Una delle più alte autorità iraniane ha confermato la disponibilità di Tehran a mettere un tetto al 5% dell’arricchimento d’uranio e la volontà d’adozione dell’ invasivo protocollo aggiuntivo del trattato di non proliferazione nucleare. Tutto ciò, a patto che le sanzioni contro l’Iran vengano ritirate; indubbiamente, un nuovo segnale di flessibilità da parte iraniana sulle trattative in corso in merito al nucleare.
L’autorità iraniana che ha rilasciato informazioni in forma anonima all’autore, ha altresì indicato che l’Iran ha recepito e sta seriamente considerando l’installazione di una “linea diretta” con gli Stati Uniti in relazione ad eventuali incidenti nel Golfo Persico e potrebbe altresì acconsentire ad un “accordo marittimo” per dimostrare la volontà iraniana di distendere le tensioni nella regione.
La scorsa settimana, i rappresentanti delle nazioni 5 + 1 (ovvero i membri permanenti del consiglio di sicurezza dell’ONU assieme alla Germania) hanno tenuto un incontro straordinario oltre all’Assemblea Generale, per aprire un nuovo tavolo di trattative con l’Iran. Tutto questo avviene mentre Israele continua ad insistere per un intervento militare, alla luce di quanto dichiarato all’assemblea dell’ONU da Benjamin Netanyahu, il quale ha mostrato a tutti un’illustrazione di una bomba in stile cartone animato disegnando a sua volta una “linea rossa” in corrispondenza della quota del 90% in merito all’arricchimento dell’uranio da parte iraniana; una vera sorpresa per molti critici iraniani che hanno interpretato il segnale di Netanyahu come un “semaforo verde” per un arricchimento al di sotto di quella soglia.
Non si capisce bene se questa fosse o meno l’effettiva intenzione di Netanyahu, ma il riferimento alla quota d’arricchimento del 90% ha avuto un vero e proprio effetto ritardante delle capacità guerrafondaie e le conseguenti giustificazioni logiche legate ad una guerra imminente a meno che l’occidente non imponga nuove condizioni “paralizzanti” al nucleare iraniano. Infatti, considerato che l’AIEA ha dichiarato che l’arricchimento iraniano è al di sotto del 20% e che il capo del progetto nucleare iraniano Fereydoun Abbasi ha negato la volontà di andare oltre quella cifra, Netanyahu ora subisce forti pressioni a ricercare pretesti all’interno della comunità internazionale per dare supporto al suo contrasto guerrafondaio con la nazione iraniana.
Una “guerra totale” a livello economico contro l’Iran, sta comunque avendo luogo. Lo stesso presidente Mahmoud Ahmadinejad ha esposto in pubblico la connessione tra le difficoltà economiche del suo stato e le sanzioni economiche come causa della spirale discendente del Riyal, la moneta iraniana. Naturalmente Tehran sta cercando di arginare i danni con la speranza di trovare una soluzione valida relativamente all’ “impasse” relativa al nucleare in maniera tale che la soluzione soddisfi entrambe le parti.
In questo contesto il ministro degli esteri iraniano Salehi ha annunciato al pubblico presente al Council on Foreign Relations e agli altri esperti statunitensi che la fatwa contro il nucleare della massima autorità religiosa verrà “istituzionalizzata” con una registrazione ufficiale presso le Nazioni Unite avendo così ulteriori rassicurazioni sullo sviluppo pacifico del nucleare iraniano. “Vogliamo mettere in moto altre procedure legali” ha aggiunto Salehi facendo riferimento sia al Protocollo Aggiuntivo e agli accordi secondari con la AIEA (che Tehran fino ad ora aveva rifiutato di sottoscrivere).
L’Iran ha firmato il Protocollo Aggiuntivo del Trattato di non proliferazione (TNP) nel 2003 collaborando con gli ispettori dell’AIEA negli anni 2003 e 2005, ma il protocollo, che permette ispezioni “invasive” e attività di monitoraggio degli impianti nucleari, non è ancora entrato in vigore.
Di certo la domanda è se la coalizione dei governi occidentali guidata dagli USA abbia effettivamente la volontà di contraccambiare l’apertura iraniana con offerte volte a cercare una mediazione oppure se continuerà nel perseguire la linea “massimalista” che vorrebbe la totale sospensione del programma iraniano di arricchimento dell’uranio, che tra l’altro non è in regola con le linee guida del TNP e neppure trova supporto tra le schiere di opinionisti occidentali, che vedono, di contro, conseguenze estremamente negative in caso di un conflitto con l’Iran.
Per avere una risposta a questo quesito si dovrà attendere fino a novembre dopo il verdetto delle elezioni americane. In caso di ri-elezione, il presidente Obama avrà “le mani libere” durante il primo termine del suo mandato per analizzare “l’affare iraniano” così da fare uno step decisivo sulla questione iraniana. Tutto ciò assume ancora più importanza alla luce di una prossimo ritiro delle truppe americane dall’Afghanistan, ancora estremamente instabile, per non menzionare l’attuale e pericolosa instabilità irakena. Sempre a New York, Salehi ha dichiarato che è “una cosa certa che se gli USA non intratterranno buoni rapporti con l’Iran, sarà per loro difficile perseguire i propri interessi all’interno della regione”.
Accordo relativo agli incidenti in mare
Prima di aprire la questione, è necessario precisare che il presente autore aveva pubblicato quattro anni fa una lettera sul New York Times che è opportuno citare:
“Un confronto più da vicino tra la marina statunitense e i guardiani della rivoluzione iraniani è indicatore della necessità di meccanismi affidabili finalizzati ad alleviare le tensioni e prevenire scontri non voluti all’interno di una regione così instabile.
Dovremmo imparare dall’accordo sugli incidenti in mare, stipulato durante la guerra fredda tra le due superpotenze [questo trattato era stato stipulato nel 1972 col fine di prevenire incidenti marittimi e nello spazio aereo tra navi ed aerei statunitensi e sovietici, ndt]. Un simile accordo tra Stati Uniti ed Iran sarebbe necessario, in merito alle manovre militari; assistenza in caso di disastro e gestione dei soccorsi marittimi oltre che linee di comunicazione preferenziali oltre alle attuali interazioni tra le due forze navali.
Alla luce dei loro interessi condivisi in Iraq ed Afghanistan contro il terrorismo Wahabita, USA ed Iran dovrebbero costruire una strategia di accordi comuni e lavorare su aspetti relativi alla sicurezza oltre che a quella irakena.
Purtroppo, la demonizzazione dell’Iran da parte della Casa Bianca a causa della preponderante influenza della Repubblica Islamica nella regione è la ricetta perfetta per arrivare allo scontro”. [1]
Questa lettera e un più lungo rapporto in merito alla condotta politica sono stati redatti dall’autore presente e inviati ai rispettivi policymakers di Iran e Stati Uniti, una volta avuta la loro attenzione ero stato in seguito informato che il presidente Mahmoud Ahmadinejad non avrebbe alcuna obiezione relativa a tale accordo dal momento che non sarebbe “qualcosa di impreciso, ma ben collocato nel tempo”.
Ciò alla luce dell’ostilità iraniana in merito alla presenza statunitense nel Golfo Persico e guardando anche alla pubblica presa di posizione di un ritiro di tutte le forze straniere dalla regione.
Recentemente con le perforazioni sul fondale marino portate avanti dagli USA e dagli alleati occidentali vicino alle coste iraniane, la pazienza per la presenza di truppe straniere sta diminuendo e Tehran sta prendendo in seria considerazione di siglare con gli USA un accordo per gli incidenti marittimi per evitare una guerra accidentale nel Golfo Persico.
Secondo le previsioni, però, l’opportunità di aprire una finestra di dialogo tra USA ed Iran è molto ridotta, principalmente a causa delle sanzioni che stanno colpendo gli iraniani e che potrebbero presto dare una spinta verso una reazione di “hard power” da parte iraniana all’interno della regione, per punire chi sta facendo patire indiscriminatamente governo e cittadini sotto la bandiera dell’ “anti proliferazione nucleare”. In sostanza ciò sta a significare che nonostante tutti i “punti in comune” tra USA ed Iran, il distacco tra le due nazioni si potrebbe anche ampliare nei mesi a venire se l’occidente continua nella sua imposizione di sanzioni economiche contro l’Iran.
Una lezione per i movimenti pacifisti
Mi sembra appropriato dedicare una conclusione ai pacifisti che in questi giorni sfilano con cartelli con sopra la scritta: “No alla guerra contro l’Iran”: sarebbe ora di aggiornare i cartelli con la scritta “Basta alla guerra contro l’Iran”. Infatti, l’insieme delle sanzioni, la guerra cibernetica, l’assassinio degli scienziati iraniani, la cancellazione dalle liste di un gruppo terrorista che vuole un rovesciamento violento della Repubblica Islamica, e così via, riflettono un atteggiamento di guerra contro l’Iran anche se non sono state ancora sganciate bombe sul paese. I movimenti pacifisti hanno bisogno un aggiornamento sulle modalità della guerra moderna e di conseguenza rivedere i propri slogan. Questo è sicuro.
Kaveh L. Afrasiabi Doctor of Philosophy, è autore di “After Khomeini: New Directions in Iran’s Foreign Policy” (Westview Press). È autore di “Reading In Iran Foreign Policy After September 11” (BookSurge Publishing , October 23, 2008) e di “Looking for rights at Harvard”. Il suo ultimo libro si intitola “UN Management Reform: Selected Articles and Interviews on United Nations” , CreateSpace (November 12, 2011).
Note:
[1] Incident at Sea, New York Times, January 11, ‘2008.
FONTE: http://www.atimes.com/atimes/Middle_East/NJ05Ak02.html
(Traduzione di Marco Nocera)
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