Come è noto, le elezioni presidenziali statunitensi sono federali e non popolari. Ciò significa che il candidato vincente è quello che conquista più stati, e non quello che ottiene più voti; alle contestate elezioni del 2000, infatti, Bush poté aggiudicarsi la presidenza nonostante avesse preso mezzo milione di voti in meno di Gore. La geografia elettorale, quindi, è particolarmente importante. I candidati alla presidenza sono ben consapevoli di ciò e infatti tendono a concentrare le loro campagne elettorali in modo sproporzionato sugli stati in bilico, noti come swing states o battleground states, e in particolare in quelli che danno il maggior numero di grandi elettori.
Diamo quindi un’occhiata a questa “geografia del voto”. Se si guardano su una mappa i risultati delle ultime tre elezioni presidenziali statunitensi, si nota innanzitutto che il decennio passato ha visto una notevole stabilità nei comportamenti elettorali, come non si vedeva probabilmente dagli anni Venti del secolo scorso. Se nei decenni passati elezioni successive vedevano dei capovolgimenti considerevoli tra i due partiti che dominano la politica nordamericana, nelle ultime tre elezioni sono solo dieci gli stati che hanno cambiato maggioranza. In gran parte dei rimanenti quaranta stati, sembra invece essersi sviluppata un’elevata polarizzazione politica, per cui alcuni stati tendono a votare sempre per il Partito Repubblicano (da ora in poi, RP), mentre altri votano costantemente per il Partito Democratico (da ora in poi, DP). In quanto segue, proverò ad analizzare queste tendenze elettorali riferendomi alle macro-regioni in cui gli USA vengono solitamente divisi: Northeast, South, Midwest e West.
Riguardo alla costa del nordest, essa è generalmente considerata come una roccaforte del DP. Negli stati più a nord – il cosiddetto New England – la popolazione è prevalentemente bianca e in media più benestante rispetto al resto del Paese, e tende a votare compattamente per il DP. L’unica macchia è costituita dal New Hampshire, che ha una forte componente libertaria e tende a votare relativamente più a destra rispetto agli stati adiacenti. Dal New York al Maryland, il vantaggio del DP resta abbastanza forte. I livelli di ricchezza media restano alti; tuttavia, la composizione della popolazione si fa più diversificata. Anche se le contee all’interno iniziano a votare repubblicano, il DP tuttavia vince sul RP con degli scarti che si potrebbero definire imbarazzanti in tutte le grandi città, e specialmente in quelle caratterizzate da un’elevata presenza di minoranze etniche. Proprio per la sua forza nelle metropoli, il DP tende a prevalere a ogni elezione in tutti questi stati.
Al sud la situazione politica cambia radicalmente. La percentuale di popolazione nera aumenta e, con essa, anche la povertà media: tutti gli stati tranne la Virginia hanno un reddito mediano per abitazione al di sotto della media nazionale. Questi stati sono accomunati dalla tendenza di votare a destra, ma sono anche molto divisi al loro interno: vi sono infatti molte contee in cui il DP vince con ampie maggioranze. La ragione di ciò è facilmente individuabile nelle differenze nella composizione razziale delle stesse contee. Vi è, a proposito, un fatto curioso, per il quale in molte contee, soprattutto del Mississippi e dell’Alabama, le percentuali di voto del DP e del RP sono straordinariamente simili alle percentuali dei due principali gruppi etnici della zona – rispettivamente, blacks e whites. Si consideri, ad esempio, il caso dell’Attala County, in Mississippi: nelle ultime tre tornate presidenziali, il RP ha ottenuto in media il 59,2%, mentre il DP ha preso il 40,2% dei voti; nella stessa contea, la percentuale di bianchi è attorno al 58%, quella dei neri è attorno al 40%.
Texas e Florida si discostano dagli altri stati dell’area per l’elevata percentuale di ispanici. In Florida, inoltre, il comportamento elettorale è un po’ diverso rispetto agli altri ex-stati della Confederazione, tanto che esso è considerato uno swing state da decenni. Ciò dipende dalla compresenza di alcune contee con grandi città o campus universitari che tendono a votare a sinistra e di aree in media meno popolate e con forte maggioranza bianca che tendono a votare a destra.
Il Midwest1 è la macro-area politicamente più variabile. Da un punto di vista demografico, gli stati di questa regione sono abbastanza simili, e sono caratterizzati da un’elevata percentuale di bianchi rispetto alla media nazionale – tranne che in Illinois – ma un reddito generalmente inferiore alla media nazionale – con le eccezioni di Illinois e Minnesota. Da un punto di vista politico, tuttavia, si tratta di un’area piuttosto diversificata al suo interno. L’Ohio è uno dei principali swing states ed è abbastanza nettamente diviso tra alcune zone che solitamente votano democratico, che coincidono con la riva del lago Erie e con le città principali, e il resto dello stato che vota generalmente repubblicano. L’Indiana è invece tendenzialmente repubblicano, con l’eccezione della zona attigua a Chicago e, nelle ultime elezioni, anche di Indianapolis e della contea che ospita il principale campus universitario. Riguardo all’Illinois, la presenza di una città come Chicago ha garantito ampie vittorie al DP nelle ultime cinque tornate presidenziali. Anche Michigan, Minnesota e Wisconsin sono degli stati tendenzialmente democratici. È interessante il fatto che essi abbiano numerose contee relativamente poco popolate, eppure piuttosto inclini a votare a sinistra. L’Iowa, infine, presenta un’interessante divisione tra le contee a est, tendenzialmente democratiche, e quelle a ovest, più repubblicane; le due zone sembrano così subire l’influenza degli stati adiacenti.
Il West, infine, è generalmente democratico sulla costa, dove la presenza di grandi città porta California, Oregon e Washington a essere considerati roccaforti di sinistra, nonostante anche essi abbiano una forte presenza repubblicana specialmente nelle contee all’interno. Gli altri stati dell’area sono tuttavia tendenzialmente repubblicani; sono anche prevalentemente caratterizzati da popolazione bianca e leggermente più poveri rispetto alla media nazionale. In queste aree, le poche enclaves del DP coincidono quasi tutte con le contee in cui vi è un forte presenza di nativi americani o con alcune città universitarie. Vi sono, tuttavia, due importanti eccezioni. La prima è costituita dal Colorado. La presenza in esso di grandi città come Denver e Boulder e di alcune contee montane che votano tendenzialmente democratico rende il Colorado uno swing state. La seconda è costituita da Arizona, New Mexico e Nevada, stati che si distinguono per avere una popolazione con una forte componente ispanica. Il New Mexico, in particolare, che è lo stato nordamericano con la più elevata percentuale di popolazione latina (46%), si distingue anche elettoralmente in quanto tende a votare più a sinistra rispetto agli stati adiacenti.
Da questo breve riassunto vediamo come vi siano numerosi elementi che determinano il voto di uno stato o di una contea. Il primo sembra essere di natura regionale. Il nord-est e la costa del Pacifico sono tendenzialmente molto blu (colore del DP), gli stati del sud e gli stati dell’ovest sono tendenzialmente molto rossi (colore del RP). L’unica macro-area con una certa variabilità nel voto è costituita dagli stati del midwest. A prima vista, non vi sono differenze demografiche che possano spiegare tali difformità nel comportamento elettorale; perciò, mi astengo dal proporre una definizione migliore di questo primo fattore.
Il secondo fattore è la presenza di minoranze etniche. Indicativo in questo senso è il caso delle contee a elevata percentuale di popolazione nera o afroamericana: dove almeno un abitante su due è black, essa voterà quasi certamente – e con ampi margini – democratico. Ciò permette di spiegare quasi totalmente le numerose macchie blu nel “rosso” della “Bible Belt”. È bene precisare che questo fenomeno non è affatto, come si potrebbe pensare, limitato alle ultime elezioni, anche se è vero che un candidato come Obama ha certamente accresciuto l’incentivo degli afroamericani a esprimere il proprio voto. La percentuale di popolazione ispanica è anch’essa fortemente correlata ai risultati elettorali della contea, ma in misura minore; possiamo comunque affermare che, dove almeno un abitante su due è latino, essa tenderà a votare democratico. La percentuale di nativi americani è anch’essa correlata al voto: con l’unica eccezione dell’Alaska, le aree in cui almeno un abitante su due è costituito da nativi americani sono tutte roccaforti democratiche.
Il terzo fattore è la presenza di una grande città nella contea. Le contee con all’interno metropoli solitamente tendono a votare relativamente più a sinistra delle contee limitrofe. Questo dato è comune all’intero territorio nazionale. In buona parte ciò è spiegabile con la loro maggior differenziazione etnica, favorita da un fenomeno di lungo corso, noto come white flight, per cui la classe media bianca si è progressivamente spostata dalle grandi città verso le periferie. Ciò chiarirebbe, in effetti, perché in alcuni stati schierati verso il RP la presenza di grandi città, a grande maggioranza bianca, ha influenza minore sui risultati elettorali. Tuttavia, il fatto che, ad esempio, il 50% della popolazione di Washington D.C. è nera da solo non può spiegare perché alle ultime elezioni presidenziali i candidati democratici abbiano vinto sui candidati repubblicani con uno scarto compreso tra il 76% e l’86%.
Il quarto fattore è la presenza di un’università nella contea. Questo fattore non è sempre così rilevante; tuttavia, permette di spiegare perché alcune contee con una popolazione relativamente ridotta, come la Clarke County in Georgia o la Missoula County in Montana, votano molto più democratico rispetto alle contee confinanti. Questo fattore, tuttavia, non assicura la vittoria del DP alle elezioni presidenziali come gli altri sopra esposti.
Per concludere, alla luce di tutto ciò, che cosa possiamo aspettarci dalle prossime elezioni presidenziali? Alle elezioni del 2008, Obama è stato sicuramente avvantaggiato dalla sua capacità di attrarre le minoranze, le quali si sono presentate alle urne con percentuali più alte del solito, anche se comunque inferiori rispetto a quelle della popolazione bianca. La sua capacità nel mantenere, e magari anche aumentare, questa affluenza al voto potrebbe fare la differenza in alcuni stati in bilico come Virginia, North Carolina, New Mexico, Nevada e forse anche in uno stato tendenzialmente repubblicano come l’Arizona. Appellarsi alle minoranze non sarà tuttavia sufficiente. Obama dovrà anche riuscire a mantenere il voto della popolazione bianca del Midwest. Il fallimento della sua politica economica nel garantire un rapido ritorno ai livelli di benessere pre-crisi è il principale ostacolo a ciò, e rischia di alienargli il voto di alcuni stati-chiave della Rust Belt. Obama non rischia solo di perdere in Ohio, ma anche in Pennsylvania, Michigan e Wisconsin, stati che il DP si è aggiudicato in tutte le ultime cinque tornate presidenziali. È un compito sicuramente non facile ed è probabile che, a meno che non vi siano sconvolgimenti politici o economici, la situazione resti incerta come è ora fino all’election day.
*Andrea Casati è dottore magistrale in Relazioni Internazionali (Università di Bologna)
1 Kansas, Nebraska, North Dakota e South Dakota, nonostante siano solitamente considerati parte del Midwest, saranno qui invece considerati come parte del West, vista la somiglianza, nel loro comportamento elettorale, con gli stati di tale area.
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