Il referendum indetto per il 25 settembre sull’indipendenza del “Kurdistan iracheno” – ovvero della parte settentrionale dello Stato iracheno – introduce un importante elemento di convergenza geopolitica fra Turchia e Iran.
Teheran e Ankara, anche se con sensibilità e presupposti diversi, sono come è noto garanti – assieme alla Russia – del cessate il fuoco in Siria, secondo le previsioni del protocollo di Astana: la scelta di costituire sul territorio siriano quattro zone di totale rimozione del conflitto (a nord di Homs, nella provincia di Deraa, in quella di Idlib e nel Ghouta orientale) ha la finalità di favorire un percorso di pacificazione e di reciproca attenzione fra governo di Damasco e forze di opposizione rispettose della sovranità e unità dello Stato siriano: questo ha ribadito con chiarezza il ministro degli Esteri russo Lavrov.
La presenza sul territorio siriano di fazioni curde favorevoli allo smembramento della Siria e in particolare alla separazione del territorio del Rojava dal resto del Paese trova perfetta corrispondenza nell’iniziativa referendaria del 25 settembre, che metterà ulteriormente in pericolo l’unità dello Stato iracheno, massacrato da quasi quindici anni di conflitto e terrorismo innescati dal folle intervento militare di Bush junior.
Ecco allora che Turchia e Iran – minacciati dalla totale balcanizzazione dell’intera area vicinorientale che la creazione di un’entità indipendente curda determinerebbe – si ritrovano impegnati fianco a fianco nella ricerca di stabilità e di difesa delle rispettive sovranità nazionali, al pari della martoriata Siria e dell’Iraq, il cui Parlamento si è espresso proprio in questi giorni contro la legittimità del referendum indetto dall’amministrazione regionale autonoma presieduta da Mas’ud Barzani.
Vi sono riscontri precisi di questa comune sensibilità. Ad agosto il capo di Stato Maggiore delle Forze Armate iraniane, Mohammad Baqeri, si è recato ad Ankara in visita dall’omologo turco, Hulusi Akar: si è trattato della prima visita di un militare di alto rango iraniano in Turchia dall’epoca della Rivoluzione khomeinista, mentre nei giorni scorsi ad Astana i Presidenti Rohani ed Erdoğan si sono direttamente incontrati, confermando esplicitamente la loro volontà di rafforzare l’intesa fra i due Paesi.
Di tutt’altro segno è la posizione assunta da Israele, che ha manifestato pieno sostegno all’iniziativa referendaria, in coerenza con la sua presenza nel “Kurdistan iracheno” fin dagli anni Cinquanta del secolo scorso e con il progetto di frammentazione dell’area vicinorientale chiaramente delineato nel piano Yinon, pubblicato nel febbraio 1982 dal Dipartimento di pubblicità dell’Organizzazione Sionista Mondiale.
La posizione degli Stati Uniti è invece di evidente imbarazzo: costretta fra la necessità di non scontentare gli independentisti curdi – suo braccio armato in Siria – e il timore di vedere rafforzata l’intesa turco-iracheno-iraniana, Washington sceglie di “chiedere un rinvio” del referendum: richiesta peraltro respinta da Barzani.
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