La costituenda area di libero scambio tra Europa ed USA nel contesto del trattato TTIP (“Transatlantic Trade and Investment Partnership”) viene presentata dai suoi sostenitori come un trionfo della globalizzazione. Potrebbe invece aumentare la distanza tra Europa, Vicino Oriente, spazio russo e forse anche Asia orientale, rafforzando la tendenza mondiale alla “regionalizzazione” ed alla multipolarità.
TTIP e UE
L’egemonia americana nel progettato mercato comune integrato USA-UE, determinata dalla maggiore dimensione, efficacia ed efficienza dei mercati dei capitali e delle imprese americane, dalla leadership tecnologica e dalla maggiore accumulazione che contribuisce a determinarla, peserà su una UE divisa al proprio interno. Nel mercato comune gli USA non dovranno infatti competere con un’Europa unita, bensì con un pulviscolo di stati medi e piccoli, con mercati dei capitali più ristretti e meno efficienti, con imprese di dimensioni inferiori, con tecnologie meno innovative. La potenza tedesca verrà ad essere “diluita” in un mercato più grande e nel quale non sarà più il peso massimo. Il peso economico americano sarà, ancor più, peso politico: a subire il processo di “diluizione” potrebbero dunque trovarsi ad essere le medesime istituzioni europee che si presenteranno all’appuntamento dell’ingresso nel TTIP delegittimate, deboli, in crisi di autorevolezza e consenso popolare nonché vittime delle divisioni tra stati membri. Non esiste una borsa europea, non esistono “multinazionali europee” a meno che non si escluda qualche operatore del settore difesa/aerospazio. Esistono però i mercati finanziari americani di New York e di Chicago, e multinazionali americane supportate da un governo americano.
Nella famosa favola del leone, l’asino e la volpe, Esopo anticipa i rischi del negoziato tra USA e UE, tra soggetto forte e soggetto debole. Tra i settori merceologici dell’economia europea più preoccupati dall’accordo troviamo quelli dei macchinari, dei prodotti chimici, dei prodotti minerari e dei carburanti fino al settore tessile (1).
TTIP E AD AREE CONTIGUE ALL’UE
L’impatto della creazione di un mercato comune USA-UE avrebbe ripercussioni economiche anche sulle aree geoeconomiche esterne, impatto potenzialmente negativo per la non inclusione in tale enorme area di libero scambio (2). Dov’è che la geoeconomia diviene geopolitica degli immediati interessi di sicurezza dell’Europa? Nell’area “MENA” (Middle East and North Africa) e nell’area eurasiatica (l’Unione Eurasiatica costituita da Russia, Bielorussia, Armenia, Kazakistan e Kirgizistan e in futuro anche dal Tagikistan) nonché dal grande ponte tra le due aree suddette e l’Europa medesima, ossia la Turchia (i rapporti tra area TTIP e Cina meritano un’analisi diversa e a parte). L’Europa sconta già oggi l’assenza di una politica mediterranea organica – anche a causa dell’opposizione della Germania al progetto francese di dialogo euromediterraneo e dal disinteresse dei paesi non rivieraschi. I paesi membri dell’UE procedono quindi in ordine sparso seguendo i propri disegni postcoloniali e dialogando separatamente con i singoli paesi nordafricani. Quanto al regno di Angela Merkel, l’unico paese del Mare Nostrum cui volge l’interesse tedesco è storicamente la Turchia, rientrata di recente nel balletto dell’adesione all’UE a causa della propria abilità nello sfruttare il dramma (ed il “rubinetto”) dei profughi siriani diretti in Europa – profughi che tra l’altro ha contribuito a generare fomentando il massacro nel Levante. La Turchia neoislamica e neottomana è strategicamente fuori dall’Europa. Il presidente turco Erdogan utilizza l’UE per acquisire legittimità interna – nella misura in cui il suo amplissimo consenso (che non deve più misurarsi con l’approvazione degli esautorati vertici militari) ne abbia bisogno; la Turchia di Erdogan è però religiosamente e strategicamente un paese medio-orientale e panturchista, per quanto possano a seconda delle stagioni manifestarsi sprazzi di tattica attenzione verso l’UE. La Turchia di Erdogan non si vede europea. Essa guarda alla turcofonia (azera, turkmena ed anche uigura) e alla Ummah sunnita. Un contraccolpo negativo nei commerci e nei rapporti economici con la Turchia non farebbe che sancire, dunque, le tendenze “amediterranee” dell’Europa e l’allontanamento tra Vecchio Continente e Sublime Porta. L’Oceano Atlantico diventerebbe un lago (secondo l’arguta definizione del Prof. Di Nolfo) ma il Mediterraneo si muterebbe in Oceano. Oceano solcato da masse di profughi ingestibili e non gestite, ma pur sempre oceano. Di questa “Europa senza Mediterraneo” ci sarebbe poco da gioire: un’Europa americana risentirebbe dell’americano sempre maggiore disinteresse per il Medio Oriente. Non subiamo già oggi passivamente l’arrivo dei profughi? Non siamo già oggi noi europei privi di una soluzione per la Siria e in preda a timidi balbettii sulla Libia? I contraccolpi nelle relazioni con l’Eurasia condurrebbero similmente ad un diradarsi dei rapporti con quella parte del mondo. Il gas rimarrebbe il baricentro della relazione tra UE ed Unione Eurasiatica – anche alla luce del rinnovato investimento tedesco nel gasdotto North Stream.
Le sanzioni antirusse – delle quali non intravediamo la fine e delle quali emerge sempre più l’ipocrita distacco dall’effettiva soluzione delle traversie ucraine – contribuiscono ad allentare sempre più ogni altro rapporto economico tra le due aree (3). Non si tratta di rottura definitiva – e non potrebbe esserlo, data l’attuale maggiore economicità e maggior disponibilità del gas russo rispetto a quello da fonti non convenzionali – e nemmeno sembrano destinati a spegnersi i rapporti con altri paesi dell’area ex-sovietica (come la Georgia o i paesi dell’Asia Centrale (4)). E’ difficile da affermare quanto concreto sia però il respiro strategico di queste relazioni: nuovi ingressi nell’UE? “Amicizie di lungo termine”? Semplice desiderio di penetrazione economica e di soft power? E più o meno in concorrenza con la Russia? Di sicuro non vediamo all’orizzonte alcuna relazione speciale o desiderio di rinsaldare legami economici e strategici con l’Unione Eurasiatica e la Federazione stessa o di creare maggiore integrazione economica – e meno che mai politica – con questi due soggetti. La Russia è consegnata oramai ad un destino sempre più “asiatico”, di leale cooperazione/competizione col colosso cinese e con la nuova potenza iraniana nonché di interazione con l’India. Anche di questo non c’è da gioire: il mercato eurasiatico potrebbe costituire, qualora integrato con quello europeo da un accordo per la libera circolazione di persone e merci, il naturale sbocco delle economie europee. La concorrenza russa su moltissimi settori – dall’agroalimentare alla moda all’automobilistico – è debole se non inesistente mentre l’Eurasia sarebbe un fornitore di materie prime immenso e contiguo alle industrie europee. Risorse naturali e materiali rari, prodotti agricoli, tecnologia, industria e mercati di sbocco: un utopistico accordo di “Trans – Eurasian Partnership” costituirebbe un solido sistema praticamente autosufficiente. Nessuno ha avuto non solo la capacità, ma nemmeno il desiderio di immaginare, dopo De Gaulle, la Grande Europa da Lisbona a Vladivostok: anche se questo significa consegnare la Russia all’Asia, e noi stessi all’America.
E L’ITALIA?
In un simile contesto quali sarebbero le conseguenze economiche, politiche e strategiche per l’Italia? Il nostro paese soffre già l’assenza di una politica mediterranea. L’idea di “Italia Mediterranea” dell’Europa tedesca è tristemente quella di un’immensa Lampedusa, con tutto il rispetto per l’eroica isola siciliana un enorme campo profughi. Del resto l’idea tedesca di Italia tout-court è quella di paese sottomesso e deindustrializzato, ultimo concorrente europeo nel manifatturiero di alto livello da eliminare ad ogni costo. Quanto alla Francia e all’Inghilterra, è per loro sufficiente l’averci quasi espulsi dalla Libia: non perderanno occasione di competere slealmente contro l’Italia nei rapporti coi paesi nordafricani. Le sanzioni antirusse ci danneggiano immensamente: il nostro governo le accetta. Storia d’Italia è essere paese euromediterraneo per eccellenza. Siamo un ponte tra continenti e mondi e quando una delle sponde del ponte viene annullata, il ponte crolla. C’è da dire che, se l’Europa tedesca ci danneggia, il diluirsi dello strapotere tedesco in quello americano potrebbe compensare con le nostre già importanti esportazioni verso gli USA le perdite nelle relazioni l’Eurasia – e sarebbero fatte salve a livello extraeuropeo le ottime relazioni con l’Egitto (sino alla prossima “primavera” ispirata dal Qatar tramite Al Jazeera e finanziata dai petrodollari del Golfo?). Diverremmo però colonia americana ancor più di quanto già non lo siamo, perderemmo la sudditanza all’asfissiante burocrazia eurotedesca per trovarne una negli acquisti d’oltreoceano – mentre la concorrenza dei prodotti USA potrebbe colpire dei nostri settori forti. Lo scenario non è esente da rischi, e promette tutto meno che una maggiore autonomia geopolitica e strategica della nostra Italia.
CONCLUSIONI
Nessuno può dire quanto a lungo durerà l’attuale scenario geoeconomico di inizio 2016 – caratterizzato da rallentamento della Cina, rientro dei capitali globali dai paesi emergenti verso gli USA, crescita esponenziale dell’offerta di petrolio e contrazione della domanda di idrocarburi con conseguente calo dei prezzi degli stessi. L’estrema volatilità dei mercati ci ha quasi abituati alla loro imprevedibilità, per quanto le debolezze strutturali degli emergenti e dei loro mercati interni fossero state previste anni addietro. Di certo c’è che l’attuale congiuntura economica mondiale non fa che incentivare non tanto un annullamento della globalizzazione quanto un processo di regionalizzazione del mondo che l’istituzione del TTIP potrebbe sancire come qui sosteniamo, creando una “NATO economica” sovrapposta a quella politica e militare per quanto il TTIP medesimo venga proposto al contrario come il trionfo delle meravigliose sorti e progressive della globalizzazione. Che il destino a medio termine del mondo sia la multipolarità oggi non possono che confermarlo anche centri studi bancari come quello di Crédit Suisse (5) o politologi di area liberalprogressista come Koert Debeuf (6), rispettivamente sulla base di dati macroeoconomici o di analisi sociopolitiche. Che la narrazione della “fine della storia” propagandata dagli ambienti liberaldemocratici fosse proditoriamente falsa lo avevano però compreso in primis gli ambienti culturali “di nicchia” – destre identitarie e tradizionali, sinistre anticapitaliste e radicali ma anche i cultori di quel metodo – la geopolitica – considerato alla stregua di una cenerentola dal pensiero liberale. In un mondo multipolare basato sul TTIP l’Europa – e in essa l’Italia – non costituirebbero però un polo (come sarebbe invece nel caso di un’integrazione con Eurasia e Mediterraneo, dove saremmo più forti e potremmo proporci come leader) ma solo la periferia dell’impero americano. La civiltà europea si avvia definitivamente alla scomparsa culturale, demografica, geopolitica.
NOTE
1) Alcaro, Renda, “Il partenariato transatlantico su commercio ed investimenti: presupposti e prospettive” in Osservatorio di Politica Internazionale, IAI, n. 83 Dic. 2013 (citato anche in Di Nolfo, “Il mondo atlantico e la globalizzazione”, Mondadori, 2014.)
2) “Gran parte dei paesi in via di sviluppo ma anche paesi come il Canada, il Messico, il Cile, il Giappone, l’Australia e la Norvegia potrebbero subire un notevole contraccolpo dalla conclusione di un vero, profondo accordo commerciale teso alla liberalizzazione di un gran numero di mercati tra UE ed USA.” (Alcaro, Renda, “Il partenariato transatlantico su commercio ed investimenti: presupposti e prospettive” in Osservatorio di Politica Internazionale, IAI, n. 83 Dic. 2013.)
3) Per una visione d’insieme autorevole ma aggiornata, sintetica e rapida http://www.ilcaffegeopolitico.org/36954/sanzioni-alla-russia-chi-paga-veramente
4) Approfondimento sui recenti sviluppi nei rapporti con l’Asia Centrale http://www.eastjournal.net/archives/68846
5) Si veda sul sito internet https://www.credit-suisse.com/it/en/about-us/media/news/articles/media-releases/2015/09/en/credit-suisse-is-globalization-coming-to-an-end.html; un sunto in pdf è scaricabile qui https://www.credit-suisse.com/media/mediarelease-assets/pdf/2015/09/globalization-global-press-release-en.pdf . La tesi del report declinata in grafici ed indici è che la globalizzazione stia rallentando e che si stia abbinandosi ad una regionalizzazione del mondo
6) https://medium.com/@koertdebeuf/tribalization-d6446b5301ed#.s75pdnnyc affine la tesi del politologo Debeuf, con un taglio però più socioculturale che non economico.
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