La crisi ucraina ha riportato l’Europa nell’anticamera della Guerra fredda. Non siamo alle soglie della terza guerra mondiale, ma la tensione tra i Paesi della NATO, unitamente a quelli che ad essa fanno riferimento, come appunto l’Ucraina, da una parte e la Russia post-sovietica dall’altra è altissima. La Finlandia, spinta dal nuovo primo ministro Alexander Stubb, notoriamente filo-NATO, come lo è da tempo il suo partito, il Kokoomus, ha firmato il 4 settembre in Galles un accordo di collaborazione con la NATO. A Turku sono arrivate le navi delle marine atlantiche, suscitando solo una modesta, per numero di partecipanti, dimostrazione di protesta da parte della sinistra pacifista ed ex comunista. In virtù dell’accordo firmato dal governo Stubb, le esercitazioni NATO potranno avere luogo anche in Finlandia e le truppe atlantiche, ovviamente comprese quelle statunitensi, potranno entrare nel territorio finlandese in un periodo di crisi. Come ricorda un comunicato stampa a cura dell’Ambasciata di Finlandia a Roma, “La collaborazione si basa sull’intesa tra ambedue le parti. La NATO non potrà dispiegare le proprie forze in Finlandia senza una richiesta da parte del governo finlandese”, magra consolazione questa, aggiungiamo, per chi teme che la neutralità finlandese, su cui dal 1945 si è basata la politica estera di questo Paese in base alla cosiddetta “dottrina Paasikivi-Kekkonen”, sia definitivamente tramontata. In sostanza infatti ora le forze NATO potranno esercitarsi in territorio finlandese, quindi praticamente a ridosso del confine nord-orientale della Russia. La NATO, se vorrà intervenire in quella che a suo giudizio è una crisi, per farlo avrà bisogno solo di una formale autorizzazione, che non le sarà difficile ottenere dagli atlantisti di Helsinki.
L’esercito finlandese nel frattempo potrà addestrarsi insieme alle truppe NATO, come sta già facendo da tempo, e usufruire della tecnologia militare e dei materiali bellici dell’Alleanza. Non ci sarà comunque un dispiegamento permanente di basi NATO in Finlandia, come non ci sarà in Svezia, il cui governo conservatore, da poco mandato a casa dagli elettori e quindi punito per la sua politica estera, oltre ovviamente che economica, ha firmato in Galles un uguale accordo.
Che la Finlandia fosse pian piano scivolata da una neutralità benevola nei confronti del vicino sovietico e poi russo verso una sempre più attiva collaborazione con l’Alleanza atlantica non è cosa di ieri, avendo stabilito un rapporto di collaborazione che risale già al 1994 (Partnership for Peace), in base al quale la Finlandia, che in precedenza mandava le sue missioni militari all’estero solo nell’ambito di una operazione ONU, può ora partecipare alle missioni della NATO, come ha fatto in Kosovo (KFOR) e Afghanistan (ISAF). Ufficiali finlandesi hanno rivestito negli ultimi anni incarichi, anche importanti, nell’ambito dei comandi NATO.
Ma, come nelle favole, possiamo dire ”c’era una volta…”. C’era una volta che la Finlandia era una buona amica della Russia pre-Putin, cioè dell’Unione Sovietica. Un’amica così fedele e obbediente che nelle lingue d’Europa si affermò un neologismo che a questa politica faceva riferimento: “finlandizzazione”. A partire dai primi anni Sessanta nel dibattito politico il verbo “finlandizzare” prese a significare (come indica il Nykysuomen sanakirja) “finire come la Finlandia nell’area di influenza sovietica” (”joutua Suomen tavoin Neuvostoliiton vaikutuspiiriin”). Il concetto di base e il termine in cui veniva tradotto ha la sua origine nella Germania Federale. Dalla Finnlandisierung si passò a Finlandisation, Finlandizzazione, Finlandisation e così via.
Si è molto discusso sull’origine del termine. Harto Hakovirta nel 1975 pubblicò uno studio il cui titolo ”Suomettuminen. Kontrollia vai rauhanomaista rinnakkaiseloa?” (Finlandizzazione. Controllo o convivenza pacifica?”) indicava già il nucleo della problematica. Era la Finlandia sottomessa politicamente all’URSS, o andava per la propria strada di concerto con essa senza provocare occasioni di crisi? Ricordiamo che la Finlandia aveva sottoscritto con l’Unione Sovietica il patto YYA (patto di amicizia, collaborazione e di reciproco aiuto in caso di aggressione) firmato nell’aprile del 1948 da Paasikivi e Stalin, che permetteva all’URSS un intervento qualora si fosse profilata per essa una minaccia da parte della Germania Federale o di un suo alleato. In realtà, qualsiasi minaccia militare sarebbe dovuta passare attraverso le basi statunitensi in Germania, quindi l’URSS, volendo, poteva appellarsi a questo trattato per intervenire militarmente in una qualsiasi occasione.
Il concetto di finlandizzazione è più antico del termine stesso. Nacque per merito (o demerito) del ministro degli esteri Austriaco Karl Gruber, il quale, nel 1953, aveva messo in guardia il proprio governo dal seguire l’esempio finlandese allorché si dovette definire il modo più opportuno per gestire i rapporti con l’Unione Sovietica. Il lessema nacque invece nel 1961. Il primo ad usarlo fu un professore statunitense di origine tedesca che insegnava presso la Libera Università di Berlino, Richard Löwenthal. La Finnlandisierung, o per i finlandesi suomettuminen, ebbe come termine del linguaggio politico una notevole fortuna a partire dal 1969 (1). Nella lingua italiana il termine compare la prima volta in un articolo di Guido Piovene del 1973 nel senso di “sovranità limitata” e il vocabolario Zingarelli lo registrò per la prima volta nel 1983 definendo il lemma: ”Finlandizzare, da Finlandia, nazione non dipendente dall’Unione Sovietica, ma sostanzialmente soggetta ad essa”.
Con finlandizzazione si sono volute indicare le “Condizione di neutralità condizionata di un Paese, in cui, per motivi geo-politici, è sottintesa la possibilità di una soggezione nei confronti di una grande potenza, in particolare dell’Unione Sovietica”. Nel francese, Le grand Robert riporta finlandisation nel 1985, dieci anni dopo la prima registrazione lessicologica apparsa nel tedesco. Il termine è stato utilizzato anche in un senso più ampio, assumendo un significato metaforico più generale per indicare l’assimilazione senza contrasti di un concorrente, culturalmente o economicamente parlando.
Il concetto di finlandizzazione veniva guardato con interesse perché apriva nuove prospettive nei rapporti con l’URSS, in particolare a Bonn, dove Willy Brandt aveva lanciato la sua Ostpolitik, che apriva il dialogo con Mosca. Il termine assunse però presto una valenza negativa a causa dell’uso dispregiativo che ne fece Franz-Josef Strauss nella primavera del 1970 in occasione delle elezioni per il nuovo Bundenstag. Per Strauss, la Finnlandisierung non indicava soltanto una presunta politica di osservanza praticata dalla Finlandia nei confronti del vicino, ma serviva anche ad indicare la possibilità che anche altri Paesi d’Europa si prestassero alla manovra neutralista sovietica indebolendo di conseguenza la compattezza della NATO.
Il termine suomettuminen è improvvisamente tornato in uso, sempre nel significato originario, in occasione del ritiro dei Verdi dal governo Stubb a metà di settembre. In merito alla vicenda Fennovoima, riguardante la politica energetica della Finlandia, i Verdi hanno infatti tolto il loro appoggio a Stubbs accusandolo di eccessiva osservanza nei confronti della Russia di Putin a causa della partecipazione di questa alla politica energetica attuata tramite la Fennovoima, la società finlandese per lo sviluppo nucleare, che agisce con capitali anche russi. Questa rinnovata accusa di eccessivo ossequio nei confronti della Russia appare onestamente poco credibile, conoscendo le aspirazioni atlantiste del primo ministro e del suo partito, nonché di quasi tutti i suoi alleati di governo.
Abbiamo dunque due diverse possibili applicazioni della finlandizzazione: una, più recente, si riferisce al rapporto benevole nei confronti della NATO senza che la Finlandia ne faccia giuridicamente parte, e l’altra invece riguarda un comportamento eccessivamente amichevole, in epoca di crisi ucraina, con la parte opposta, la Russia. In realtà non c’è alcuna possibilità di un ritorno ad una politica compiacente nei confronti di Mosca, anche se le sanzioni promosse contro di essa da Sati Uniti e Unione Europea stanno provocando gravi danni all’economia finlandese, sia nelle esportazioni, soprattutto di prodotti alimentari, che nel turismo (i russi rappresentano il maggiore cespito di guadagno in questo settore). Per una Finlandia che sta sentendo, seppur in ritardo rispetto ai Paesi mediterranei, il peso della crisi economica, le sanzioni sono una vera iattura, come, seppur in maniera indiretta, ha testimoniato il ministro degli esteri, il socialdemocratico Erkki Tuomioja, che non ha esitato a manifestare il suo dissenso. La Russia, fino ad ora, si è comportata in maniera niente affatto minacciosa, ma qualche segno di avvertimento lo ha dato, intensificando i controlli doganali su alcuni prodotti e violando, seppur per pochi minuti, lo spazio aereo finlandese. Insomma, chi ha orecchi per intendere, intenda, è il messaggio di Putin alla vicina Finlandia.
In ogni caso non c’è alcun segno che la Russia intenda perseguire una politica aggressiva nei confronti della Finlandia, cosa purtroppo non recepita o mal recepita dalla maggioranza dei finlandesi, che nel loro DNA conservano una atavica diffidenza e paura nei confronti dei Russi, come, purtroppo, succede anche negli altri Paesi baltici. Insomma, il “caso Ucraina”, terra di riferimento per la Russia, basti pensare a Kiev, che ne fece la storia per un lungo periodo, dove vive una forte comunità russofona, non ha alcun rapporto con la Finlandia. E, sarebbe opportuno chiedere ai finlandesi, vorrebbero costoro rischiare di essere coinvolti in una guerra mondiale a causa delle intemperanze e dell’avventatezza di ucraini, baltici o polacchi che, appoggiati dagli Stati Uniti e dalla NATO, portano la provocazione militare e strategica ben oltre i confini dell’antica Unione Sovietica? Sarebbero disposti i finlandesi a morire per la Crimea, visto che nessuno è voluto morire per la Carelia?
Se ne avessi la possibilità, darei un consiglio a Vladimir Putin: perché non restituisce alla Finlandia una parte della Carelia ex finlandese, con la promessa di cedergli poi Viipuri se conserverà la sua neutralità? Sarebbe interessante vedere come, di fronte a una tale proposta, muterebbe la politica estera della Finlandia. Come potrebbe allora il governo del signor Stubb giustificare una politica filo-NATO?
I politici finlandesi si trovano in conclusione di fronte ad una scelta difficile. Coinvolti come oramai sono con la NATO. Ma farebbero bene a ricordare il saggio avvertimento dell’ex presidente finlandese Mauno Koivisto: “chi si inchina da una parte, mostra il deretano dall’altra”. Per la Suomi-neito (la “fanciulla Finlandia” come è comunemente rappresentata) si pone dunque un atroce dilemma. Ma speriamo che decida alla fine di restare eretta. Peraltro, mostrare il deretano non si addice ad una fanciulla di buone maniere.
*Luigi G. de Anna è Professore ordinario emerito di lingua e cultura italiana, università di Turku.
NOTE
1) Vedi di L. G. de Anna, Finlandizzazione. Un termine del linguaggio politico recente, Settentrione, 3, 1991, pp. 30-35 e Finlandizzazione: semantica e storia di un concetto, Trasgressioni, 14, gennaio-aprile, Firenze 1992, pp. 103-116, oltre a George Maude, The Further Shores of Finlandization, Cooperation and Conflict, 1982.
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