune. Perciò, in quanto musulmani, aiuteremo la Cina nella lotta contro il nemico comune”.

Pound non ha omesso di indicare i presupposti dell’Asse paventato da Huntington. Il denominatore comune del confucianesimo e dell’Islam egli lo ha individuato negli ideali del buon governo, della solidarietà comunitaria, dell’equità distributiva, della sovranità monetaria. Per quanto riguarda l’Islam, nelle norme sciaraitiche fissate dagli Imam Shafi’i e Ibn Hanbal circa la precisione del conio monetario Pound ha colto il pendant islamico dell’”ortologia” confuciana; nel diritto esclusivo della funzione califfale ad emetter moneta ha visto il fondamento della sovranità politica; nella destinazione della quinta parte del bottino – la “parte di Dio e del Profeta” – all’assistenza delle categorie di bisognosi previste dal Corano e dalla Sunna, Pound ha individuato l’istituzione caratteristica di un sistema di tassazione esemplare. Una fitta sintesi di questa prospettiva poundiana dell’Islam è contenuta nella pagina iniziale del Canto XCVII, che riprende il tema – già presente nel XCVI – del Califfo omayyade ‘Abd el-Malik, il quale nel 692 fece coniare una moneta aurea su cui era impresso il profilo della Spada dell’Islam e, applicando un’indicazione del Profeta, stabilì che il rapporto tra l’argento e l’oro fosse di 6,5 a 1: “Melik & Edward struck coins-with-a-sword, – ‘Emir el Moumenin’ (Systems p. 134) – six and ½ to one, or the sword of the Prophet, – SILVER being in the hands of the people – (…) Shafy and Hanbal both say 12 to 1, – (…) – and the Prophet – set tax on metal – (i.e. as distinct from) & the fat ‘uns pay for the lean ‘uns, – said Imran, – (…) – AND in 1859 a dhirem ‘A.H. 40’ was – paid into the post-office, Stanboul. – Struck at Bassora – 36.13 English grains. – ‘I have left Irak its dinar’, – & one fifth to God.” (Canto XCVII). La misura di ‘Abd el-Malik, introdotta nei territori europei soggetti a Bisanzio, “avvantaggiò i ceti popolari, che possedevano argento, mentre una classe dirigente ormai esausta possedeva soprattutto oro (…) i Musulmani ribaltarono il ciclo della storia, rimettendolo sulla direzione giusta” (32).

L’Islam, come è noto, ha emesso una assoluta ed inequivocabile condanna del prestito a interesse e della speculazione sull’oro e sulla valuta. “Quelli che si nutrono di usura non risorgeranno, se non come risorgerà colui che il diavolo avrà paralizzato insozzandolo col suo contatto. Questo perché essi dicono: ‘In verità il commercio è come l’usura’. E invece Iddio ha permesso il commercio e ha vietato l’usura” (33). Secondo un hadith, l’usura raggiunge il medesimo grado di abominio della fornicazione commessa con la propria madre all’ombra della Ka’ba. Concetti, questi, che sembrano riecheggiare nel Canto XLV, dove l’Usura è vista come pestilenza (“Usura is a murrain”), incesto (“CONTRA NATURAM”), profanazione (“They have brought whores for Eleusis”).

Attraverso questa convergenza di obiettivi del Confucianesimo e dell’Islam noi vediamo dunque esemplificato non lo “scontro delle civiltà”, ma, al contrario, quella superiore ed essenziale unità che lega tra loro le civiltà storicamente configuratesi nel continente eurasiatico. Di tale unità ha partecipato in passato anche la civiltà romana (e romano-cristiana), tant’è vero che Pound enumera una serie di sovrani e di legislatori europei i quali, istituendo leggi giuste e regolando la monetazione, hanno garantito ai loro popoli la possibilità di convivere in relativa pace e prosperità: “that Tiberius Constantine was distributist, – Justinian, Chosroes, Augustae Sophiae, – (…) – Authar, marvelous reign, no violence and no passports, – (…) – and Rothar got some laws written down – (…) – DIOCLETIAN, 37th after Augustus, thought: more if we tax ‘em – and don’t annichilate (…) – Vespasiano serenitas… urbes renovatae – under Antoninus, 23 years without war… (…) – HERACLIUS, six, oh, two – imperator simul et sponsus” (Canto XCVI).

Se uno scontro esiste, si tratta allora del conflitto insanabile che contrappone le civiltà, le vere civiltà, alla barbarie, ossia al tipo di vita contra naturam in cui il vantaggio economico individuale prevale sul bene comune, l’Usura stronca la creatività e la Banca soppianta Eleusi.

 

Claudio Mutti

  1. E. Fenollosa, L’ideogramma cinese come mezzo di poesia, Introduzione e note di E. Pound, All’insegna del Pesce d’Oro, Milano 1960. Cfr. G. E. Picone, Fenollosa – Pound: una ars poetica, in AA. VV., Ezra Pound 1972/1992, a cura di L. Gallesi, Greco & Greco, Milano 1992, pp. 457-480.
  2. E. Pound, The Renaissance, “Poetry”, 1915, p. 233.
  3. Wai-lim Yip, Ezra Pound’s Cathay, New York 1969, p. 88.
  4. E. Pound, Cathay, Elkin Mathews, London 1915.
  5. Laura Cantelmo Garufi, Invito alla lettura di Pound, Mursia, Milano 1978, p. 57.
  6. E. Pound, Ta Hio, the Great Learning, University of Washington Bookstore, Seattle 1928; Stanley Nott, London 1936.
  7. Pio Filippani-Ronconi, Storia del pensiero cinese, Boringhieri, Torino 1964, p. 52.
  8. E. Pound, Confucius Digest of the Analects, Giovanni Scheiwiller, Milano 1937.
  9. E. Pound, Ciung Iung. L’asse che non vacilla, Casa Editrice delle Edizioni Popolari, Venezia 1945. Questo libro “fu distrutto per grossolana ignoranza dai vincitori alla fine della guerra, perché ne scambiarono il titolo antichissimo con un’allusione all’asse Roma-Berlino” (Giano Accame, Ezra Pound economista. Contro l’usura, Settimo Sigillo, Roma 1995, p. 135).
  10. E. Pound, The Classic Anthology Defined by Confucius, Harvard University Press, Cambridge 1954; Faber & Faber, London 1955. Ristampato col titolo The Confucian Odes, New Directions Paperbook, New York 1959.
  11. E. Pound, Carta da visita, Edizioni di Lettere d’Oggi, Roma 1942, p. 50.
  12. E. Pound, Confucio filosofo statale, “Il Meridiano di Roma”, 11 maggio 1941; rist. in: E. Pound, Idee fondamentali, Lucarini, Roma 1991, p. 73.
  13. “Se la terminologia non è esatta, se non corrisponde alla cosa, le istruzioni governative non saranno esplicite; se le disposizioni non sono chiare e I nomi non si adattano, non potrete svolgere correttamente gli affari. (…) Ecco perché un uomo intelligente cura la propria terminologia e dà istruzioni convenienti. Quando i suoi ordini sono chiari ed espliciti, possono essere posti in esecuzione” (E. Pound, Guida alla cultura, Sansoni, Firenze 1986, p. 16).
  14. Andrea Marcigliano, L’ideogramma di Luce del Mondo, in: AA. VV., Ezra Pound perforatore di roccia, Società Editrice Barbarossa, Milano 2000, p. 87.
  15. A. Marcigliano, op. cit., p. 83.
  16. E. Pound, Cantos LII-LXXI, Faber & Faber, London e New Directions, Norfolk, Conn. 1940.
  17. Earle Davis, Vision fugitive – Ezra Pound and economics, The University Press of Kansas, Lawrence/London 1968, p. 98.
  18. L. Cantelmo Garufi, op. cit., pp. 114-115.
  19. Père Joseph Anne Marie de Moyriac De Mailla, Histoire générale de la Chine, Paris 1777-1783, 12 voll.
  20. J. Levenson – F. Schurmann, China : An Interpretative History from the Beginnings to the Fall of Han, University of California Press, Berkeley – Los Angeles 1969, p. 49.
  21. L. Cantelmo Garufi, op. cit., p. 116.
  22. Hugh Kenner, L’età di Pound, Il Mulino, Bologna 2000, p. 565.
  23. E. Pound, What is Money for?, Greater Britain Publ., London 1939.
  24. G. Accame, op. cit., p. 113.
  25. P. Filippani-Ronconi, op. cit., p. 157.
  26. E. Pound, Section: Rock-Drill 85-95 de los cantares, All’insegna del Pesce d’Oro, Milano 1955; New Directions, New York 1956; Faber & Faber, London 1957.
  27. Tim Redman, Ezra Pound and Italian Fascism, Cambridge University Press, London 1991, p. 252.
  28. T. Redman, op. cit., p. 252.
  29. E. Pound, Radiodiscorsi, Edizioni del Girasole, Ravenna 1998, pp. 203-204.
  30. Samuel P. Huntington, Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale, Garzanti, Milano 2000, p. 152.
  31. S. P. Huntington, op. cit., pp. 351-352.
  32. Robert Luongo, The Gold Thread. Ezra Pound’s Principles of Good Government & Sound Money, Strangers Press, London-Newport 1995, pp. 71-72.
  33. alladhîna ya’kulûna ‘l-ribà lâ yaqûmûna illâ kamâ yaqûmu ‘lladhî yatakhabbatuhu ‘l-shaytânu min al mass. Dhâlika bi-annahum qâlû: Innamâ ‘l-bay’u mithlu ‘l-ribà; wa ahalla Allâhu ‘l-bay’a wa harrama ‘l-ribà“ (Corano, II, 275)

 


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Claudio Mutti, antichista di formazione, ha svolto attività didattica e di ricerca presso lo Studio di Filologia Ugrofinnica dell’Università di Bologna. Successivamente ha insegnato latino e greco nei licei. Ha pubblicato qualche centinaio di articoli in italiano e in altre lingue. Nel 1978 ha fondato le Edizioni all'insegna del Veltro, che hanno in catalogo oltre un centinaio di titoli. Dirige il trimestrale “Eurasia. Rivista di studi geopolitici”. Tra i suoi libri più recenti: A oriente di Roma e di Berlino (2003), Imperium. Epifanie dell’idea di impero (2005), L’unità dell’Eurasia (2008), Gentes. Popoli, territori, miti (2010), Esploratori del continente (2011), A domanda risponde (2013), Democrazia e talassocrazia (2014), Saturnia regna (2015).