In Turchia il 2011 è “l’anno della Cina”; in Cina il 2012 sarà “l’anno della Turchia”: i due paesi, come si evince da queste simboliche decisioni, hanno in programma un forte rafforzamento della partnership (soprattutto) commerciale, ma anche diplomatica nel prossimo futuro. Segno forte della volontà di avvicinamento tra i due paesi è stato, inoltre, in settembre, l’invito turco a partecipare alle esercitazioni aeree militari che si tengono annualmente a Konya (nell’Anatolia centrale), e che sono sempre state per la Turchia un importante occasione per rafforzare le proprie relazioni. Quest’anno ospite d’onore è stata la Cina, mentre i grandi assenti sono stati Israele e gli Stati Uniti: esercitazioni militari come specchio dello stato delle relazioni internazionali tra la Turchia e gli altri paesi, dunque. Le relazioni turco-cinesi sono al momento in crescita, sia a livello quantitativo di scambi che a livello diplomatico. I due paesi hanno, anche, visioni abbastanza vicine per quanto riguarda importanti argomenti di politica internazionale, come le sanzioni al nucleare iraniano: sia Cina sia Turchia, infatti, opponevano la decisione statunitense di infliggere sanzioni all’Iran.
Il rischio di una rottura tra Turchia e Cina si è verificata, però, nel 2009, a causa della crisi dello Xinjiang: gli Uighur, popolazione di etnia e lingua turcica ma residente in Cina (nella regione nord-occidentale chiamata, appunto, Xinjiang) hanno provocato delle sollevazioni che sono state poi drammaticamente represse. Le sollevazioni, che avevano avuto inizio a causa di incidenti avvenuti nel sud del paese ad alcuni lavoratori di etnia Uighur, si sono inizialmente rivolte contro i cinesi di etnia Han, e successivamente sono state represse nel sangue dalle forze armate cinesi.
Questo avvenimento ha avuto una forte risonanza in Turchia, a causa del legame culturale che lega la popolazione turca a quella degli Uighur, ma nonostante tutto, la crisi – per quanto riguarda il livello diplomatico tra Cina e Turchia – e’ stata superata e non ha intaccato a lungo termine le relazioni economiche dei due paesi.
Non si tratta, però, di un problema di poco conto, ne’ di un problema recente: come mai, allora, la Turchia ha preferito le pacifiche relazioni con lo stato cinese alla difesa delle rivendicazioni del popolo Uighur, di etnia e lingua turcica? La prima reazione della Turchia è stata di pesante condanna del governo cinese: il primo ministro Erdogan ha parlato di “genocidio” e, nonostante ciò, è stato criticato dal MHP (il partito d’opposizione, di orientamento nazionalista) per non essere stato abbastanza incisivo nel prendere le difese dei diritti della popolazione Uighur, azione a cui la Turchia sarebbe tenuta in nome del legame etico e linguistico che unisce i due popoli (secondo l’ideologia pan-turcica). In effetti, dopo l’iniziale condanna, l’approccio della Turchia ha assunto un tono più da mediatore che da accusatore, distanziandosi quindi dalla stessa comunità internazionale che rimproverava al governo cinese il non rispetto dei diritti della popolazione Uighur.
Una prima motivazione che ha portato a questa scelta politica è sicuramente la politica estera di Davutoglu “zero problems with neighbours”: per quanto la Cina non sia un paese ‘neighbour’, infatti, la politica estera di questo governo vuole fare della Turchia più un paese ‘mediatore’ che un paese ‘aggressore’, e questo è già stato dimostrato da Davutoglu con il ruolo assunto dalla Turchia nella mediazione tra Israele e Siria, e con quello assunto nei confronti dei dialoghi tra Iran e altre potenze a proposito dell’energia nucleare.
Un altro motivo che probabilmente ha fatto cambiare idea alla Turchia sull’atteggiamento da tenere verso la Cina è la questione della particolare situazione degli Uighur all’interno del territorio cinese: minoranza etnica e linguistica, rivendica autonomia se non addirittura separatismo, e – tra le altre – contesta al governo cinese l’imposizione di un modello mono-linguisitco e mono-culturale, che naturalmente corrisponde a quello dell’etnia Han. La situazione degli Uighur ha, dunque, molti tratti in comune con quella dei Curdi; anch’essi sono, infatti, una minoranza etnica e linguistica che rivendica un maggior uso della propria lingua, ancora vietata, nella pratica, nelle istituzioni scolastiche. La posizione della Cina, è, quindi, abbastanza simile a quella della Turchia per quanto riguarda le libertà concesse alle minoranze presenti sul proprio territorio, e proprio per questo motivo Ankara ha dovuto prestare molta attenzione alle affermazioni fatte a favore della minoranza Uighur, affermazioni che avrebbero potuto ritorcersi contro lo stesso stato turco, o comunque apparire poco degne di credibilità, poiché effettuate da uno stato che e’ soggetto alle medesime accuse da gran parte della comunità internazionale.
Nonostante i legami linguistici e culturali che legano gli stati turcici, poi, il centro Asia non e’ mai stato l’interesse principale della politica estera turca, focalizzata prima su Stati Uniti ed Europa e, recentemente, in maniera più consistente sul Medio – oriente e i paesi arabi in generale. Il forte legame che gli stati centro-asiatici ancora mantengono con la Russia e’ stato uno dei fattori che ha ritardato l’interesse turco nella regione, e ciò ha fatto sì che la retorica della ‘fratellanza culturale’ con gli altri paesi turcici non diventasse elemento predominante nella politica estera turca, nonostante le pressioni dei nazionalisti. Da qui, probabilmente, l’interesse non eccessivo per la regione degli Uighur, problema su cui sono prevalse le buone relazioni economiche e diplomatiche che già la Turchia intratteneva con la Cina.
*Erica Aiazzi è studente in Storia e Politica Internazionale (Università di Pavia)
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