Dopo quattro anni dalla guerra del 2006, torna alta la tensione tra Israele ed il movimento sciita di resistenza Hezbollah. Secondo quanto riportato dai media nelle ultime settimane, il Partito di Dio sarebbe pronto ad affrontare Israele e si starebbe preparando per combattere nei villaggi del Libano meridionale, al confine con Israele, da sempre roccaforte della milizia Hezbollah.
Secondo l’intelligence israeliana, in particolare il servizio di controspionaggio delle Forze di difesa israeliane (IDF), vi sarebbe un incremento dell’attività militare di Hezbollah nel villaggio di al-Khiam: le aree circostanti le scuole e gli ospedali verrebbero utilizzate dalle unità del Partito di Dio per nascondere le armi contrabbandate attraverso il confine siriano.
I contrasti sono aumentati anche tra le forze di pace delle Nazioni Unite e i sostenitori di Hezbollah. Agli inizi di luglio, infatti, si sono verificati diversi scontri tra le truppe della Forza di Interposizione in Libano delle Nazioni Unite (UNIFIL) e la popolazione locale nel sud del Libano, roccaforte di Hezbollah, al confine con Israele. Il contingente dell’ONU, preposto alla sicurezza della zona cuscinetto al confine tra Israele e Libano, da diversi mesi sta monitorando con maggiore intensità il traffico di armi verso il confine con Israele, ma è stato attaccato dagli abitanti dei villaggi sciiti, simpatizzanti di Hezbollah.
Il 3 agosto, invece, violenti scontri si sono verificati tra l’esercito israeliano e quello libanese nella zona al confine tra i due paesi: gli israeliani erano intenti a sradicare alcuni alberi oltre il loro reticolato, ma a sud della Linea Blu, il confine provvisorio tra i due paesi, il cui tracciato viene però contestato dal Libano. La Linea Blu segna la linea del ritiro israeliano dal sud del Libano nel dopo 22 anni di occupazione e, siccome è tracciata sul terreno solo in parte, non sempre è visibile per chi si trova dall’una o dall’altra parte del confine provvisorio. Un evento, questo, che rischia di degenerare, in quanto Hezbollah ha dichiarato, per voce del suo leader Hasan Nasrallah, che, in caso di nuova aggressione israeliana all’esercito libanese, agirà a fianco delle forze libanesi. La situazione si è risolta con l’intervento dell’esercito libanese, ma rimane preoccupante il futuro della sicurezza del paese.
Uno sguardo al passato
Da molti anni il Libano è tormentato da guerre e conflitti che avvengono dentro e fuori dai suoi confini, e i rapporti con il vicino Stato di Israele non sono mai stati facili. Risale al 1982 l’inizio dell’occupazione israeliana del Paese dei Cedri, che durò 22 anni.
Il 6 giugno di quell’anno venne avviata l’Operazione Pace in Galilea, guidata dal generale Ariel Sharon, con lo scopo di cancellare le basi della resistenza palestinese in Libano. Qui, infatti, i miliziani palestinesi si erano riorganizzati dopo l’espulsione dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) dai vertici del governo giordano, ed avevano stabilito il loro quartier generale nella zona meridionale del paese. L’operazione israeliana prevedeva la creazione di una fascia di sicurezza, che si estendeva per 40 km, per difendere il nord dello Stato di Israele da eventuali attacchi.
Ma a fine giugno 1982 l’esercito israeliano attaccò diverse fazioni libanesi, tra cui la milizia sciita di Amal, le truppe del governo libanese e vari partiti di sinistra presenti nel paese. Alla fine dello stesso anno, da un’ala dissidente di Amal nacque Hezbollah (termine che in arabo significa Partito di Dio), una milizia appoggiata e finanziata dall’Iran e dalla Siria. Scopo del movimento era resistere all’invasione e ricacciare indietro le truppe di Israele.
Il gruppo si ispira ideologicamente ai precetti della rivoluzione islamica in Iran e agli insegnamenti dell’ayatollah Khomeini; mira a difendere gli interessi degli sciiti, e a sostenere un governo islamico fondamentalista, in chiave anti-occidentale e anti-israeliana. Nel corso degli anni, ha guadagnato consenso tra gli abitanti dei villaggi del Libano meridionale, costruendo ospedali, scuole ed offrendo altri servizi di prima necessità, in un contesto di incapacità del governo centrale libanese di organizzarsi in maniera efficiente. In pratica Hezbollah costituisce uno stato nello stato: partecipazioni finanziarie, imprese, alberghi, ristoranti, contributi mensili alle famiglie. Possiede un vero e proprio sistema di leggi ed un esercito professionale addestrato alla guerriglia, la cosiddetta Resistenza islamica.
Nel 1985 Israele si ritirò dal Libano, rimanendo soltanto in una “fascia di sicurezza” che liberò nel 2000. Tuttavia, non sono mai cessate ostilità tra Hezbollah e l’esercito israeliano, che spesso compiva azioni di rappresaglia in territorio libanese.
La crisi esplose nuovamente l’11 luglio 2006, quando un commando Hezbollah attaccò e distrusse un’unità militare israeliana in Israele, provocando una dura reazione. Gli scontri durarono circa un mese e cessarono dopo il voto della Risoluzione 1701 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, che fu approvata sia dal governo libanese sia da quello israeliano. La Risoluzione chiedeva il disarmo di Hezbollah ed il ritiro delle truppe israeliane dal Libano, con il dispiegamento di soldati libanesi e di una forza di interposizione in Libano delle Nazioni Unite (UNIFIL) nel sud del Libano.
La situazione attuale
Diversi fattori hanno contribuito a scatenare i contrasti delle scorse settimane. Innanzitutto, Hezbollah possiede ora una maggiore quantità di armamenti dall’ultima guerra tra Israele e Libano del 2006, nonostante le disposizioni contrarie della già citata Risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che aveva posto fine al conflitto. La tensione tra Israele ed Hezbollah è cresciuta sensibilmente negli ultimi mesi, in seguito alle accuse al Partito di Dio di aver ricevuto missili balistici Scud dalla Siria e dall’Iran. Secondo il servizio di informazioni israeliano, Hezbollah possiede attualmente un arsenale costituito da 100 missili Scud ed M-600 e 40 mila razzi a corto e medio raggio, armi nascoste nei villaggi e nelle case a sud del fiume Litani, dove si trovano 20 mila militanti sciiti, 8 mila dei quali sono stati addestrati nei campi iraniani. Inoltre, nella zona cuscinetto controllata dall’UNIFIL i miliziani di Hezbollah custodiscono anche una fitta rete di comunicazione e centri di comando.
Attualmente, però, il principale timore israeliano riguarda il programma nucleare iraniano. Israele ha cercato più volte di impedire alla Repubblica islamica di procurarsi gli armamenti nucleari, ma Hezbollah rappresenta per l’Iran un importante deterrente contro l’azione israeliana. Un eventuale attacco all’Iran provocherebbe indubbiamente una reazione di Hezbollah ed una conseguente guerra contro Israele.
Un’altra questione che complica ulteriormente i rapporti tra il governo israeliano e il movimento di resistenza sciita riguarda la recente dichiarazione del leader di Hezbollah, Hasan Nasrallah, che dietro l’omicidio dell’ex premier libanese Rafik Hariri, ci siano gli israeliani. Hariri fu ucciso in un attentato a Beirut il 14 febbraio 2005 e, fin dall’inizio, la responsabilità dell’accaduto è stata attribuita alla Siria. Durante il suo mandato, infatti, l’ex primo ministro tentò di indebolire l’egemonia siriana in Libano che per diversi anni aveva condizionato la politica del governo libanese. La sua morte scatenò una serie di manifestazioni di protesta della popolazione contro la presenza militare della Siria (la cosiddetta “Rivoluzione dei cedri”) e, di fronte alle pressione degli Stati Uniti, le truppe siriane si ritirarono dal territorio nazionale. Quello stesso anno, inoltre, fu istituito un tribunale internazionale con il compito di trovare e processare i mandanti dell’assassinio (secondo voci autorevoli, il tribunale internazionale a settembre emetterà una sentenza che incolperebbe alcuni membri di Hezbollah). Ciò indebolì il ruolo politico del Partito di Dio e degli sciiti e mandò al governo una coalizione presieduta da Fuad Siniora, indipendentista, democratico e filo-occidentale. Ma nelle ultime elezioni del 2009, Hezbollah ha ottenuto 14 seggi in Parlamento e, ad oggi, tiene sotto controllo il governo sia attraverso la presenza di alcuni suoi membri nell’esecutivo, ma soprattutto tramite la deterrenza del proprio esercito.
Una guerra per il controllo delle risorse
Al centro della storia di Israele e dei suoi conflitti con i vicini paesi arabi si trova la questione della gestione delle risorse idriche (si pensi al caso della Siria con le Alture del Golan), che è stata ed è tuttora una delle cause scatenanti delle controversie regionali. Tuttavia, esiste un altro elemento che rischia di innalzare le eventualità di uno scontro, cioè il gas naturale. Si tratta di una risorsa naturale di cui sono ricchi molti paesi mediorientali, come l’Egitto, il Qatar e l’Iran, ma non Israele e il Libano, che costituiscono due eccezioni nello scenario mediorientale, ricco di idrocarburi.
Gli attriti di queste ultime settimane deriverebbero dall’annuncio fatto da Israele che al largo di Haifa, a circa 90 Km dalla costa, vi sarebbero enormi riserve di gas naturale. Si tratterebbe dei giacimenti di Tamar e Dalit, contenenti circa 170 miliardi di metri cubi di gas, la cui produzione dovrebbe cominciare nel 2012. A ciò si aggiunge un terzo giacimento, ancora in via di esplorazione, il Leviathan (quasi il doppio del Tamar), che potrebbe portare le riserve nazionali a circa 450 miliardi di metri cubi. Sarebbe una vera e propria miniera per lo Stato di Israele, per il quale la dipendenza energetica è da sempre uno dei punti deboli. Infatti, il paese, a causa di una sempre maggiore richiesta interna, deve importare gas naturale e carbone, principalmente dall’Egitto, quindi lo sfruttamento dei giacimenti di gas sarebbe la soluzione ai problemi di sicurezza energetica. Inoltre, Israele potrebbe diventare esportatore di gas naturale verso l’Asia e l’Europa, anziché importatore, con rendite fino a 20 miliardi di dollari.
Da qui il disaccordo con il Libano, che ha rivendicato la sovranità su una parte dei giacimenti, i quali sconfinerebbero all’interno delle acque territoriali libanesi. In particolare, Hezbollah ha accusato Israele di sottrarre al Libano le proprie risorse naturali. A sua volta, il premier israeliano Benjamin Netanyahu, ha accusato Hezbollah di approfittare della scoperta di questi giacimenti per rivendicare diritti inesistenti su tali aree.
Un’altra zona calda al centro della questione tra Israele e Libano è la regione di Shebaa, un’area ricca di fattorie situata tra il confine libanese e le alture del Golan, parte dei territori occupati da Israele. Secondo i governi libanese e siriano, le fattorie di Sheabaa rientrano nel confine libanese, mentre per Israele si troverebbero al massimo entro i confini siriani (opinione che però non pregiudica il perdurare dell’occupazione sionista, ma anzi mira a giustificarla).
In conclusione, un conflitto tra Israele ed Hezbollah sarebbe grave sia perchè provocherebbe enormi perdite fra la popolazione civile, sia per le implicazioni a livello regionale ed internazionale, poiché lascerebbe irrisolte le questioni di fondo della pace e della sicurezza nella regione mediorientale.
* Silvia Bianchi è dottoressa in Editoria e giornalismo (LUMSA di Roma)
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