«La punizione dei criminali di guerra avrebbe dovuto essere un atto di giustizia e non la prosecuzione delle ostilità in forme solo apparentemente giudiziarie, in realtà ispirate da un desiderio di vendetta. Anche gli Stati vittoriosi avrebbero dovuto accettare che i propri cittadini, ritenuti responsabili di crimini di guerra, venissero processati da una corte internazionale. E questa avrebbe dovuto essere un’assise imparziale e con una giurisdizione ampia e non un tribunale di occupazione militare con una competenza fortemente selettiva» (1). Benché possa sembrare strano, questo giudizio sui processi di Norimberga e di Tokyo non è di Carl Schmitt ma del filosofo e teorico del diritto Hans Kelsen. Come Benedetto Croce, o altri pensatori liberali non ancora così intellettualmente “corrotti” e disonesti come quelli che oggi sono al servizio dei “mercati” e del circo mediatico occidentale, Kelsen si rendeva perfettamente conto che usare il diritto come uno strumento bellico per punire i vinti legittimava qualsiasi azione commessa dai vincitori (o dai più forti) ed equivaleva a creare una nuova barbarie, indipendentemente dalla questione della “giusta condanna” dei crimini commessi dai nazionalsocialisti o dai giapponesi durante la Seconda guerra mondiale. Lo stesso Kelsen al riguardo non esitò a sostenere: «Se i principi applicati nella sentenza di Norimberga dovessero diventare un precedente, allora al termine della prossima guerra i governi degli Stati vittoriosi giudicherebbero i membri degli Stati sconfitti per aver commesso delitti definiti tali unilateralmente e con forza retroattiva dai vincitori. C’è dunque da sperare che questo non avvenga» (2).
In effetti, fino agli anni Settanta del secolo scorso – ossia quando ancora (pur in presenza di una lotta politica caratterizzata da forti e radicati pregiudizi ideologici) non vi era il totalitarismo mentale del politicamente corretto – era naturale ritenere che i processi internazionali del dopoguerra fossero stati utilizzati dai vincitori a fini propagandistici e per nascondere i propri crimini (3). Nondimeno, la “patologia” normativa e giudiziaria che era alla base di quei processi, si è riproposta con l’istituzione della Corte penale internazionale e dei Tribunali ad hoc per il Ruanda e la Jugoslavia, che ovviamente hanno dato pessima prova di sé (né potevano non darla tenendo presente il giudizio di Kelsen sui tribunali internazionali del dopoguerra). Non ci si può meravigliare quindi per la vergognosa assoluzione di noti criminali di guerra croati e bosniaci da parte dei giudici del Tribunale ad hoc per la Iugoslavia o per il grottesco comportamento del procuratore della Corte penale internazionale, Moreno Ocampo, un imbelle agli ordini dell’oligarchia occidentale, pronto ad accusare Gheddafi di crimini contro l’umanità, benché non vi sia «concetto più vago e sfuggente della stessa nozione di “crimini contro l’umanità”», mentre com’è noto nessun Tribunale ad hoc viene istituito contro gli Stati Uniti per i «crimini infami che hanno commesso ad Abu Graib, a Bagram, a Guantánamo e continuano a commettere in Afghanistan» (4).
Del resto, le aggressioni compiute dal Paese nordamericano e dai suoi principali alleati dopo la scomparsa dell’Unione Sovietica sono così numerose e così gravi da non lasciare alcun dubbio su quel che l’Occidente ormai intende per diritto internazionale. Non solo gli Usa hanno aggredito dei Paesi senza l’autorizzazione dell’Onu (Serbia e Iraq) o sono andati ben oltre l’uso “legittimo” della forza sia in Iraq che in Afghanistan (violando quindi sia lo ius ad bellum – il diritto di muovere guerra – che lo jus in bello – le norme da rispettare in guerra) (5), ma addirittura insieme ad altri Paesi della Nato hanno utilizzato la risoluzione 1973 del Consiglio di Sicurezza (6) non per difendere il popolo libico ma per aggredire e rovesciare la Giamahiria, bombardare paesi e villaggi in cui vi erano dei sostenitori di Gheddafi e supportare con l’aviazione bande di fanatici e terroristi, finanziate e appoggiate dal Qatar (infischiandone pertanto della cosiddetta “no fly zone” che era solo un pretesto per invadere la Libia e “liquidare” Gheddafi). Ma all’aggressione contro la Libia si deve aggiungere pure il sostegno degli Usa all’aggressione contro la Siria di Assad da parte delle bande islamiste e dei terroristi al soldo dell’Arabia Saudita e del Qatar (due Paesi tra i più illiberali e autoritari che vi siano oggi sulla faccia della terra). Né si può passare sotto silenzio l’ignominioso tentativo degli Usa e dei cosiddetti “ribelli” di addossare al governo siriano la responsabilità di aver usato delle armi chimiche, che sono state invece impiegate, con ogni probabilità, dai “ribelli” stessi per giustificare un intervento degli Usa, dato che. le due petromonarchie del Golfo non sono in grado di raggiungere i propri (ignobili) scopi in Siria, soprattutto per l’eccezionale resistenza opposta dall’esercito siriano.
D’altronde, si sa che gli Stati Uniti, tramite numerosi agenti strategici (Ong, fondazioni, istituzioni internazionali, gruppi finanziari e così via), fanno il possibile per rovesciare regimi a loro non graditi. Basti pensare alle nefandezze commesse dagli Usa in America latina (in cui non si conta il numero delle violazioni del diritto internazionale che hanno compiuto gli statunitensi) o al ruolo che Washington ha svolto nelle cosiddette “rivoluzioni colorate”, avvalendosi degli insegnamenti di Gene Sharp, ma applicandoli secondo i parametri della Cia e “integrandoli” con altre “lezioni”, come quelle del famigerato colonnello Robert Helvey, membro dell’Albert Einstein Institution (l’istituto fondato da Sharp ed integrato nel dispositivo della rete Stay-behind nei Paesi alleati dal generale Edward B. Atkeson, quando era distaccato dall’esercito statunitense presso la Cia) e probabilmente presente pure a Kiev durante la “rivoluzione” arancione, nel novembre del 2004 (7). Né meno significativo è il fatto che, malgrado lo scioglimento del Patto di Varsavia sia avvenuto nel 1991, la Nato non solo abbia ridefinito la sua funzione politico-militare in chiave spiccatamente offensiva ma, a partire dagli anni Novanta, abbia cominciato una lunga marcia verso est, una sorta di Drang nach Osten, creando così anche le condizioni perché gruppi di estremisti nazionalisti e addirittura neonazisti potessero rovesciare con la violenza il legittimo governo ucraino (certo corrotto e inetto, benché non più di tanti regimi liberal-democratici occidentali, a cominciare da quello italiano).
A tale proposito, perfino un analista “moderato” come Gianandrea Gaiani ha riconosciuto che «i programmi politici formulati apertamente da questi movimenti non sarebbero legali in Europa ma evidentemente nell’ambito del progetto di sottrarre l’Ucraina all’orbita russa e assestare un duro colpo strategico ed economico a Mosca anche i nazisti possono diventare utili alleati da difendere mobilitando le forze della Nato» (8). E’ evidente allora qual è l’obiettivo geostrategico che i circoli occidentali perseguono in Ucraina: colpire il nemico principale del mondialismo made in Usa, ovvero la Russia di Putin nonché il suo progetto di Unione Eurasiatica, che rischia di mandare all’aria parecchi piani dell’oligarchia occidentale. In effetti, è l’intera strategia Nato di questi ultimi anni che è in gioco a Kiev. Si tratta cioè di completare lo schieramento di forze aeree (F-16, F-15 e Awacs) in Polonia e negli Stati baltici con l’installazione di uno scudo antimissile, di radar e sensori vari. E tutto questo alle porte di Mosca, cercando di prendere pure la base navale di Sebastopoli, perché la possa utilizzare la Sesta Flotta Usa, che da un pezzo scorrazza avanti e indietro anche nel Mar Nero, oltre che nel Mediterraneo.
Indicativo della tracotanza dell’Occidente è pure il fatto che questa volta i circoli euro-atlantisti abbiano voluto e potuto giocare a carte scoperte, tanto erano sicuri di farla franca, dato che il fariseismo in Occidente ha messo così salde radici che gli Usa possono permettersi di compiere qualsiasi soperchieria certi di non suscitare la condanna e la riprovazione da parte di un’opinione pubblica europea, ormai talmente condizionata dai media mainstream che pare perfino disinteressata all’impoverimento e alla deindustrializzazione di buona parte del Vecchio Continente. Non meraviglia allora la presenza in piazza Maidan di personaggi come McCain e di altri noti “vip” occidentali (tra cui l’onnipresente demagogo “liberal-sionista” Bernard Henry Levy), né quella di “misteriosi” cecchini che sparavano sia sui manifestanti che sui poliziotti (una tecnica di provocazione ormai tristemente nota, poiché impiegata anche altrove, Siria inclusa). Né sorprende che la Nuland abbia ammesso che gli Usa hanno speso cinque miliardi dollari per allineare l’Ucraina agli interessi di Washington o che si sia arrogata il diritto di scegliere, insieme all’ambasciatore degli Usa in Ucraina, il governo da installare a Kiev, in seguito al colpo di Stato.
Tuttavia, in Ucraina, come in Siria, gli statunitensi sembrano aver fatto i conti senza l’oste. Oste che non è tanto (o solo) la Russia di Putin quanto piuttosto quella parte del popolo ucraino che al gioco (sporco) della Nato e dei circoli euro-atlantisti non ci vuole proprio stare. Infatti, anche a prescindere dalla questione del golpe e dell’azione “allo scoperto” degli “agenti” di Washington e della stessa Ue, è indubbio che in Ucraina orientale e in Crimea il popolo (quello “vero”), appoggi la causa della Russia contro la protervia dell’Occidente. Non si spiegherebbe altrimenti «il 97 per cento dei voti a favore del distacco da Kiev o il fatto che 16 mila dei 18 mila soldati ucraini presenti in Crimea hanno cambiato uniforme e oggi operano agli ordini di Mosca» (9). Inoltre, nonostante le menzogne dei principali media occidentali – non a caso allineati con quelli del Qatar, proprio come accadde per la cosiddetta “primavera” araba – nei giorni caldi dell’“insurrezione popolare” a pochi isolati da piazza Maidan non vi erano disordini e anche il resto del Paese era tranquillo; ragion per cui sarebbe da ingenui, come scrive lo stesso Gaiani, «credere alla sollevazione di massa degli ucraini contro il governo filo russo di Viktor Yanukovic». (10)
Ma le vicende dell’Ucraina insegnano pure che la storia non la si può ignorare o “manipolare” facilmente. La Russia non ha dimenticato né l’aggressione di Carlo XII di Svezia., le cui ambizioni finirono a Poltava nel 1709, né quella di Napoleone, che in Russia perse quasi 500.000 soldati (200.000 prigionieri e probabilmente 270.000 morti in combattimento o durante la ritirata), né naturalmente quella di Hitler. E gli attuali confini dell’Ucraina sono stati tracciati, in sostanza, dai soldati dell’Armata Rossa, che proprio nell’Ucraina orientale nell’agosto del 1943 inflissero ai tedeschi una sconfitta decisiva con l’operazione Polkovodets Rumyantsev (10) – forse l’operazione più importante di tutta la Seconda guerra mondiale, poiché con essa i russi stapparono l’iniziativa strategica ai tedeschi. E anche la Crimea (ceduta all’Ucraina nel 1954) è intrisa del sangue dei soldati dell’Armata Rossa: Sebastopoli solo dopo lunghi mesi d’assedio venne conquistata da von Manstein (nel giugno del 1942), e i tedeschi dovettero impiegare tutta la loro superiore potenza di fuoco per aver ragione della resistenza russa (compresi dei giganteschi pezzi d’artiglieria, tra cui il Dora, un cannone da 800 mm). Nel 1944 però la Crimea riconquistata dall’Armata Rossa, che liberò anche i territori di tutta l’Ucraina, anche se in tale operazione trovò la morte il generale Vatutin (uno degli artefici della vittoria russa a Stalingrado), ucciso proprio da nazionalisti ucraini.
Vi è allora ragione di ritenere che il “grande gioco occidentale” in Eurasia, che confonde l’arbitrio, l’arroganza e la menzogna con il diritto internazionale, non darà agli americani e agli euro-atlantisti frutti migliori di quelli che poterono raccogliere Carlo XII, Napoleone o Hitler. Il che però non significa che non ci si debba preoccupare. Ha scritto Paul Craig Roberts: «Ottenere il cambio di regime in Ucraina con soli 5 miliardi di dollari sarebbe un affare, in confronto alle enormi somme sperperate in Iraq (3.000 miliardi), Afghanistan (3.000 miliardi), Somalia e Libia, o al denaro che Washington sta sprecando per assassinare persone tramite i droni in Pakistan e Yemen, o che ha speso per supportare Al Qaeda in Siria, o alle somme enormi che Washington ha sprecato per circondare l’Iran con 40 basi militari e numerose flotte nel Golfo Persico, nello sforzo di sottomettere l’Iran con il terrore» (11). Di fatto, è da tempo che gli Stati Uniti fanno questo tipo di “guerra asimmetrica”, dacché costa di meno e può rendere molto di più di quella “tradizionale”, benché, naturalmente, vi sia sempre la possibilità di impiegare, se necessario, altri mezzi (dai caccia alle navi da guerra, dai carri armati ai cannoni). In ogni caso, è innegabile che il sistema occidentale “americanocentrico”, per raggiungere i propri scopi, sappia usare i “mercati”, i media, le Ong e perfino lo stesso diritto internazionale piegandolo alla propria “volontà di potenza”. La Russia sembra però non solo averlo compreso ma essere pure disposta a mettere un freno alla prepotenza dell’Occidente proprio in terra d’Ucraina. Un siffatto nuovo corso (geo)politico sarebbe certo positivo, giacché, se non si vuole finire nel tritacarne del “mercato globale” made in Usa, si devono appoggiare e promuovere tutte quelle azioni che possono frustrare i disegni di egemonia globale degli Stati Uniti, anche se ciò non comporta che non vi sia il rischio che la nuova “guerra fredda” si trasformi in una “guerra calda”. Ma di questo si dovrebbe essere consapevoli senza lasciarsi ingannare dalle ciance del circo mediatico sulla questione della violazione del diritto internazionale.
Comunque sia, dovrebbe essere chiaro che non occorre essere degli “esperti” per rendersi conto della strumentalizzazione del diritto internazionale che viene fatta dagli Stati Uniti, né per comprendere che le ragioni (geo)politiche prevarranno sempre su quelle del diritto, almeno finché gli Stati Uniti non rinunceranno a dominare il mondo. Leggere allora il conflitto tra potenze a lume di geopolitica, anziché con il metro del diritto internazionale (che certo è indispensabile), è necessario se si vuol comprendere la realtà per quel che effettivamente è, invece di dare per scontato che essa sia come dovrebbe essere, o meglio come si pensa che debba essere. Anche sotto questo aspetto, quindi, la questione dell’Ucraina ha molto da insegnare, tanto più che il nuovo corso della (geo)politica di Putin pare riservare alla Russia il ruolo del katechon sul piano mondiale, ossia quella funzione che è condizione necessaria per mettere “in forma” la guerra, fredda o calda che sia; vale a dire che è condicio sine qua non perché le “regole del gioco” siano veramente rispettate da tutti i “giocatori”.
NOTE
1. Citato in Danilo Zolo, La giustizia dei vincitori. Da Norimberga a Baghdad, Laterza, Roma-Bari, 2006, p. 144.
2. H. Kelsen, Will the Judgment in the Nuremberg Trial Constitute a Precedent in International Law?, “The International Law Quarterly”, 1 (1947), 2, p. 171.
3. Al riguardo Zolo ricorda anche il noto saggio di B.V.A. Röling, The Nuremberg and the Tokyo Trials in Retrospect, in C. Bassiouni, U.P. Nanda (a cura di), A Treatise on International Criminal Law, Charles C. Thomas, Springfield, 1973. (vedi Danilo Zolo, Il doppio binario della giustizia penale internazionale, “Jura Gentium”, http:// www. Juragentium. org/topics/wlgo/it/double.htm).
4. Libia, “Chi dice umanità”, intervista a Danilo Zolo (vedi http:// www.ariannaeditrice. it/articolo.php?id_articolo=37973).
5. Sulla illegittimità delle guerre del Golfo (1991), del Kosovo e dell’Afghanistan vedi Tecla Mazzarese, Guerra e diritto. Note a margine di una tesi kelseniana, “Jura Gentium” (http: //www.juragentium.org/topics/wlgo/it/guerra.htm). Tecla Mazzarese osserva giustamente : «L’eventuale titolo di legittimazione di una guerra viene meno […] se le forme e i modi in cui essa viene combattuta violino i principi del diritto umanitario (i canoni del jus in bello); in particolare, se ed in quanto violino il principio di proporzionalità (dei danni inflitti rispetto al male subito) e il principio di discriminazione (tra combattenti e non combattenti)».
6. Risoluzione illegale sia perché «nessuna disposizione del presente Statuto autorizza le Nazioni Unite a intervenire in questioni che appartengano alla competenza interna di uno Stato», sia perché «nessuno può pensare che la guerra civile in atto in Libia [poteva] essere una minaccia internazionale contro la pace», Libia, “Chi dice umanità”, cit.
7. Thierry Meyssan, L’Albert Einstein Institution: la non-violence version CIA (http: //www. voltairenet.org/ L-Albert-Einstein-Institution-la).
8. Gianandrea Gaiani, Quei nazisti che piacciono tanto a Ue e Nato, “Analisi Difesa ( http:// www. Analisidifesa. it/2014/03/quei-nazisti-che-piacciono-tanto-a-ue-e-nato/).
9. Ibidem. Ma gli occidentali – che pure hanno sostenuto la secessione della Croazia (pur sapendo che cosa avrebbe comportato), quella del Kosovo (appoggiando l’Uck, ossia un gruppo di terroristi) per insediarvi un base militare degli Usa, e quella del Sud Sudan (ricco di petrolio) contro la penetrazione cinese in Africa – ritengono evidentemente che gli abitanti “russofoni” della Crimea non abbiano altri diritti se non quelli che riconosce loro la comunità internazionale, ossia gli Usa e i loro principali alleati.
10. Gianandrea Gaiani, Attacco alla Russia, (http://www.analisidifesa.it/2014/03/attacco-alla-russia/).
11. Al riguardo mi permetto di rimandare a Seconda guerra mondale: geopolitica e terra bruciata (http://www.eurasia-rivista.org/seconda-guerra-mondiale-geopolitica-e-terra-bruciata/6507/).
12. Paul Craig Roberts, Di nuovo sonnambuli (vedi http:// www. Arianna editrice. it/articolo.php?id_articolo=47639).
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