Il 1° marzo il governo di Islamabad ha annunciato che entro il 2014 verrà ultimata la costruzione gasdotto Iran – Pakistan, per un costo che si aggira attorno agli 1,5 miliardi di dollari.
Inizialmente tale gasdotto era stato progettato per raggiungere i terminali indiani di Fazilka, ma nel 2009 Nuova Delhi ha ceduto alle fortissime pressioni esercitate da Washington, che ha offerto le proprie tecnologie nucleari d’avanguardia per uso civile in cambio della rinuncia indiana alla finalizzazione del gasdotto.
Il Segretario di Stato Hillary Clinton – che aveva incassato un lauto dividendo strategico applicando l’embargo energetico all’Iran ed ottenendo che Unione Europea e Giappone rinunciassero ai propri interessi e facessero lo stesso – ha immediatamente intimato al governo pakistano di recedere dagli intenti dichiarati, minacciando di applicare sanzioni sufficientemente dure da strangolare la già disastrata economia del paese islamico.
Nonostante ciò, il Ministro degli Esteri di Islamabad Hina Rabbani Khar ha spiegato che l’afflusso del gas iraniano entro la fine del 2014 è di vitale importanza per economia pakistana, ed ha patrocinato alla sottoscrizione di un accordo in cui Islamabad e Teheran hanno fissato i prezzi e stabilito i limiti temporali entro i quali il tratto pakistano del gasdotto dovrà essere ultimato, poiché quello iraniano è già pronto all’uso.
La Russia ha espresso interesse ad aderire al progetto mentre la Cina ha rinnovato la propria alleanza con l’Iran stipulando un trattato in base al quale le forniture giornaliere di petrolio iraniano saliranno a quota 500.000 barili entro il 2012.
Quella di Pechino non è una mossa isolata, ma si staglia su di uno sfondo generale da cui emerge l’assistenza al Pakistan per quanto concerne l’ammodernamento dei suoi impianti nucleari civili e l’ambiziosa intenzione di agganciare al gasdotto Iran – Pakistan un tratto che raggiunga il gigantesco porto di Gwadar, che costituisce una gemma fondamentale della “collana di perle”, ovvero l’installazione di infrastrutture civili e militari in tutti i paesi costieri che si estendono dal Mar Rosso al Mar Cinese Meridionale.
La concreta possibilità che le trame diplomatiche intrecciate da Pechino, Mosca ed Islamabad possano vanificare gli effetti dell’embargo energetico e allentare la morsa della cosiddetta “strategia dell’anello dell’anaconda” – finalizzata ad impedire lo sbocco al mare delle potenze tellurocratiche dell’Heartland attraverso il controllo della fascia esterna, che Nicholas J. Spykman definì Rimland – gli Stati Uniti concentrano tutti i loro sforzi sulla realizzazione del gigantesco gasdotto Turkmenistan – Afghanistan – Pakistan – India, il cui costo è attualmente stimato in 8 miliardi di dollari (dai circa 3 iniziali) ma che, attingendo dai giacimenti turkmeni controllati dall’azienda israeliana Merhav – diretta dall’agente del Mossad Yosef Maiman – garantirebbe un cospicuo vantaggio strategico.
Questo gasdotto è però destinato ad attraversare le martoriate regioni di Herat e Kandahar, dove la resistenza opposta dai Talebani e più in generale dall’intera resistenza afghana all’occupazione statunitense è tale da mettere a repentaglio la sicurezza dell’intera conduttura.
Dal momento, inoltre, che le forze degli Stati Uniti di stanza in Afghanistan stanno inanellando un fallimento dopo l’altro e che il paese molto difficilmente potrà trovare un affidabile grado di stabilità interna dopo il ritiro degli occupanti (previsto per il 2014), la strada che conduce alla costruzione del Turkmenistan – Afghanistan – Pakistan – India appare lastricata di pesantissime incognite.
Washington, Tel Aviv e i loro alleati atlantici, tuttavia, continuano a puntare su questo progetto e per favorirne la realizzazione si muovono simultaneamente su più piani.
Da un lato, per impedire l’integrazione asiatica, erogano finanziamenti ai movimenti secessionisti regionali per promuovere la formazione di un Belucistan indipendente dall’autorità di Islamabad, dall’altro offrono circa 1 miliardo di dollari al Pakistan per ovviare alle drammatiche carenze energetiche cui il paese andrebbe inevitabilmente incontro qualora scegliesse di assecondare gli intenti degli Stati Uniti.
La traiettoria geostrategica che gli eventi futuri andranno a seguire è fortemente condizionata dagli sviluppi di questa specifica situazione imperniata su Iran e Pakistan.
Una traiettoria che potrebbe provocare enormi sconvolgimenti nell’ordinamento multipolare che va delineandosi.
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