Negli ultimi 24 mesi il Perù si è trovato ad affrontare continui mutamenti che hanno pian piano ridefinito la sua politica interna ed estera. All’interno di una macro-area estremamente complessa ,come quella Latinoamericana, l’elezione del presidente Humala insieme alla continua ridefinizione dell’assetto di governo hanno prodotto movimenti significativi all’interno dello scacchiere geopolitico sub regionale che sembrano consegnare al paese andino un ruolo fondamentale nella concreta formazione,se pur in stato embrionale, di un area indiolatina.
Il Perù svolta a sinistra.
I primi dati ” a boca de urna” che emergevano dalle elezioni presidenziali del 2011 avevano suscitato negli osservatori internazionali e non solo grande sorpresa. Il paese per la prima volta si mostrava estremamente polarizzato. Il voto lasciava trasparire come esistesse, in misura non più marginale, un Perù Humalista ed uno Fujimorista. Sembrava oramai evidente uno scollamento tra i cittadini ed il ceto politico che veniva accusato di non essere riuscito ,in un periodo di forte crescita economica, ad attuare le necessarie manovre riguardanti la redistribuzione del reddito. Nonostante l’economia peruviana regalasse dati costantemente positivi ed il numero degli individui che si collocavano al di sotto della soglia di povertà fosse sceso significativamente,(1) la sperequazione socio-economica cresceva soprattutto tra ”costeña” (creoli) ed i ”chola”(indigeni) mettendo in tensione anche il rapporto centro-periferia nel paese andino. Un voto di protesta ed insoddisfazione che consegnava a Ollanta Humala e Keiko Fujimori la sfida nel secondo turno. Se il primo era direttamente riconducibile ad una linea chavista, l’ allora trentacinquenne Keiko rappresentava un ritorno nostalgico ai valori della gestione attraverso la ”mano dura” del padre Alberto. Il periodo che seguì fu caratterizzando dalla ricerca di un posizionamento da parte dei partiti che erano usciti sconfitti dalla prima tornata elettorale.
La destra peruviana, rappresentante dell’elite economica nazionale e dell’industria estrattiva nonché portatrice degli interessi statunitensi nella macroarea, andava quindi appiattendosi sulla figura della figlia d’ ”el chino”.
La sinistra si era assemblata attorno alla figura dell’ex-militare progressista, fondatore del Partito Nacionalista Peruano. Ollanta Humala era alla sua seconda candidatura (2) , dal 2006 le sue posizioni si erano decisamente temperate, le allusioni alle politiche chaviste che lo avevano politicamente definito nel passato lasciavano sempre maggiore spazio ad un immagine più conciliante: quella del presidente brasiliano Lula.
Alla fine il candidato di nuova ispirazione lulista prevalse. Decisivo, probabilmente,fu l’appoggio di Aleandro Toledo e Vargas Llosa, fondamentale fu d’altro canto, il desiderio della stragrande maggioranza del popolo peruviano di nuove politiche di rottura. Traspariva in misura sempre più netta l’esigenza di una proposta politica almeno apparentemente inclusiva e redistributiva, capace di prestare maggiore attenzione a temi quali l’emarginazione sociale e l’economia sommersa ed informale.
Humala svolta a destra.
Ollanta Humala si insediò tra l’entusiasmo generale durante la celebrazione delle ”feste partrie”. Nel primo anno, il bilancio della presidenza Humala vede all’attivo tre cambi di governo, l’ultimo formatosi alla fine di luglio 2012. Un evidente segnale di instabilità fatta di scandali veri o presunti, accuse di corruzione ed equilibrismi tra destra e sinistra, nel tentativo di raccogliere il consenso di un elettorato ritratto di un paese diviso.Se bene siano state introdotte novità attraverso una rinnovata attenzione per le politiche sociali come programmi in difesa dell’infanzia e della terza età, un innalzamento, se pur misero, del salario minimo, e sia stata approvata la ”ley de consulta”( legge che obbliga il Governo centrale a consultare le comunità indigene per i progetti che riguardano i territori tradizionali attraverso l’apertura di tavoli di discussione),lo sfondo costante che ha accompagnato questo primo anno sono stati senza ombra di dubbi i conflitti ambientali.
Primo tra tutti, capace di canalizzare l’attenzione internazionale e produrre una sollevazione popolare dai toni tal volta anche molto aspri, il ”proyecto Minas Congra”(4)che prevede il drenaggio di quattro lagune nella regione di Cajamarca: Perol e Mala che nascondono giacimenti auriferi e Azul e Chica le cui aree verrebbero desinate ad enormi depositi per contenere la terra da riporto. La sparizione di queste lagune provocherebbe ingenti danni ambientali e andrebbe probabilmente a trasformare la mappa idrografica dell’intera regione, mettendo a repentaglio, oltre all’ecosistema, la sopravvivenza delle comunità indigene che vivono ancora di agricoltura ed allevamento. Un conflitto che non si muove solo sulla messa in tensione del rapporto tra popolazione della regione e governo centrale ma crea attriti anche tra quest’ultimo e l’ amministrazione locale, andando ad intaccare la già traballante intesa di governo. Nello specifico caso si è pertanto creato l’antagonismo tra il Ministero dell’Ambiente e quello dell’Energia e l’Estrazione Mineraria. Le contestazioni al ”proyecto Conga” da parte delle comunità che abitano l’area si sono moltiplicate nelle quattro province della regione. Decine di cortei hanno attraversato le strade delle città ed i manifestanti si sono fronteggiati aspramente con le forze dell’ordine. Scontri che hanno provocato decine di feriti e di fatto lanciato un messaggio chiaro e deciso al Governo e al Presidente Humala: la popolazione della Cajamarca non accetterà nessuna mediazione. La medesima posizione è stata appoggiata ed espressa più volte anche dagli amministratori locali e dallo stesso presidente della regione. La reazione del Presidente peruviano fu decisa: constatando l’impossibilità di portare avanti una trattativa con il Governo regionale e considerando i continui tafferugli nell’area, veniva dichiarato a partire dal 14 dicembre 2011 lo stato d’eccezione nella regione di Cajamarca(5).
Questa decisione sancì per molti la definitiva svolta a destra di Humala. Nei mesi successivi la frattura tra il Presidente e le forze politiche appartenenti al mondo dell’associazionismo, che avevano di fatto costruito la sua campagna elettorale (svolgendo un ruolo fondamentale nella sua vittoria) si acuirono fin a ridefinirsi in un’effettiva contrapposizione.
Il Perù nell’ Alleanza del Pacifico
Nella primavera del 2012 Cile, Perù, Colombia e Messico hanno firmato un accordo che sancisce la nascita dell’ Alleanza del Pacifico. L’ accordo prevede una più profonda integrazione delle economie dei quattro paesi al fine di sviluppare nuovi rapporti commerciali nell’area del così detto Pacifico-Latinoamericano. Sebastian Pinera inaugurava questa nuova alleanza alla presenza non solo del messicano Felipe Calderon, del peruviano Ollanta Humala e della Colombia rappresentata dal suo Presidente Juan Manuel Santos (firmatari dell’accordo) ma anche dei presidenti di Costa Rica e Panama, giunti a Panaral(Cile) in qualità di osservatori interessati.
”Dall’alto di Paranal, nel deserto più arido del mondo e sotto il cielo più chiaro, abbiamo firmato un patto ufficiale dando alla luce l’Alleanza del Pacifico”. Con queste parole il Presidente cileno salutava le firme che avrebbero portato alla ratifica e quindi alla nascita di un blocco latinoamericano ( proposto nel 2011 in un incontro svoltosi a Lima) che conta oltre 200 milioni di consumatori ed un prodotto interno lordo che supera i 2 miliardi di dollari. L’accordo ambisce alla costituzione di un integrazione economica nell’area che vada al di la dei soli scambi commerciali e riesca a stabilire un livello di connessione assai più profondo. Un area, quella toccata dai paesi dell’Alleanza del Pacifico, con un potenziale più che significativo. L’allora presidente messicano Calderon, pose l’accento sull’importanza di rapportarsi con le economie di nuovo sviluppo quali Cile e Perù capaci negli ultimi anni di palesare variazioni positive del tasso di crescita. Nel caso specifico il Perù implementerà la sua capacità ,e possibilità di commerciare con l’Asia rafforzando non solo le proprie relazioni economiche con paesi che compongono l’area andina ma riuscendo a gettare più di uno sguardo oltreoceano. Tutto il Governo Peruviano ha espresso grande soddisfazione rispetto a questa nuova opportunità ribadendo che il libero commercio è uno dei modi più efficaci per costruire e contribuire alla pace tra gli Stati in quanto la partnership definta dall’Alleanza del Pacifico si definisce fin da subito come uno spazio di libera circolazione di beni,servizi, capitali e persone.
Anche l’economista peruviano Jorge Gonzalez Izquierdo ha espresso la sua soddisfazione per la chiusura dell’accordo. Una collaborazione economica con l’Asia del Pacifico infatti rappresenterebbe per il Perù il futuro del commercio estero e dei centri finanziari andando a definire, attraverso nuovi circuiti internazionali, una maggiore probabilità di aumento delle importazioni/esportazioni e degli investimenti.
Alla vigilia dell’accordo l’obbiettivo identificato da tutti i paesi membri come prioritario era senza dubbio il rafforzamento e lo sviluppo del piano ”mas rapida de integracion”( integrazione più veloce) per contribuire al lavoro delle reti economiche preesistenti in America Latina quali : la Comunità andina (CAN) ed il Mercato Comune del Sud (MerCoSur).
Al di la delle reazioni interne ai paesi fondatori l’obbiettivo che si pone questa nuova alleanza è chiaro cosi come lo sono le sue possibilità. Un nuovo blocco di tali proporzioni economiche si pone, nei fatti, come una piattaforma strategica verso le nuove rotte dell’Asia. In merito si è espresso anche il presidente statunitense Obama che, all’interno del discorso di Camberra, ha rilanciato con forza l’asse del Pacifico come priorità nella politica estera e geostrategica degli Usa. Risulta comunque interessante evidenziare come, negli ultimi anni, la proiezione verso le rotte asiatiche dei paesi latinoamericani non sia una novità. La Cina ad esempio ha rafforzato con decisione i suoi investimenti nella macroarea definendosi come uno dei principali interlocutori per quanto riguarda l’export in Brasile e Cile e in misura lievemente minore proprio in Perù ,Cuba e Costa Rica. Di fatto i problemi che in più occasioni sono stati segnalati dai presidenti latinoamericani rimangono: i rapporti commerciali con il pacifico si riducono(se così si può dire) sempre all’export di materie prime che necessito di manifattura per essere immerse nel mercato finale delle merci, non consentendo, di fatto, il superamento della distinzione tra paesi esportatori di materie prime e paesi manifatturieri.
Fondamentale per provare ad apprendere a pieno la potenza che potrebbe esprimere l’Alleanza del Pacifico è l’analisi della sua struttura: la presenza di tre paesi sud americani (Cile, Perù e Colombia) ed uno centro-americano (il Messico) allude direttamente ad una nuova geometria indiolatina che mira direttamente alla costruzione di rapporti sempre più solidi con la già pluricitata Asia, pur con una spiccata propensione verso il nord rappresentato dagli USA.
Conclusioni
Il Perù si candida a ricoprire un ruolo nell’Alleanza del pacifico, e non solo per un economia in forte crescita ma anche e soprattutto per la valenza geopolitica del paese andino. Il presidente Humala in primo sa che nella stessa costituzione e collocazione geografica del suo paese si nasconde quella che potrebbe rivelarsi l’elemento più importate ed efficace di cui disporre. Il Perù infatti si mostra come un paese estremamente eterogeneo che tiene allo stesso tempo al suo interno una dimensione marittima, andina ed equatoriale. Il suo accesso diretto al mare (che si materializza in una costa di oltre tremila Km- che rappresenta un enorme potenziale per le attività riguardanti la pesca) e la proiezione internazionale del Rio delle Amazzoni collegano il Paese all’Oceano atalentico. Il Perù si definisce come la ”Porta d’ingresso” sul Pacifico per i paesi dell’altantico del sud che non hanno accesso ad esso: non ultimi il Brasile, l’Argentina, la Bolivia, il Paragiay e l’Uruguay. Per questo, ma non solo, l’Alleanza indiolatina appena definita costituisce un vero e proprio spartiacque per i rapporti nella macroarea latinoamercana, candidandosi a ridefinire i rapporti geopolitici che l’hanno caratterizzata, rimettendo in primo piano il legame tra le due americhe e la necessita di riaprire un dialogo con attori vecchi e nuovi del panorama continentale che sembrano non accontentarsi più di un ruolo marginale ma che ambiscono a definirsi come fondamentali ed indispensabili per la crescita e lo sviluppo della macroarea.
*Tiziano Ceccarelli laureando in Cooperazione e Sviluppo presso l’Università “La Sapienza” di Roma.
NOTE
1 http://www.larepublica.pe/columnistas/cristal-de-mira/la-delgada-linea-de-la-pobreza-08-04-2011
2 la prima fu nel 2006 dove perse contro il candidato aprista Alan Garcia
3 le ”feste patrie” clebrano l’indipendensa del Perù dalla dominazione spagnola nel 1821.
4:http://www.pdfhost.net/index.phpAction=Download&File=39375bb3362671ac73d4d97caadde676
5 http://peru21.pe/2011/12/15/actualidad/levantan-estado-emergencia-cajamarca-2003343
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