Con il trionfo di Dilma Rousseff s’impedisce la possibilità di rottura di un processo d’integrazione indipendente e autonomo che capeggia la locomotiva economica dell’America del Sud – il Brasile-, che non è solo economica, ma anche politica come ben lo indica il professor Luiz Moniz Bandeira, uno che conta a Itamaratí, quando afferma: “Lei continuerà a cercare di promuovere l’unione dell’America meridionale non solo come un blocco economico, il cui epicentro lo costituisce il MERCOSUR, ma anche come uno spazio geopolitico, capace di raggiungere un inserimento più proficuo a livello internazionale, concorrendo con altre masse geografiche, demografiche ed economiche, tali come la Cina, gli Stati Uniti, la Russia e l’India”. Per tale motivo è importante rileggere le dichiarazioni del cancelliere brasiliano, Celso Amorim, che segna una strategia geopolitica per il continente di fronte al nuovo mondo in formazione, vi invito ad ascoltare l’analisi che abbiamo eseguito lo scorso sabato nel programma “Il Club della Penna”, sul processo elettorale di domenica 31 ottobre in Brasile, con il Dr. Marcello Gullo e il sottoscritto”. – (http://www.hotshare.net/es/audio/324798-5015318c9e.html)
Carlos Pereyra Mele
Una nuova carta del mondo
Celso Amorim*
Ottobre 2010
Sette anni fa, quando si parlava della necessità di cambi nella geografia economica mondiale o si diceva che il Brasile e gli altri paesi avrebbero dovuto svolgere un ruolo più rilevante nell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) o integrarsi in modo permanente nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU, molti reagivano con scetticismo.
Da allora, il mondo e, con esso, il Brasile, è cambiato a una velocità accelerata, e alcune presunte “verità” del passato si stanno arrendendo davanti all’evidenza dei fatti. Le differenze nel ritmo della loro crescita economica riguardo ai paesi sviluppati hanno trasformato i paesi in via di sviluppo in attori centrali dell’economia mondiale.
La maggiore capacità di articolazione Sud-Sud – nell’OMC, nel FMI, nell’ONU e nelle nuove alleanze, come il BRIC, – eleva la voce di paesi che prima si trovavano relegati in una posizione di secondo ordine. Quanto più dialogano e cooperano tra di loro i paesi in sviluppo, sono sempre più ascoltati dai ricchi. La recente crisi finanziaria ha reso manifesto in forma ancora più evidente il fatto che il mondo non può essere più governato da un consorzio di pochi.
Il Brasile ha tentato di osare svolgere il suo ruolo in questo nuovo scenario. Dopo sette anni e mezzo di governo del presidente Lula, la percezione che si ha del paese all’estero è un’altra. È innegabile il peso sempre maggiore che il Brasile, così come un gruppo di nuovi paesi, abbia oggi per quanto concerne il dibattito dei principali temi dell’agenda internazionale, dal cambio climatico al commercio, dalle finanze alla pace e alla sicurezza. Questi paesi contribuiscono con il dare un nuovo modo di osservare i problemi del mondo e concorrono a un nuovo equilibrio internazionale.
Nel caso del Brasile, quel cambiamento di percezione è stato dovuto, in primo luogo, alla trasformazione della realtà economica, sociale e politica del paese. Avanzamenti nelle voci più variegate, dall’equilibrio macroeconomico fino al riscatto del debito sociale, hanno fatto del Brasile un paese più stabile e meno ingiusto. Le qualità personali e il compromesso diretto del presidente Lula su argomenti internazionali hanno concorso per portare avanti il contributo brasiliano verso i principali dibattiti internazionali.
Il Brasile sta sviluppando una politica estera inclusiva e proattiva. Ci sforziamo per costruire coalizioni che vadano oltre le alleanze e i rapporti tradizionali, che cerchiamo, tuttavia, di mantenere e approfondire, come la formalizzazione della Relazione Strategica con l’Unione Europea e del Dialogo Globale con gli Stati Uniti.
L’eloquente crescita delle nostre esportazioni verso i paesi in vie di sviluppo e la creazione di meccanismi di dialogo e concertazione, come l’UNASUR, il G-20 nell’OMC, il Forum IBAS (India, Brasile e Africa del Sud) e il gruppo BRIC (Brasile, Russia, India e Cina) hanno rispecchiato quella politica estera universalista e libera da piccole visioni di ciò che può e deve essere il comportamento di un paese con le caratteristiche del Brasile.
La base di quella nuova politica è stato l’approfondimento dell’integrazione sudamericana. Uno dei principali punti attivi di cui dispone il Brasile sullo scenario internazionale è quello dell’armoniosa convivenza con i suoi vicini, cominciando dall’intensa relazione che abbiamo con l’Argentina. Il governo del presidente Lula si è impegnato, sin dal primo giorno, d’integrare il continente sudamericano mediante il commercio, l’infrastruttura e il dialogo politico.
L’accordo MERCOSUR – Comunità Andina ha dato origine, nella pratica, una zona di libero commercio che abbraccia tutta l’America meridionale. L’integrazione fisica del continente ha avnzato notevolmente, compreso il collegamento tra l’Atlantico e il Pacifico. I nostri sforzi per la creazione di una comunità sudamericana hanno dato luogo alla creazione di una nuova entità: l’Unione delle Nazioni Sudamericane (UNASUR).
Sulle basi di un’America del Sud più integrata, il Brasile ha contribuito nella creazione di meccanismi di dialogo e di cooperazione con i paesi delle altre regioni, fondati sulla percezione che la realtà internazionale non permette più la marginalizzazione del mondo in via di sviluppo. La formazione del G-20 dell’OMC, nella Riunione Ministeriale di Cancun del 2003, ha segnato la maturità dei paesi del Sud, cambiando definitivamente il modello della presa di decisioni nei negoziati commerciali.
L’IBAS ha risposto agli aneliti di concertazione fra tre grandi democrazie multietniche e multiculturali che hanno molto da dire al mondo per quanto concerne l’affermazione della tolleranza e della conciliazione tra sviluppo e democrazia. Oltre alla concertazione politica e la cooperazione tra i tre paesi, l’IBAS è diventato un modello per i progetti favorevoli alle nazioni più povere, dimostrando, nella pratica, che la solidarietà non è una caratteristica esclusiva dei paesi ricchi.
Abbiamo lanciato anche i summit dei paesi sudamericani insieme ai paesi africani (ASA) e ai paesi arabi (ASPA). Abbiamo costruito ponti e politiche tra regioni fino adesso distanti le une dalle altre, nonostante le loro specifiche caratteristiche naturali. Questo avvicinamento politico ha sfociato in notevoli progressi nell’area dei rapporti economici. Il commercio del Brasile con i paesi arabi si è quadruplicato in sette anni. Con l’Africa si è moltiplicato per cinque ed è arrivato a più di 26.000 milioni di dollari, cifra superiore a quella dello scambio con i soci tradizionali come la Germania e il Giappone.
Questi nuovi accordi aiutano a cambiare il mondo. Sul versante economico, la sostituzione del G-7 con il G-20 come principale richiesta di deliberazione sui percorsi della produzione e delle finanze internazionali, è un riconoscimento delle decisioni concernenti l’economia mondiale, prive di legittimazione ed efficacia senza l’intervento dei paesi emergenti.
Anche sul versante della sicurezza internazionale, quando il Brasile e la Turchia convinsero l’Iran affinché assumesse i compromessi previsti nella Dichiarazione di Teheran, si dimostrò che nuove visioni e forme di agire sono necessarie per lottare con temi fino allora trattati in forma esclusiva dagli attuali membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Nonostante le resistenze che si sono verificate in un primo momento nei confronti di un’iniziativa che è nata fuori dallo stretto club delle potenze nucleari, siamo sicuri che il cammino del dialogo lì indicato servirà di base per i futuri negoziati e per un’eventuale soluzione della questione.
Una buona politica estera richiede prudenza. Ma esige anche coraggio. Non si può svolgere nella timidezza o nel complesso d’inferiorità. Spesso si sente dire che i paesi devono agire d’accordo ai loro mezzi, il che rappresenta quasi una ovvietà. Ma il maggiore errore è di sottostimarli.
Lungo questi quasi otto anni il Brasile ha agito con coraggio e, al pari di altri paesi in sviluppo, ha cambiato il suo posto nel mondo. Quei paesi sono visti oggi, persino dagli eventuali critici, come attori che gli spettano sempre maggiori responsabilità e un ruolo sempre più importante nelle decisioni che interessano i destini del pianeta.
*Celso Amorim è ministro dei Rapporti Esteri del Brasile.
(Traduzione di V. Paglione)
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