Nel periodo interbellico gli studiosi di geopolitica hanno costantemente insistito sulla centralità della Romania. Studiosi romeni e non romeni ritenevano che questo Paese, essendo collocato lungo quella diagonale di navigazione privilegiata che è il corso del Danubio, fosse destinato dalla sua posizione naturale ad agevolare i rapporti fra l’Europa occidentale ed il Vicino Oriente. Considerata da un’altra prospettiva, la Romania era vista come la zona in cui convergono linee di tendenza provenienti dalla Mitteleuropa, dai Balcani e dalla Russia, per cui si pensava che questa posizione centrale la candidasse ad un ruolo di mediazione e di equilibrio.
Con la svolta nazionalcomunista rappresentata nel periodo postbellico da Nicolae Ceausescu, la rivendicazione del ruolo centrale ed attivo della Romania si espresse nell’adozione ufficiale del cosiddetto “protocronismo romeno” e nel rilancio dell’idea della “Grande Romania”. In un tale contesto, la nozione di centralità assunse un significato di equidistanza: pur non mettendo in discussione l’appartenenza al Patto di Varsavia, la politica ceauscista perseguì l’obiettivo di sottrarre il Paese all’egemonia sovietica senza tuttavia farlo ricadere sotto il controllo americano.
Diventata membro di istituzioni economiche e finanziarie internazionali, nel 1975 la Romania ottenne dagli USA la cosiddetta clausola della nazione più favorita, di cui gli americani si servirono nel tentativo di condizionare la condotta del governo di Bucarest. Anche il FMI intervenne a più riprese presso quest’ultimo per fargli accettare tassi d’interessi sempre più alti sui prestiti concessi alla Romania.
Fu così che, per liberare il Paese dalla dipendenza nei confronti della Banca Mondiale, Ceausescu decise di imporre alla popolazione pesanti sacrifici economici. Non solo, ma la Romania prese in considerazione, insieme con la Giamahiria libica e la Repubblica Islamica dell’Iran, “il progetto di un istituto di credito in grado di concedere prestiti a tasso ridottissimo ai paesi in via di sviluppo”.
A questo punto si scatenò la reazione del Dicembre 1989, che la vulgata occidentalista presentò come una rivolta popolare contro la tirannide del “Dracula dei Carpazi”, il quale, secondo i media occidentali, era protetto da pretoriani libici, palestinesi, siriani, iraniani e nordcoreani. Secondo una formula che avrebbe fatto fortuna in seguito, Ceausescu “sterminava il suo popolo”.
Si trattò, in realtà, di un vero e proprio colpo di Stato guidato dall’esterno. A ordire la trama furono personaggi di cui l’autore del libro traccia sinteticamente le biografie, facendo emergere una rete di contatti, di solidarietà e di complicità che coinvolgeva ambienti statunitensi e sionisti.
Quanto all’URSS, il sostegno che essa fornì ai golpisti di Bucarest era dovuto alla volontà di Gorbaciov di togliere di mezzo un regime nazionalcomunista che non solo rifiutava di adeguarsi alla perestrojka, ma addirittura rivendicava alla Romania i territori della Bucovina del nord e della Bessarabia. Ma Gorbaciov lavorò, se non per il re di Prussia, per il campo atlantista. Fu infatti, per usare le parole conclusive dell’autore, “una clamorosa autorete, poiché la Romania si aprì immediatamente all’influenza occidentale, diventando ben presto una base operativa della NATO e un tassello del cordone sanitario creato dagli USA alle frontiere della Russia”.
Alla ricostruzione degli eventi fatta da Claudio Mutti segue nello volume lo stenogramma completo della farsa processuale alla quale vennero sottoposti i coniugi Ceausescu prima della loro fucilazione.
Al libro è allegato un cd con la registrazione visiva del “processo”.
Claudio Mutti, Colpo di Stato a Bucarest. Dal golpe alla fucilazione: gli accordi di Malta e la fine di Ceausescu, Effepi, Genova 2018 (Per acquisti: insegnadelveltro@edizioni.it)
Questo articolo è coperto da ©Copyright, per cui ne è vietata la riproduzione parziale o integrale. Per maggiori informazioni sull'informativa in relazione al diritto d'autore del sito visita Questa pagina.