Il progetto che dovrebbe rifornire il Pakistan di gas naturale iraniano è ufficialmente sospeso. Secondo quanto riferito all’IRIB (Islamic Republic of Iran Broadcasting) dal direttore generale della Iran Gas Engineering and Development Company’s Ali Reza Ghabini, la costruzione della pipeline è temporaneamente interrotta. L’Iran, avendo la seconda riserva di combustibili fossili al mondo, ha un enorme potenziale per rifornire di risorse energetiche i paesi vicini, economicamente emergenti e importatori di gas naturale, come Pakistan, India e Cina mediante gasdotti, nonché mercati più lontani attraverso la produzione di Gas Naturale Liquefatto (GNL). Fin dalla scoperta nel 1988 delle riserve di gas naturale presenti nel giacimento iraniano South Pars, il governo di Teheran promosse l’esportazione di grandi quantità di gas verso l’estero. Le prospettive di alti guadagni erano considerate elevate di fronte alla possibile vendita di gas a paesi come il Pakistan e l’India, dove la domanda di energia era, e lo è tutt’ora, sempre più in crescita. Nel 1995 Islamabad e Teheran siglarono un accordo preliminare per la costruzione di un gasdotto che avrebbe collegato le riserve iraniane di gas naturale di South Pars alla città di Karachi, la più importante città industriale pakistana bagnata dal Mar Arabico. Le autorità iraniane, considerando il Pakistan non solo beneficiario delle risorse, ma anche ipotizzabile territorio di transito, proposero l’estensione della pipeline fino all’India. Nel 1999 venne siglata a questo proposito un’intesa preliminare tra il governo indiano e Teheran; da quel momento in poi si cominciò a parlare del progetto volto alla costruzione del gasdotto IPI (Iran, Pakistan, India), denominato anche “gasdotto della pace”, nell’ottica di una possibile distensione dei rapporti tra Delhi e Islamabad, grazie alla condivisione del gas iraniano. Il progetto ha avuto una decisa accelerata nel corso del 2010, con la firma ad Ankara tra le autorità iraniane e pakistane di un accordo definitivo per la realizzazione della pipeline, senza però la presenza indiana. In queste settimane il programma sembra aver trovato nuovi intoppi. Le cause principali del recente stop sono molteplici. Una prima questione, secondo la prospettiva iraniana, è essenzialmente legata all’insicurezza dei territori pakistani in cui dovrebbe passare il gasdotto. Un ulteriore motivo di rallentamento al progetto è dovuto, sempre secondo Teheran, all’incapacità pakistana nel finanziamento e nell’effettiva messa in opera del programma di costruzione del gasdotto, a causa della precaria situazione economica del Pakistan e delle recenti alluvioni che hanno colpito varie regioni del paese. Infine, le implicazioni geopolitiche e geostrategiche dell’Asia Centrale e Meridionale rappresentano un importante freno alla definitiva messa in pratica del piano energetico iraniano e pakistano. Sono in gioco, in particolare, gli interessi americani, cinesi e russi al progetto e l’atteggiamento ondivago dell’India è in gran parte causato dalle pressioni statunitensi affinché Delhi viri su altri programmi di pipeline, visti i benefici che ne deriverebbero per Teheran nel caso dell’effettiva realizzazione dell’IPI. Il gasdotto che collegherebbe Iran, Pakistan e India, avrebbe senza dubbio delle rilevanti conseguenze geopolitiche. I paesi interessati alla realizzazione o meno della pipeline sono diversi e la loro politica a riguardo della questione energetica rappresentata dalla costruzione dell’IPI è foriera di possibili vantaggi o svantaggi a seconda delle diverse prospettive.
Gli interessi in gioco. Iran e Stati Uniti.
Il ritardo nella realizzazione della pipeline e l’attuale fase di stallo del progetto sono legati ai singoli rapporti bilaterali e trilaterali tra gli Stati coinvolti nell’effettiva costruzione del gasdotto.
Uno dei fattori più importanti della vicenda riguarda gli interessi degli Stati Uniti. In seguito al crollo dell’Unione Sovietica la politica estera americana è sempre stata caratterizzata dall’intenzione di controllare direttamente i flussi delle risorse strategiche presenti in Asia Centrale e Meridionale. L’attenzione posta ai giacimenti di petrolio e gas situati in Azerbaigian, Georgia e Turchia, nelle repubbliche ex-sovietiche dell’Asia Centrale e l’instaurazione di regimi alleati in Afghanistan e Iraq sono mezzi attraverso i quali gli Stati Uniti hanno tentato di controllare le principali fonti di energia a livello mondiale, nonché le aree a cui Cina e India guardano con crescente interesse per sostenere la propria ascesa economica. In questo quadro l’Iran rappresenta per gli interessi statunitensi nella regione un serio ostacolo. Teheran domina l’area attorno al Golfo Persico e la possibile realizzazione del progetto IPI ostacolerebbe l’intenzione americana di isolare il paese iraniano a livello internazionale. Gli Stati Uniti sono fortemente contrari a qualsiasi tipo di progetto energetico che includa la diretta partecipazione dell’Iran e osservano con preoccupazione la potenziale dipendenza energetica a cui sarebbero sottoposti il Pakistan e l’India. Gli Stati Uniti stanno da anni pressando i due Stati affinché non accettino la realizzazione dell’IPI. Washington sponsorizza, infatti, l’attuazione di un altro gasdotto, ovviamente escludendo la diretta partecipazione dell’Iran. L’intenzione americana è quella di favorire il TAPI (Turkmenistan, Afghanistan, Pakistan e India), ovvero la pipeline che trasporterebbe il gas naturale dall’ex repubblica sovietica del Turkmenistan direttamente a Delhi, passando per il territorio afghano e pakistano. Un eventuale successo americano e della Nato in Afghanistan e la sua reale stabilizzazione garantirebbero, infatti, la realizzazione dei progetti americani concernenti i propri interessi energetici e geostrategici, mantenendo la propria influenza nell’area a discapito dell’Iran, ma anche della Russia e della Cina. Kabul entrerebbe a far parte di un corridoio sicuro per i flussi energetici, il quale partirebbe dalla regione del Caspio, toccherebbe l’Asia centrale fino ad arrivare in Pakistan e in India.
La considerazione dell’IPI di India e Pakistan. Il ruolo della Cina.
Per quanto riguarda Delhi, sembra che l’accordo con gli Stati Uniti sul nucleare civile del 2008 e gli attentati di Mumbai nel novembre dello stesso anno, abbiano comportato, seppur non ancora definitivamente, la sospensione della partecipazione indiana al progetto. L’India non ha ancora ufficialmente dichiarato di voler abbondonare il piano di costruzione dell’IPI. Negli ultimi mesi ha rafforzato i rapporti diplomatici ed energetici con l’Iran, vedi ad esempio il finanziamento indiano del porto iraniano di Chabahar, importante nodo energetico, nonché strategicamente ed economicamente rilevante per le esportazioni indiane in Asia Centrale, aggirando il Pakistan. I dubbi dell’India a riguardo dell’IPI sono comunque molteplici. Innanzitutto India e Iran non sono concordi sul prezzo del gas. Delhi ha sempre sostenuto che Teheran venderebbe una tipologia di gas che avrebbe un prezzo non consono alle sue qualità. Un’ulteriore preoccupazione indiana, visione condivisa dall’Iran, concerne il Pakistan e le province di passaggio del gasdotto. La pipeline dovrebbe, infatti, attraversare il Belucistan, una delle aree più povere del paese, nonché una zona altamente instabile e contraddistinta fin dalla nascita del Pakistan da spinte nazionaliste e indipendentiste. Il carattere insurrezionale della regione coinvolge da anni anche l’Iran, il quale ha dovuto fronteggiare le spinte indipendentiste dei nazionalisti beluci nelle province iraniane del Sistan e del Belucistan iraniano, confinanti con il Pakistan. Nell’area è presente Jundallah, l’organizzazione terroristica sunnita operante nei territori che comprendono le aree beluche del Pakistan e dell’Iran, nonché le provincie meridionali dell’Afghanistan. Il timore dei paesi coinvolti nell’IPI è che i terroristi beluci compiano atti terroristici contro il gasdotto in qualche parte del percorso. L’atteggiamento dubitativo di Delhi a proposito della pipeline è, inoltre, contraddistinto da due ulteriori preoccupazioni riguardanti il Pakistan. Queste sono rappresentate dalla tassa di transito che Islamabad ha dichiarato di voler imporre e la possibile interruzione dei rifornimenti di gas che potrebbero essere decisi dal vicino pakistano. Come accaduto durante la disputa sul gas russo tra Mosca e Kiev, Delhi temerebbe, nel caso in cui si ripresentasse una nuova tensione diplomatica con il Pakistan o una recrudescenza del conflitto in Kashmir, la sospensione dei rifornimenti energetici da parte di Islamabad. E’ da sottolineare, inoltre, che anche la costruzione del TAPI, sponsorizzata da Washington, trova Delhi esitante. I dubbi indiani riguardano l’effettiva capacità turkmena di pompare gas a sufficienza e la perdurante insicurezza in Afghanistan. Gli Stati Uniti, in ogni caso, stanno tentando di indirizzare l’India a ricercare altre fonti energetiche, come ad esempio il GLN proveniente dal Qatar, dall’Australia e da altri paesi del Golfo.
Le preoccupazioni pakistane, invece, riguardano essenzialmente il possibile ruolo egemone nell’area che potrebbe avere l’India nel caso dell’effettiva realizzazione della pipeline. A questo proposito è da notare come le autorità pakistane favoriscano la partecipazione al progetto della Cina, tradizionale alleato di Islamabad, anziché dell’India. Pechino ha dimostrato un serio interesse alla questione, dal momento che aumenterebbe l’influenza cinese nell’area a discapito di Washington e Delhi. Islamabad avrebbe sicuramente dei vantaggi in un’ipotetica inclusione della Cina. Il Pakistan ha un assoluto bisogno di energia, la quale non arriverebbe dall’Iran se non esistesse una terza parte facente parte del programma, garanzia di ingenti profitti per Teheran. In secondo luogo Islamabad godrebbe di una rilevante fonte di guadagno, rappresentata dai diritti di transito, e rafforzerebbe ulteriormente la duratura alleanza con Pechino. In un’altra prospettiva, l’incoraggiamento pakistano e iraniano volto al favorire l’adesione della Cina al progetto può essere visto come una pressione di Teheran e Islamabad nei confronti di Delhi affinché prenda una decisione chiara e definitiva sulla realizzazione dell’IPI. La pipeline in questo contesto rappresenta, secondo la prospettiva di Pechino, una fonte di rischi e opportunità. Come attore principale della costruzione del gasdotto dall’Iran, attraverso il territorio pakistano oppure mediante il possibile progetto di liquefazione e trasporto via mare del gas dal porto di Gwadar nella provincia del Belucistan pakistano, la Cina garantirebbe la realizzazione di un importante asse energetico terrestre che potrebbe completare la strategia di diversificazione energetica cinese, oltreché supportare la crescente domanda di energia del paese. Le difficoltà che potrebbero comportare una mancata partecipazione cinese sono rappresentate dalle difficoltà logistiche collegate alle situazioni di instabilità di diverse regioni sia in Pakistan che in Cina. La pipeline, nel caso in cui non vada in porto il progetto di liquefazione nel porto di Gwadar, dovrebbe attraversare, infatti, l’instabile territorio della provincia pakistana di Gilgit-Baltistan e lo Xinjiang cinese, o Turkestan orientale, contraddistinto dalle rivendicazioni anticinesi degli uiguri. L’alto costo delle infrastrutture per la realizzazione del progetto è molto rischioso vista l’instabilità della regione e le possibili azioni di sabotaggio. In un’altra prospettiva l’attenzione cinese rivolta al gas iraniano potrebbe essere valutata come una possibile azione di Pechino volta al favorire le trattative in corso con la Russia, avendo come fine il deprezzamento delle valutazioni del gas russo proveniente dalla Siberia. E’ chiaro che un sicuro approvvigionamento di gas iraniano ridurrebbe la dipendenza cinese dal gas russo e garantirebbe alla Cina una migliore posizione nelle trattative con Mosca per il rifornimento di gas dalla pipeline che collega la Siberia alla Cina. La partecipazione effettiva di Pechino, inoltre, rappresenterebbe un’ulteriore opportunità per aumentare l’influenza cinese in Asia Meridionale e favorirebbe la realizzazione del disegno cinese di graduale controllo dell’area, denominata come la strategia della “filo di perle” attorno all’Oceano Indiano. Il gasdotto che collegherebbe Iran, Pakistan e Cina, attraverso Karakorum, e la collaborazione sino-pakistana, attraverso la trasformazione del porto di Gwadar in un hub energetico cinese e, secondo Washington e Delhi, in una base navale della marina di Pechino, rappresenterebbero l’effettivo intento cinese di aumentare la propria influenza nell’area. Per quanto riguarda l’Iran, l’obiettivo di isolamento internazionale di Teheran sponsorizzato da Washington sarebbe reso nullo dalla politica cinese. Gli Stati Uniti al fine di scongiurare la partecipazione cinese al progetto che include l’Iran, avrebbero proposto alla Cina una mediazione americana volta all’aumentare il rifornimento di petrolio saudita verso Pechino.
Gli interessi russi.
Nonostante la Cina potrebbe dotarsi di una differente fonte di energia, la Russia giudica con favore l’eventuale costruzione del gasdotto. Mosca è determinata a mantenere una posizione dominante nella fornitura di gas all’interno del mercato europeo e sta cercando nuove opportunità per implementare i profitti e gli investimenti delle proprie compagnie dedite all’estrazione di petrolio e gas naturale. La Russia favorirebbe la realizzazione dell’IPI perché in questo modo il gas iraniano sarebbe inviato verso i mercati orientali, invece che occidentali, ed eviterebbe, dunque, la presenza di un importante concorrente garantendo il dominio russo nel trasporto energetico attorno all’area del Mar Caspio. La Russia, inoltre, è interessata alla creazione di un corridoio energetico e commerciale, collegamento tra l’Asia meridionale e l’Europa attraverso il territorio russo. Pakistan, India e Iran sarebbero interessate a tali progetti. Mosca valuta l’IPI, inoltre, come un possibile deterrente della competizione sino-russa in Asia centrale e, soprattutto, un freno agli interessi americani nell’area, rappresentati dal progetto TAPI. La Gazprom è fortemente interessata alla realizzazione dell’IPI e gli investimenti russi potrebbero favorire l’effettiva costruzione della pipeline. Risale al 1995 un memorandum d’intesa tra la Gazprom e The Gas Authority of India per la costruzione dell’IPI. La stessa compagnia russa è impegnata nello sviluppo dei giacimenti di South Pars nel Golfo Persico e ha espresso l’intenzione di partecipare ai futuri progetti legati all’incremento della produzione di GNL iraniano. La Gazprom ha manifestato, inoltre, un grande interesse affinché all’interno del progetto IPI venga inclusa anche la Cina al fine di legare economicamente, energeticamente e commercialmente Russia, Cina, India, Pakistan e Iran.
Le ripercussioni geopolitiche e geoeconomiche in Asia, l’integrazione energetica dell’Asia orientale con l’Asia meridionale e occidentale, il crescente ruolo che assumerebbe l’Iran, ostacolo all’isolamento internazionale ricercato dagli Stati Uniti, gli interessi russi ma soprattutto il sostegno alla crescita dei paesi destinatari del gas, l’India, ma in particolare la Cina, potenza egemone del futuro asiatico, dunque, sono questioni scottanti. E tutte ruotano attorno ad un innegabile catalizzatore di interessi: la realizzazione di una pipeline. Gli esiti sono tutti da scoprire.
*Francesco Brunello Zanitti, Dottore in Storia della società e della cultura contemporanea (Università di Trieste)
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