L’opinione pubblica europea è stata sapientemente addestrata a “tifare” per i Curdi, nel loro confronto a più livelli con i Turchi (e magari anche con gli Iraniani e altri popoli dell’area vicinorientale). Di questo confronto detta opinione pubblica ha vaghissime impressioni e soprattutto ha per esso ben poco interesse, essendo occupata in problemi che più direttamente e da vicino la riguardano.
Eppure la valenza geopolitica di questo confronto è assolutamente rilevante, e talvolta anche i partigiani della “libertà curda” ne sono consapevoli.
Il piano di distruzione del Vicino Oriente – ma forse di uno spazio ancora più grande – passa infatti anche attraverso l’attacco alla sovranità e all’integrità di Turchia, Iran, Iraq e Siria, operato per mezzo delle milizie guerrigliere curde; le stesse che hanno funestato e che funestano da anni il territorio turco con attentati e azioni terroristiche di ogni tipo, provocando migliaia di vittime – non solo militari ma anche civili, e anche di etnia curda.
Occorre innanzitutto smontare il falso e ripetuto assioma della contrapposizione fra Turchi e Curdi; se è vero che il contenzioso fra questi due popoli c’è stato, per decenni – a partire dalla fondazione della Repubblica kemalista, che ha a lungo addirittura negato l’esistenza dei Curdi, riconoscendoli come “Turchi di montagna” e negando loro perfino l’uso della lingua curda – la situazione è ora cambiata e non è francamente paragonabile a quella del passato: rivendicazioni culturali e identitarie si iscrivono in una realtà ove Turchi e Curdi convivono in un reciproco riconoscimento, con milioni di Curdi che vivono del tutto pacificamente all’interno dei confini nazionali turchi senza contestarne la legittimità.
È dunque una frangia – minoritaria per quanto certamente di una qualche consistenza – del mondo curdo che, in Turchia come in Siria, ha imbracciato le armi e fatto largo uso di dinamite e di altri esplosivi, magari indotta a ciò dai cospicui rifornimenti e dalle promesse provenienti dall’estero.
Anche su quest’ultimo aspetto bisogna essere chiari: in Siria le milizie guerrigliere curde riconducibili al FDS (Forze Democratiche Siriane) e al PYD (branca del più celebre e famigerato PKK) sono state esplicitamente armate e sostenute dagli Stati Uniti, che hanno permesso loro – fra l’altro – di occupare territori ben più ampi di quelli normalmente abitati da popolazioni curde, incluse alcune zone di rilevanza petrolifera in cui i Curdi non hanno mai vissuto. Il recente annunzio da parte di Washington che le forze americane resteranno a tempo indeterminato in territorio siriano, addestrando un esercito di 30.000 “guardie di frontiera” del FDS, è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso, scatenando la reazione turca.
La mossa statunitense è del resto perfettamente funzionale alla strategia della tensione nell’area, perché è diretta non solo contro i Turchi ma anche contro Damasco, contro cui rincara la dose di prepotenza e di minaccia alla sovranità. C’è da ricordare che il governo siriano ha offerto – nel rispetto dell’integrità nazionale – piena autonomia alla regione del Rojava (a prevalente maggioranza curda), garantendo nel contempo la sicurezza della Turchia con il controllo del confine turco-siriano da parte di forze regolari siriane (oltre che di quelle turche, ovviamente).
Da qui si potrebbe ripartire, anche per fare fronte al secessionismo guerrigliero filocurdo: da un reciproco rispetto e dalla non ingerenza militare e politica fra Ankara e Damasco, dopo anni di sconvolgente e disastrosa guerra di invasione cinicamente programmata e attuata per un “cambio di regime”.
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