Oramai, dopo 20 anni di guerre ‘umanitarie’ e/o ‘securitarie’ dell’era post-bipolare, è possibile individuare con criteri – oseremmo dire – scientifici gli aspetti fondamentali della fenomenologia di simili conflitti sui più svariati piani (preparazione mediatica, stravolgimento e politicizzazione del diritto internazionale, operazioni di soft power ed intelligence preliminari e successive allo scoppio dei conflitti, etc.) e sicuramente un’opera come quella di Sensini rappresenta un tassello fondamentale per avere una visione d’insieme non solo – come accennato – sulla specifica questione libica, ma anche sui meccanismi che accomunano questa tragica avventura bellico-umanitaria alle analoghe precedenti e alle possibili future. Mentre si scrive, ad esempio, foschi segnali giungono dalla Siria, ove non può escludersi un’aggravarsi drastico della crisi e in ogni caso – quali che saranno gli sviluppi futuri – assistiamo al riguardo già da mesi ad un canovaccio politico-mediatico oramai ben noto a chi cerca di guardare oltre l’immagine di facciata dell’ “intervento umanitario”. Il quale, oltretutto, non è più nemmeno chiamato col suo vero nome, noto ed elementare: guerra. Si tratta di un espediente di neolingua orwelliana ricordato dallo stesso autore nel testo e già lucidamente intuito e rappresentato da Carl Schmitt nel secolo scorso.
Per concludere, ci si augura che un saggio come “Libia 2011” venga apprezzato e soprattutto non cada nell’oblio negli anni a venire, come parrebbe essere già avvenuto con la guerra di cui l’opera tratta. Vi è infatti bisogno di questi esempi di onestà intellettuale che fungano anche per il futuro da testimonianza di certi eventi rovinosi e delle menzogne che li hanno legittimati.
Già all’incirca un secolo fa si denunciava che
“Lo storico, il quale in avvenire vorrà ricostruire questo torbido periodo della nostra vita nazionale, dovrà giudicare che la cultura italiana nel primo decennio del secolo XX doveva essere caduta assai in basso, se fu possibile ai grandi giornali quotidiani e a giornalisti, che pur andavano per la maggiore, far credere all’intero paese tutte le grossolane sciocchezze, con cui l’impresa libica è stata giustificata e provocata. Non esistevano, dunque, in Italia studiosi seri e coscienziosi? Che cosa facevano gli insegnanti universitari di geografia, di storia, di letterature classiche, di diritto internazionale, di cose orientali? Credettero anch’essi alle frottole dei giornali? E se non ci credettero, perché lasciarono che il paese fosse ingannato? Oppure considerarono la faccenda come del tutto indifferente per la loro olimpica serenità? La risposta a queste domande non potrà essere molto lusinghiera per la nostra generazione.” (3)
A distanza di cent’anni possiamo affermare che Libia 2011 rappresenterà un piccolo segnale di discontinuità, assieme a poche altre felici eccezioni, per lo storico che un domani “vorrà ricostruire questo torbido periodo della nostra vita nazionale”.
Approfondimenti
Si invita a far riferimento anche all’intervista rilasciata dall’autore per Eurasia: http://www.eurasia-rivista.org/12310/12310/
NOTE
1) Dati e statistiche, diffusi anche dalle Nazioni Unite ed istituzioni ad esse legate, lasciano poco spazio alla contestazione. Vedi – ad esempio – i dati della Banca Mondiale relativi all’Indice di Sviluppo Umano del paese.
2) Si pensi alle immagini di vere fosse comuni, diffuse infine dalla Reuters, che mostrano i cadaveri giustiziati di fedeli a Gheddafi e – per contro – a due emblematici casi di presunte fosse comuni, rivelatesi poi rispettivamente loculi di cimitero e cumuli di ossa animali. Senza contare i casi in cui su fosse comuni inizialmente attribuite ad azioni criminose dei lealisti, sono poi maturati forti sospetti sulla matrice ‘ribelle’ delle stesse; vedi – ad esempio – le perplessità dell’inviato di guerra Gian Micalessin.
3) Gaetano Salvemini e altri, “Come siamo andati in Libia” La Voce, Firenze 1914.
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