Da pochi giorni si è concluso il Russian Energy Week, convegno internazionale sull’efficienza energetica che si è svolto tra Mosca e San Pietroburgo e ha riunito in Russia i maggiori esponenti del settore del petrolio e del gas di tutto il mondo. Il forum però, come spesso accade in queste occasioni, non è stato solo un occasione formale in cui i leader dei paesi invitati hanno condiviso tra di loro le proprie idee circa le infrastrutture e le risorse energetiche da sviluppare, ma è anche stato un’arena di dibattito e di incontro tra i capi di governo dei più grandi paesi della scena internazionale, nonché un’arena di dibattito geopolitico. Per questo motivo tra gli invitati si è registrata altresì la presenza dei rappresentanti di tutti quegli stati appartenenti alle aree più calde del panorama internazionale, i quali sono giunti in Russia principalmente per incontrare il presidente federale Vladimir Putin.
Il 5 ottobre scorso, nonostante l’onda mediatica del referendum catalano abbia catalizzato gran parte dell’attenzione mondiale, non è passato in sordina l’incontro avvenuto tra re Salman di Arabia e il presidente Vladimir Putin. Non a caso giovedì 5 ottobre è stato il giorno più atteso ed importante di tutta la Russian Energy Week, e forse, da un punto di vista geopolitico, anche dell’intero 2017. A dare un ulteriore tocco storico alla visita di re Salman, oltre al fatto che egli è il primo membro della dinastia Saud a visitare la capitale russa, è stato anche il commento che il presidente russo Vladimir Putin si è lasciato scappare, prima dell’incontro, circa l’alleanza tra U.S.A. e l’Arabia Saudita: «Nulla dura per sempre a questo mondo››
Infatti, la lunga alleanza transatlantica tra Riyad e Washington, che sembrava più salda che mai, soprattutto dopo la visita di Trump nella capitale saudita del maggio 2017, quando venne annunciato da entrambe le parti l’impegno di raggiungere la cifra record di 350 miliardi in cooperazione per la difesa entro il 2027, oggi sembra mostrare qualche crepa. L’impegno preso da entrambi i governi con una cifra talmente ingente induce a pensare che tale accordo acquisisca i tratti e l’importanza di un’alleanza tra Riyad e Washington valida almeno per il prossimo decennio. Nonostante questo, nella corsa all’armamento dell’Arabia si è inserito di recente anche il Cremlino; infatti Riyad ha firmato con Mosca un accordo preliminare che prevede l’acquisto di sistemi russi per la difesa antiaerea S-400, ma anche di missili anticarro Kornet-Em, lanciagranate Tos-1A e Ags-30 e fucili d’assalto kalashnikov Ak-103 (come risulta da un comunicato stampa delle industrie militari dell’Arabia Saudita). Questi accordi, oltre ad avere un valore complessivo di oltre tre miliardi di dollari, aprono la strada alla produzione di armi nel ricco regno petrolifero, interferendo in quei rapporti, preferenziali, esclusivi e quasi monopolistici che l’Arabia dei Saud intrattiene da anni con gli Stati Uniti.
Alla luce di ciò, l’incontro avvenuto di recente tra Salman e Putin assume la portata di un evento storicamente rilevante sotto numerosi aspetti.
Analizzando la visita del re saudita da un punto di vista prettamente energetico, si può constatare che si è cercato di raggiungere come obiettivo una possibile collaborazione tra Arabia Saudita e Mosca nell’ambito dell’energia nucleare, in modo che la stessa Arabia possa eguagliare, senza subire un ulteriore divario, il programma dell’Iran in questo settore. Inoltre il governo di Riyad progetta di coprire il fabbisogno interno di elettricità con il nucleare, in modo tale da destinare l’intera produzione petrolifera solamente all’esportazione. Questo progetto è già in atto da diversi anni, poiché già nel 2015 l’Arabia Saudita aveva firmato un accordo preliminare con la Russia per costruire i suoi primi reattori nucleari; lo scorso giugno, a margine del Forum economico di San Pietroburgo, ha sottoscritto un’intesa per la cooperazione bilaterale sull’uso pacifico dell’energia nucleare.
Analizzando invece quanto accaduto da un punto di vista prettamente geopolitico, si può evincere che re Salman ha intuito il ruolo che la Russia assumerà nello scacchiere mediorientale. Il governo di Mosca è divenuto, dapprima con la gestione della crisi siriana, poi con la sconfitta dello pseudo califfato, il protagonista di maggior peso e rilievo nell’area mediorientale. Per la Russia, la solida e preventiva alleanza con l’Iran si sta rivelando una mossa accorta e si sta trasformando soprattutto in un vantaggio, dato che i paesi dell’area, anche quelli più ostili a Tehran, sono costretti a passare da Mosca per far sì che le loro istanze e preoccupazioni vengano ascoltate.
Di tale visione si trova facilmente conferma nelle parole del presidente russo Putin, il quale durante il forum della “Settimana energetica russa” ha dichiarato di esser consapevole delle preoccupazioni sia dell’Iran sia dell’Arabia Saudita circa la crisi siriana, ma vuole assicurare ad entrambe le nazioni che la Russia è determinata nel cercare un compromesso soddisfacente per tutti gli attori presenti nell’area, siano coinvolti o no nella crisi siriana.
Sotto un ulteriore aspetto l’incontro con il re Salman è risultato determinante per Putin. La Russia, infatti, adesso ha un’intesa ufficiale con due paesi che nel mondo islamico rappresentano due correnti molto diverse, mettendo a segno un punto importante a proprio favore ed a svantaggio di Washington; infatti nell’incontro di Riyad del maggio scorso il presidente statunitense aveva dichiarato che le forze sunnite (comprendendo in esse anche l’Arabia wahhabita) sono le uniche in grado di opporsi al “male”; ovviamente aveva omesso di citare la corrente sciita.
Infine, l’evento è risultato di straordinaria importanza non solo per i risvolti suddetti, ma perché è riuscito a creare un dialogo tra due nazioni che non erano mai state in grado di intavolare normali relazioni sul piano internazionale, come dimostrano i burrascosi trascorsi in cui Russia ed Arabia Saudita si erano contrastate a vicenda per decenni, se pur non direttamente e coinvolgendo terze parti, come testimoniato dalla guerra sovietico-afgana e dalle due guerre di Cecenia.
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