Il contenzioso tra l’India e il Pakistan riguarda in particolare la sovranità sulla fertile valle del Kashmir; alla base delle rispettive rivendicazioni si individuano sia elementi geostrategici, sopratutto da parte del Pakistan, sia ideologico-storici. Anzi, questi ultimi vengono utilizzati spesso per mascherare i primi, sopratutto agli occhi degli abitanti kashmiri.
L’India e il Pakistan nacquero come Stati indipendenti nel 1947, in seguito allo smembramento dell’Impero britannico in quell’area; i criteri presi in considerazione per la suddivisione furono più che altro geografici e religiosi. Questi stessi criteri erano però difficilmente applicabili nella regione del Jammu e Kashmir; nel 1947, infatti, vi era in questa regione un monarca indù e una popolazione a maggioranza musulmana.
Questo primo elemento ci permette di individuare le diverse linee intraprese da Islamabad e Nuova Delhi.
Il Pakistan nacque come patria degl’indiani musulmani e, in quanto tale, reclamava l’ annessione dell’intera valle. A partire da Jinnah, primo governatore generale pakistano, tutti i suoi successori consideravano l’identità del Pakistan quella di uno stato islamico, sebbene non teocratico. Questa visione si sviluppò negli anni, fino ad arrivare ad un vero e proprio irredentismo pakistano: come patria putativa dei musulmani del subcontinente, il Pakistan cercò di incorporare lo stato a maggioranza musulmana del Jammu e Kashmir nella sua sfera. I dirigenti pachistani affermarono che l’annessione del Kashmir al Pakistan era tra i loro obiettivi, perché necessaria per completare il nuovo Stato.
In India, il movimento nazionalista s’ispirava a princìpi laici; Gandhi ebbe un ruolo determinante nel rivitalizzare la democratizzazione dell’INC, mentre Jawaharlal Nehru, che sarebbe diventato il primo ministro indiano, impresse un orientamento laico negli schieramenti politici del Congresso.
Su queste basi rivendicava la parte nord-occidentale del subcontinente: controllare il Kashmir significava ribadire che lo Stato creato dal Congresso poteva ammettere al suo interno ogni fazione politica ed ogni comunità religiosa, per l’appunto perché Stato di tutti gl’indiani.
D’ altronde, la notevole eterogeneità etnica, regionale e culturale dell’India non lasciava altra scelta ai dirigenti politici che volevano unificarla.
Risulta ovvia, date queste premesse, l’origine del conflitto indo- pakistano.
La visione indiana, infatti, si opponeva radicalmente all’ipotesi di Jinnah delle “due nazioni” (una, il Pakistan, a maggioranza musulmana, e l’altra, l’India, a maggioranza indù): uno stato laico basato su un nazionalismo civile è evidentemente antitetico a quello che fonda la costruzione delle proprie istituzioni su basi etnico- religiose.
Quattro guerre opposero, nel corso di più di mezzo secolo, l’ India e il Pakistan:
– Nel 1947- 48, poco dopo l’ indipendenza, sostennero un lungo scontro per lo stato del Jammu e Kashmir, fino ad allora indipendente.
– Nel 1956, combatterono un’altra guerra per il medesimo territorio.
– Nel 1971, si scontrarono durante la guerra civile che portò alla divisione del Pakistan e alla nascita del Bangladesh nel territorio del Pakistan orientale.
– Nel 1999, si affrontarono ancora una volta tra le montagne del Kashmir.
Oltre a questi veri e propri conflitti, i due paesi sono stati protagonisti di altre due gravi crisi in cui si è sfiorata la guerra.
Dal punto di vista ideologico (laicità contro identitarismo religioso), oggi le ragioni dell’antagonismo potrebbero considerarsi superate, visti sopratutto i fallimenti a cui andò incontrò il Pakistan che palesavano l’insussistenza delle sue teorie; vi sono perciò delle ragioni che vanno oltre al fattore ideologico, e che tengono conto del valore geopolitico del territorio.
Il Kashmir è infatti il nodo geopolitico del subcontinente indiano, il fulcro attorno al quale vengono studiate le strategie di India e Pakistan.
Per gli strateghi militari pakistani i fiumi Indo, Chenab e Jhelum che scorrono in questa regione sono considerati la linea vitale di difesa.
La loro priorità è infatti assicurarsi una difesa da un attacco esterno, e assicurare i propri confini. Supportare il separatismo kashmiro è vitale per il Pakistan da un punto di vista militare, perché obbliga l’India a far stazionare nel Jammu e Kashmir una parte consistente del suo esercito (più numeroso e meglio attrezzato di quello pakistano). In chiave di sicurezza interna, invece, l’identificazione di un nemico esterno e di una causa comune, sono utilizzati dalla classe politica per sublimare l’esistenza di un valido elemento di aggregazione nazionale (lo stesso vale anche per l’India). La sua campagna anti-indiana è basata sulla conduzione di un conflitto a ‘bassa intensità’ che logori l’India evitando una guerra convenzionale su vasta scala (dalla quale ne uscirebbe sconfitto).
L’India, timorosa anche di un eventuale effetto domino, si ostina a considerare il separatismo nel Kashmir come un problema interno; il suo scopo è il riconoscimento della Linea di Controllo come frontiera permanente, conservando in tal modo la Valle del Kashmir, il Jammu e buona parte del Ladakh. Questa frontiera, in effetti, seguirebbe grosso modo i confini etnici e geografici della regione centrale del Kashmir, ma è ovviamente ostacolata dal Pakistan.
L’ indipendenza è la meta agognata da molti abitanti del Kashmir (è l’obiettivo del Fronte di liberazione del Jammu e Kashmir); il governo pakistano respinge categoricamente quest’opzione , così come, da parte indiana, i nazionalisti escludono la possibilità di cedere “il gioiello della corona” himalayano.
Duplice, quindi, la natura di questo contenzioso; il parallelo che è stato creato serve sopratutto a sottolineare come di tanti motivi (etnici, religiosi, ideologici), il più importante è sicuramente quello economico e politico; è basandosi principalmente su questi che vengono ideate le strategie dei Paesi. Lo si capisce dal fatto che, pur venendo ormai a mancare le originarie fondamenta dell’opposizione tra Islamabad e Nuova Delhi, gli scontri non sono cessati, anzi anche in questi mesi si sono susseguiti con sempre maggiore intensità.
Una soluzione nel breve periodo appare alquanto improbabile, anche perchè non bisogna tralasciare la situazione di tutta l’area e l’influenza che i grandi protagonisti dello scacchiere internazionale (primi fra tutti Cina, Russia e USA) esercitano su questa macroregione; i loro svariati interventi nelle vicissitudini di questi popoli hanno come sfondo l’intricato sistema di allenze geopolitiche volte a favorire ora l’una ora l’altra nazione, non tenendo conto della legittimità (anche giuridica) della sovranità rivendicata.
Il Jammu e Kashmir non è sicuramente un caso isolato; è, semmai, un esempio di come le strategie vengano forgiate su considerazioni geopolitiche, tenendo conto delle ricchezze del territorio, dei rapporti con gli assi portanti dell’equilibrio mondiale e della posizione relativa dei vari Stati. Talvolta, non si arriva ad una soluzione proprio per la mancanza di scelte geopolitiche adeguate, comprensive di tutti gli elementi che servono alla stabilità e all’equilibrio. In questo senso, esaminare i dettagli della storia di questi Paesi servirebbe a prendere delle decisioni più ponderate; con uno sguardo al passato si potrebbe individuare una nuova linea politica che India e Pakistan dovrebbero percorrere fianco a fianco e che porterebbe finalmente i kashmiri ad un equilibrio e ad una stabilità che non hanno mai vissuto.
* Sabrina Cuccureddu è laureanda in Scienze politiche e relazioni internazionali (Università “La Sapienza” di Roma)
Questo articolo è coperto da ©Copyright, per cui ne è vietata la riproduzione parziale o integrale. Per maggiori informazioni sull'informativa in relazione al diritto d'autore del sito visita Questa pagina.