Quando visitiamo un Paese o studiamo un periodo storico è sempre bene ricordarsi che noi possiamo o riusciamo a vedere solo quello che i nostri occhi sono in grado di vedere.

Alessandro Vanoli, autore di Andar per l’Italia araba (Il Mulino, Bologna 2014), ciò lo mette in chiaro fin dalle prime battute di questo suo agile e stimolante volumetto, che in 140 pagine, lungi dal pretendere di esaurire l’argomento della presenza araba e islamica in Italia, stimola il lettore ad approfondire una traccia sotterranea della nostra identità.

Che cosa intende esprimere il Vanoli con quell’opportuna avvertenza che riaffiora qua e là nel testo? Che non è affatto scontato che gli uomini che hanno vissuto nella Penisola nei secoli passati abbiano saputo “vedere” quello che per noi, oggi, può risultare di una certa evidenza.
Perché l’interesse per questo o quel “momento” della nostra storia, per esaltarlo o denigrarlo, deriva essenzialmente dal “clima” di un’epoca.

Durante il Fascismo, per esempio, venne incoraggiata al massimo grado la riscoperta delle vestigia romane (e non solo). Poi, col crollo del regime, vi fu un certo ripensamento al riguardo dell’unilateralità di quella prospettiva (per giungere, purtroppo, anche ad eccessi di segno opposto). Insomma, gli uomini di ogni epoca risentono delle idee che circolano, le quali ‘aprono’ loro gli occhi in una direzione o un’altra.

E così, attraverso rapidi e sintetici ‘affreschi regionali’ – dalla Sicilia alla Puglia, dalla Campania alla Toscana, dal Veneto al Piemonte – l’esperto medievista già autore de La Reconquista (2009) e La Sicilia musulmana (2012) ci conduce lungo le tappe a suo parere più significative, storiche ed artistiche, di quella che potremmo definire “l’Italia arabo-islamica”.

Che altri, producendo volumi davvero pregevoli per quantità e qualità d’informazione, hanno indagato con maggior dovizia di particolari(1).
Ma questo libro, come scrivevamo, è un invito. Un invito a scoprire – o riscoprire – quel passato.

Che convive in noi, anche se spesso non lo vogliamo ammettere o riconoscere, succubi come siamo di una propaganda che vorrebbe tracciare una linea di demarcazione netta tra “noi” e “loro”.
Invece le cose sono fortunatamente un attimo più complesse. E di questa complessità della storia (un elemento sul quale Romolo Gobbi ha invitato a riflettere) Vanoli dà perfettamente conto ricordandoci, per esempio, che mentre “il turco” metteva una gran paura c’era chi, senza tanti sotterfugi, ci faceva lauti guadagni, in nome di quel commercio che, assieme alla cultura, non ha mai sopportato troppe barriere.

I limiti e le differenze tuttavia esistono, essendo probabilmente un dono della Provvidenza (il Corano stesso invita a meditare su questo, proponendo l’immagine di una “misericordia” per gli uomini, affinché nel confronto – e, perché no, nello scontro – si migliorino e si avvicinino alla Perfezione). Altrimenti non potremmo neppure parlare di “Italia araba”, bensì, in assenza di qualsiasi “differenza”, di un tutto indistinto dalle sembianze decisamente inquietanti e disperanti.

Per questo, accogliendo con entusiasmo l’invito dell’autore a mettersi in viaggio alla ricerca di questa “altra storia”, vorremmo ricordare a chi ha in orrore le “identità” che più ve ne sono, in una stessa persona o comunità, e meglio è. Mentre la tragedia è quando non ve n’è più alcuna o, variante sul tema, se ne proclama solo e sempre una, in maniera interessata e sclerotica, per bassi fini che non hanno a che vedere in alcun modo con la tanto sbandierata “cultura” e, tanto meno, con la ricerca della Verità.

E allora mettiamoci in cammino, lungo le vestigia e le storie di questa “Italia araba” che Alessandro Vanoli è stato in grado di “vedere”(2).

NOTE
1) Tra i vari titoli che si possono citare da un’oramai corposa bibliografia: F. Gabrieli, U. Scerrato, Gli arabi in Italia. Cultura, contatti e tradizioni, Garzanti/Scheiwiller, Milano 1985 (2a ed.); G. Curatola (a cura di), Eredità dell’Islam. Arte islamica in Italia [Venezia, Palazzo Ducale, 30.10.1993/30.4.1994], Silvana Editoriale, Milano 1993; S. Allievi, Islam italiano. Viaggio nella seconda religione del paese, Einaudi, Torino 2003; L. Scarlini, La paura preferita. Islam: fascino e minaccia nella cultura italiana, Bruno Mondadori, Milano 2005; Venezia e l’Islam. 828-1797 [Venezia, Palazzo Ducale, 28.7./25.11.2007], Marsilio, Venezia 2007; A. Feniello, Sotto il segno del leone. Storia dell’Italia musulmana, Laterza, Roma-Bari 2011.
2) Il libro si conclude significativamente con una tappa a Torino, forse la città d’Italia più “araba” dei nostri giorni. A riprova che “l’Italia araba” non è solo questione di testimonianze architettoniche, d’immaginario ispirato all’“Oriente” e di pagine di storia più o meno significative. A testimonianza di un rapporto ed un interesse duraturi che si dipanano tra fasi alterne, luci ed ombre, possiamo annoverare anche la recente rinnovata diffusione dell’editoria specializzata nell’insegnamento della Lingua araba, dopo le prime pionieristiche e per certi versi insuperate grammatiche d’epoca coloniale.


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Enrico Galoppini scrive su “Eurasia. Rivista di studi geopolitici” dal 2005. È ricercatore del CeSEM – Centro Studi Eurasia-Mediterraneo. Diplomato in lingua araba a Tunisi e ad Amman, ha lavorato in Yemen ed ha insegnato Storia dei Paesi islamici in alcune università italiane (Torino ed Enna); attualmente insegna Lingua Araba a Torino. Ha pubblicato due libri per le Edizioni all’insegna del Veltro (Il Fascismo e l’Islam, Parma 2001 e Islamofobia, Parma 2008), nonché alcune prefazioni e centinaia di articoli su riviste e quotidiani, tra i quali “LiMes”, “Imperi”, “Levante”, “La Porta d'Oriente”, “Kervàn”, “Africana”, “Rinascita”. Si occupa prevalentemente di geopolitica e di Islam, sia dal punto di vista storico che religioso, ma anche di attualità e critica del costume. È ideatore e curatore del sito "Il Discrimine".