A meno di due settimane dal voto per le elezioni presidenziali in Colombia, gli ultimi sondaggi vedono il candidato sostenuto dal Partito dei Verdi, Antanas Mockus, in vantaggio con uno scarto di 4,5 punti percentuali su Juan Manuel Santos, primo rivale ed erede spirituale del Presidente uscente Alvaro Uribe.1 In ragione della posizione privilegiata che la classe dirigente del paese latinoamericano ha riservato agli Stati Uniti nell’ambito delle relazioni internazionali, il vaglio dei potenziali riflessi sugli equilibri regionali della consultazione elettorale risulta di fondamentale importanza. Il tema della sicurezza in Colombia ha assunto un ruolo primario nella politica interna ed estera: le strategie adottate da Uribe hanno reso dei risultati positivi determinando, tuttavia, gravi violazioni dei diritti umani ed il deterioramento dei rapporti diplomatici con le repubbliche sorelle: Ecuador e Venezuela. A questo punto c’è da chiedersi: L’elettorato colombiano, sente sufficientemente dissipata la minaccia della criminalità che ha dilaniato il paese tanto da aprire le porte ad un Esecutivo di matrice progressista intenzionato ad affiancare al tema della sicurezza il ripristino delle garanzie civili ed il rispetto dell’ordine democratico? Il perpetuarsi di una politica estera colombiana filo-americana può coniugarsi con una politica di sicurezza nazionale in sintonia con i paesi vicini?
La gravità di condizioni nella società colombiana e all’interno delle sue istituzioni politiche si può in buona parte considerare alle origini del doppio mandato dallo stile “forte” del presidente Uribe. Il prezzo pagato dalla democrazia colombiana è alto e si misura, tra l’altro, nell’erosione delle garanzie tipiche dello “stato di diritto” e nelle note dissonanti nelle relazioni con gli Stati confinanti. E’ naturale che tali tematiche continuino a pesare sul dibattito politico che precede l’attribuzione della carica presidenziale per il prossimo quadriennio. Sullo sfondo sono sempre presenti una tendenziale concentrazione della ricchezza, il notevole divario nella qualità della vita tra aree urbane e rurali e la perdurante diffusione di gruppi armati di varia ispirazione ideologica.
Con una certa approssimazione e tralasciando le ovvie sfumature, il panorama politico colombiano è caratterizzato da forze che afferiscono a poli di segno opposto: quello conservatore e quello progressista.2 Questa semplificazione ci permette di guardare in prospettiva e di ipotizzare i possibili effetti sugli equilibri strategici e sulle relazioni nella regione all’indomani delle presidenziali. Un simile approccio è ancora più giustificato alla luce del regime elettorale che, in caso nessuno dei candidati raggiunga una maggioranza assoluta (ed è quanto si profila nel recente sondaggio che abbiamo richiamato in apertura), si dovrà procedere ad una seconda tornata elettorale con conseguente limitazione delle possibilità di voto ai rivali in netto contrasto politico – ideologico.
Le questioni irrisolte
Il fitto intreccio di interessi e relazioni tra soggetti legali e criminali che ha caratterizzato gli ultimi quarant’anni della vita pubblica in Colombia (con una alternarsi di fasi di compenetrazione, conflittualità e/o connivenza tra gli attori) non può ancora ritenersi risolto e coinvolge fenomeni tanto diversi quanto complessi: corruzione di esponenti politici dello Stato centrale e periferico, guerriglia, para–militarismo, narcotraffico e criminalità più o meno organizzata.
Non deve dunque meravigliare che, a distanza di sedici anni, l’eco suscitato dallo scandalo per il finanziamento della campagna elettorale del Presidente Ernesto Samper con fondi provenienti dal narcotraffico sia ancora capace di influenzare il clima politico e di favorire quelle proposte programmatiche che tendono a far leva sulla “moralizzazione” del sistema sociale.
Il bisogno di giustizia del cittadino colombiano, legittimando l’esercizio di un potere esecutivo severo e preponderante nell’ultimo decennio di vita dello Stato, ha determinato indirettamente conseguenze rilevanti sul piano delle relazioni internazionali nell’emisfero americano. Infatti, negli ultimi dieci anni, i vertici politici del Paese hanno dato risposta al dilemma della sicurezza attraverso una alleanza militare con Washington, capace di creare turbolenza nei rapporti con i vicini che, nel frattempo, hanno sperimentato una svolta in senso socialista dai toni decisamente anti-americani. Come si vedrà, la convergenza politica verso interessi U. S. A. è andata ben oltre la lotta al narcotraffico per estendersi fino al campo delle relazioni commerciali regolate da un modello di scambi che presta il fianco a diverse critiche.
Rispetto all’attività terroristica delle FARC (Fuerzas Armadas Revolucionarias Colombianas) le misure attuate sotto la presidenza Uribem, con il patrocinio U. S. A., sono state giudicate solo parzialmente efficaci e spesso esorbitanti i limiti stessi della legalità.
Quando giudicati positivi, gli esiti delle detenzioni di massa e l’aumento indiscriminato della presenza e delle prerogative dei militari nelle aree considerate a rischio hanno prodotto risultati modesti mentre migliori sono stati i riscontri della dura repressione delle coltivazioni illecite (essenziali fonti di introiti per la guerriglia).3
Neppure la risposta data al para–militarismo è stata decisiva e ciò è particolarmente grave in vista della responsabilità diretta dello Stato nella genesi e sviluppo del fenomeno: in origine la scelta di chiudere un occhio sulle iniziative di autodifesa dei proprietari terrieri, allevatori e commercianti era fondata sulla speranza di bilanciare l’avanzata delle FARC; più tardi si fecero sempre più comuni e tollerati, sia le complicità di tali gruppi con sezioni della milizia ufficiale, sia l’instaurarsi di veri e propri vincoli tra paramilitari, politici, signori del narcotraffico e altre sfere della criminalità organizzata.
La scelta unilaterale di optare per la pacificazione con i paramilitari (peraltro non completamente riuscita), la conseguente impunità e l’insensibilità del Governo verso il dovuto riconoscimento di una riparazione morale e materiale alle vittime civili sono aspetti controversi che hanno suscitato le critiche persino dell’alleato nordamericano.
Gli elementi fin qui analizzati evidenziano l’incapacità dello Stato colombiano a detenere il monopolio della forza ed il controllo del territorio. Tuttavia coloro che hanno pagato il prezzo più alto sono i comuni cittadini (minoranze indigene comprese) specie quelli più deboli e dislocati nei più remoti angoli del paese. Benché siano diminuite, nel 2009 le esecuzioni extragiudiziali di civili sono ancora all’ordine del giorno; le deportazioni all’interno dello Stato sono aumentate e persistono le minacce, violenze e sequestri contro i difensori dei diritti umani ed a danno dei superstiti di ogni forma di abuso.4
Com’è assai noto, oltre al deterioramento della situazione dei diritti umani in Colombia, nella seconda metà dello scorso anno il modello di esecutivo “forte” si è macchiato anche dello scandalo dell’utilizzo improprio dell’apparato di intelligence civile per il controllo di oppositori, attivisti per i diritti civili, giornalisti e magistrati (c. d. scandalo DAS).
A questo punto della trattazione, ferma restando la necessità di approfondire la dimensione estera e le implicazioni geopolitiche di quanto fin qui esposto, è chiaro che sul risultato elettorale avrà un peso determinante la percezione dei rimedi applicati dal governo Uribe alla luce dei “costi” che la comunità ha dovuto sopportare. Fin dove è disponibile la cittadinanza ad offrire nuova legittimazione al legato uribista posto nelle mani di Juan Manuel Santos? E in che misura risulta credibile (e capace di migliorare lo status quo) l’offerta politica di Mockus?
Il conflitto elettorale
Le intenzioni di voto privilegiano la figura carismatica di Mockus, matematico e filosofo già due volte Sindaco di Bogotà ed ex presidente dell’ateneo capitolino, che presenta una piattaforma programmatica assai innovativa, specie se paragonata con quella presentata dal Partido de Unidad Nacional di Santos.
In funzione della dottrina ambientalista del Partito Verde spiccano il consumo responsabile delle risorse, lo sviluppo delle energie sostenibili senza ovviamente trascurare il tema della legalità ed il perseguimento di una maggiore sicurezza non solo mediante l’appoggio alle forze dell’ordine ma anche tramite il rispetto di figure pubbliche altrettanto importanti ma afferenti ad altri poteri dello Stato. Non mancano poi i dovuti riferimenti al rispetto dei diritti umani ed il rifiuto categorico dell’uso della forza da parte di attori non legittimati. Ma ciò che potrebbe fare la differenza a favore del candidato dei Verdi è il fatto che, pur presentando una agenda progressista, nel capitolo del programma dedicato all’economia non vi sono traccie di contrapposizione ideologica nè di lotte tra classi sociali ma piuttosto la palese intenzione di integrare l’economia colombiana nei mercati internazionali.5 A nostro parere una tale impostazione potrebbe portare nell’orbita di Mockus quote di consenso provenienti dai bacini elettorali tradizionalmente inclini alla conservazione dell’ordine sociale: classi medio-alte ed elites economico-finanziarie.
Nelle relazioni internazionali è ben noto che l’asse Bogotà – Washington ha creato tensioni che non si possono giustificare esclusivamente sulla base delle diversità politiche tra le attuali compagini governative in Ecuador e Venezuela (Correa – Chàvez ), da un lato, e la Colombia filo–americana di Uribe dall’altro.
Infatti, la guerra dura al narcotraffico ha determinato effetti transfrontalieri che hanno contrariato l’Ecuador e che hanno portato la Colombia sull’orlo dell’isolamento diplomatico.
In primo luogo, il risentimento in Ecuador deriva da violazioni più o meno dirette della sovranità nazionale a fronte di attività come l’aspersione con sostanze tossiche di piantagioni di coca in aree di frontiera (con danni all’ambiente, alle risorse idriche e ai cittadini ecuadoriani prossimi al confine), oppure, la ben più clamorosa incursione delle milizie colombiane nel territorio ecuadoriano con l’intenzione (peraltro riuscita) di eliminare un esponente di vertice delle FARC.
Inoltre a contribuire al raggiungimento del più basso livello di simpatia tra le repubbliche sorelle, che pare oggi abbiano in comune poco più dei colori delle loro bandiere, bisogna aggiungere l’accordo per l’utilizzo delle basi militari colombiane da parte degli U. S. A. La risonanza negativa di tale intesa in tutta l’America Latina è assai giustificata in quanto viene vista come l’ennesima proiezione militare degli Stati Uniti sul continente in cui ha esercitato (ed esercita) una influenza egemonica.
Sulla sponda opposta, Colombia e Perù, che intrattengono profondi legami militari ed economici con gli Stati Uniti, hanno negato fermamente che le recenti concessioni militari rappresentino una minaccia alla pace nel continente sud americano. Riteniamo che, come spesso accade in politica internazionale, la posizione intermedia rispetto alla problematica delle basi militari sia quella più accreditata. Paraguay e Cile, guidati dal moderato criticismo del Brasile, hanno spostato il fulcro delle critiche dalla questione strettamente militare verso l’interrogativo pressante su quale sia la linea concreta politica del Presidente Obama verso l’America Latina.6
Se in passato la ferrea volontà dell’Esecutivo colombiano di perseguire il terrorismo a tutti i costi secondo una logica unilaterale e sfruttando il senso di vulnerabilità ampiamente diffuso nella compagine sociale (esprimendo anche una ostilità oltre i confini nazionali), il lieve miglioramento registrato nei rapporti diplomatici tra Colombia e Ecuador nell’ultimo trimestre del 2009 suggerisce che quest’anno tale rapporto potrebbe beneficiare di ulteriori migliorie.7
Contrariamente, il Presidente venezuelano Chàvez ha esplicitato le difficoltà di una piena normalizzazione dei rapporti con la Colombia in caso dovesse essere eletto Santos alla guida del Paese; sottolineando che è stato proprio Santos, in qualità di Ministro della Difesa del Governo Uribe, a guidare il raid anti – FARC in palese violazione della sovranità dell’Ecuador.8
Mentre gli interessi primari degli U. S. A. sembrano fisicamente lontani dal vicinato, il forte contrasto professato con varia intensità dal blocco bolivariano di Chàvez ha dischiuso agli Stati, che in quel blocco non si sono riconosciuti, una via preferenziale nei rapporti bilaterali con Washington. In questo spazio s’inserisce anche il dossier delle relazioni commerciali.
E’ assai probabile che in caso di elezione di un candidato “progressista” questo cerchi di mitigare gli effetti negativi sui settori più deboli della società qualora venga data piena efficacia al Trattato di Libero Commercio siglato l’anno scorso tra Colombia e Stati Uniti, tentando, al contempo, una qualche forma di avvicinamento alla Alleanza Bolivariana per le Americhe ed i Caraibi (ALBA).
Mentre i difensori ad oltranza delle politiche commerciali di libero scambio pongono l’accento sul miglioramento dei parametri economici a fronte dell’abbattimento dei dazi doganali tra paesi e richiamano a tal proposito gli esempi virtuosi delle performance di Cile, Perù ed El Salvador a partire dall’ultima decade del secolo scorso9, riteniamo opportuna una riflessione con puntuale richiamo alle specificità del caso colombiano.
Sulla scia degli effetti prodotti sulle fascie più deboli della società messicana dal NAFTA (North American Free Trade Agreement), sono prevedibili degli effetti ancora peggiori in un paese dove, come s’è delineato in apertura, le popolazioni rurali non hanno adeguato sostentamento. Potranno mai competere i beni agricoli prodotti in Colombia da contadini tecnologicamente non attrezzati con il flusso di prodotti americani provenienti da una economia in cui il settore agricolo è (in deroga assoluta al principio del libero mercato) beneficiario di ingenti sussidi?
Anche quando l’integrazione di due economie mediante l’uso della leva daziaria produce degli effetti di crescita economica, tali indici nulla dicono della distribuzione di beni e servizi e non comportano automaticamente, se non compensati da adeguate politiche sociali, un maggior benessere specie in realtà collettive cosi difficili come quelle dell’America Latina in generale e della Colombia in particolare dove dilagano conflitti, deportazioni e violazioni dei diritti umani. Nelle aree rurali il solo mezzo di sostentamento dei contadini è rappresentato dai frutti della terra, e quindi, un leale trattato di libero scambio dovrebbe contribuire allo sviluppo e compensare i divari anziché esacerbare ineguaglianze e povertà10
Purtroppo sembrerebbe che nel capitolo delle relazioni commerciali gli Stati Uniti, pur avendo a disposizione strumenti per riformulare in senso più equo le relazioni con gli Stati vicini, non abbiano aggiunto una pagina in cinquanta anni. Quando agli inizi degli anni cinquanta la Colombia aveva bisogno di capitali per finanziare lo sviluppo dell’industria pesante, la Banca Internazionale per la Ricostruzione rifiutò il suo appoggio finanziario al progetto e diede ascolto all’amministrazione repubblicana del generale Eisenhower ed al motto ricorrente negli U. S. A. rispetto al tono dei rapporti economici con l’America Latina: “Trade not aid”.11
Tornando al presente, è bene precisare che chiunque sarà il prossimo inquilino della Casa de Nariňo dovrà trasmettere stabilità ai mercati finanziari per evitare la fuga di capitali che potrebbe avere effetti disastrosi su un sistema economico che presenta un tasso di disoccupazione di 11,8 %. Sotto questo profilo viene confermata la percezione che hanno di Antanas Mockus gli ambienti economici; nei due termini da primo cittadino nell’amministrazione di Bogotà, il politico matematico ha dato prova di trasparenza e gli analisti non hanno dubbi che per quanto sia innovatore il programma Verde punto fermo rimane quello della crescita economica.12
Infine, il primato dell’economia e la necessità di mantenere un orizzonte stabile e capace di attrarre capitali esteri ci fa pensare che, a prescindere da chi occuperà la poltrona presidenziale, a medio termine le linee di politica estera si indirizzeranno verso i miglioramenti nei rapporti “condominiali” ed il rispetto di garanzie essenziali: di fronte ai mercati, la Colombia non può rinunciare ai traguardi raggiunti in tema di sicurezza ma, sul prossimo Esecutivo si prospetta la pressione crescente dei movimenti per la tutela dei diritti umani capace di indurre al ripensamento dei metodi adottati anche in vista della riduzione dei fondi erogati da Washington mediante il tanto discusso Plan – Colombia .
D’altra parte, dal declino delle relazioni diplomatiche lungo l’asse che da Quito giunge a Caracas passando per Bogotà sono derivati anche un rallentamento delle relazioni commerciali e la carta dell’oltranzismo giocata nell’era Uribe non sembra possa essere di nuovo messa sul tavolo da gioco senza che si vada incontro a delle conseguenze (che con tutta probabilità andrebbero oltre la reciproca espulsione dei corpi diplomatici) di cui tutti gli attori sono pienamente consapevoli e che in realtà non portano vantaggio alcuno alla regione.
* Daniel Angelucci è laureato in Scienze politiche (Università di Teramo)
1La notizia sugli esiti del sondaggio condotto dalla società di consulenza Datexco si può rinvenire in:
2Per una puntuale ricostruzione dell’attuale scenario dei partiti in Colombia si rinvia al contributo apparso di recente su questa pagina: Penza Francesca (a cura di), La Colombia alle urne, 03.03.2010,
3Cfr. Gutiérrez Sanin Francisco, Ilegalidad y sistema polìtico en Colombia: la agenda de Uribe Vélez, pag. 64,
4Cfr. Amnistía Internacional, La situación de los derechos humanos en Colombiana: declaración escrita de Amnistía Internacional al 13° periodo de sesiones del Consejo de Derechos Humanos de la ONU, 01 – 26 Marzo de 2010,
5Per questi e gli altri numerosi punti del Programma del Candidato del Partito Verde:
6Llanos Fernando, The Gust of War: Latin American Perspectives on the US – Columbian Bases Agreement, Latin America Programme, 17.08.09, :
http://www2.lse.ac.uk/IDEAS/programmes/latinAmericaProgramme/pdfs/gustofwar.pdf
7In questo senso confronta: Siegel A. e Shifter Michael, Colombia y Ecuador en 2009: El tortuoso camino hacia un restablecimiento de las relaciones, Anuario Iberoamericano 2010, pagg. 88 e ss. :
http://www.thedialogue.org/PublicationFiles/Colombia%20y%20Ecuador%20en%202009.pdf
E’ interessante come gli autori facciano emergere che l’operazione oltre frontiera contro le FARC sia stata condannata non solo dagli alleati naturali dell’Ecuador (Venezuela e Brasile) ma anche dalla Organizzazione di Stati Americani, OAS.
8Cfr. Nosotros queremos pasar la página pero con ese seňor Santos va a ser muy dificil: Chàvez:
9CATO Institute, Handbook for Policymakers, U. S. Policy toward Latin America:
10US Office on Colombia, Comments Concerning the United States Free Trade Agreement with Colombia, 05.09.09:
11Niedergang Marcel, Le venti Americhe latine,Milano 1964, pag. 286. L’autore chiarisce come Washington al tempo privilegiasse il flusso di capitali privati verso i paesi del centro e sud America, con lo scopo di sfruttare direttamente le ricchezze del sottosuolo. Infatti agevolare la nascita dell’industria pesante locale avrebbe finito per rompere il monopolio delle imprese americane sulle risorse strategiche.
12Si veda l’articolo pubblicato da Semana.com, Pòlitologos y economistas opinan sobre el resultado de la encuesta, 26.04.10:
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