La nazione sudamericana che si affaccia sull’Oceano Pacifico sembra vivere una crisi istituzionale senza soluzione di continuità. Gli scandali che hanno coinvolto tutti i presidenti in carica dal ritorno alla democrazia dopo la dittatura di Alberto Fujimori avevano già indebolito la fiducia dei cittadini negli organi statali; ora la destituzione e l’arresto dell’attuale massima carica istituzionale hanno spaccato il Paese in due: da un lato i sostenitori di Pedro Castillo che ne richiedono l’immediata scarcerazione e avallano le richieste dell’ex insegnante di nuove elezioni generali, dall’altro il sistema partitocratico sul quale aleggia l’ingombrante ruolo statunitense che ha sovvertito l’ordine con il voto parlamentare e propone diciotto mesi di transizione.
Lo scorso 7 dicembre, al terzo tentativo dopo quelli del dicembre 2021 e del marzo 2022, il Parlamento peruviano ha votato a stragrande maggioranza (101 su 130) per la destituzione del presidente Pedro Castillo. Solamente poche ore prima il capo della sinistra aveva annunciato le misure per porre fine allo stallo al quale era sottoposto fin dal suo insediamento. Privo della maggioranza nell’unica Camera della nazione andina, Castillo aveva anticipato nelle mosse il nuovo voto di sfiducia, proclamando lo scioglimento del Congresso; la sua intenzione era quella di porre in atto un “governo di eccezione” che agisse tramite decreto fino alle nuove elezioni per la formazione di un’Assemblea Costituente da indire entro nove mesi. In questo modo il Perù si sarebbe dotato, in tempi rapidi, di una nuova Carta fondamentale, evento non verificatosi nemmeno mentre numerosi vicini facevano fruttare i tempi d’oro dell’ondata socialpopulista dei primi anni Duemila (dal Venezuela bolivariano all’Ecuador passando per la confinante Bolivia).
Il ruolo delle forze armate e il caso Boularte
Il tentativo di Castillo è durato solamente un’ora e mezza. Le forze armate si sono fatte portavoce della difesa dell’attuale Costituzione rifiutandosi di attuare il coprifuoco richiesto dall’ex maestro rurale; le opposizioni di destra, moderata e non, hanno fatto squadra superando facilmente la maggioranza richiesta dei due terzi per procedere alla messa in stato d’accusa.
Del tutto diversa da quella che ci si aspettava è apparsa la scelta della vice di Castillo, la sessantenne Boularte, già appartenente alla stessa formazione del presidente la marxista Perù Libre, la quale ha svolto un ruolo più simile a quello attuato da Lenin Moreno in Ecuador che ai suoi omologhi boliviani in occasione del golpe contro il legittimo presidente Evo Morales nel novembre 2019. In quell’occasione tutte le più alte cariche istituzionali del Paese si erano rifiutate di legittimare il colpo di stato non subentrando allo storico capo sindacalista e mettendo a repentaglio la propria vita e quella delle proprie famiglie pur di mantenere fede alle proprie idee e al proprio giuramento di fedeltà.
Diverso il caso dell’ex presidente ecuadoriano, che invece, dopo essere stato eletto come prosecutore dell’amato capo socialista Rafael Correa, aveva messo in atto una repentina giravolta aprendo al ritorno al potere della destra liberale filostatunitense.
La Boularte nel suo discorso di insediamento ha parlato di ritorno alla stabilità politica e ha promesso un gabinetto di governo rappresentativo di tutte le fazioni presenti in Parlamento. Ha anche definito la mossa di Castillo contro il Congresso un “tentato colpo di Stato”. Inoltre ha chiesto un ampio dialogo tra tutte le forze politiche per installare un governo di unità nazionale che normalizzi il Paese fino alle elezioni, che non avranno luogo prima della primavera del 2024.
Considerata una indipendente nel partito, la Boularte, che si è affrettata a dirsi in disaccordo con l’ideologia del partito di cui faceva parte, potrebbe restare in sella fino alla naturale scadenza del mandato nel 2026. Prima donna ad ottenere, seppur non tramite il processo elettorale, il ruolo presidenziale, si è espressa con durezza sul proprio profilo twitter: “Respingo la decisione di Pedro Castillo di provocare il crollo dell’ordine costituzionale con la chiusura del Parlamento. È un colpo di Stato che aggrava la crisi politica e istituzionale e la società peruviana dovrà superarla con il rigoroso rispetto della legge”.
In molte regioni del Perù, a partire da quelle meridionali maggiormente legate a Castillo, la rabbia popolare si è espressa tramite scioperi e blocchi stradali, che il nuovo esecutivo ha deciso di reprimere in maniera molto violenta. Si contano già più di venti morti e quasi duecento feriti tra i cittadini, affrontati dalle forze dell’ordine in assetto antisommossa aiutate dal dispiegamento dell’esercito nelle province di Huamanga, Huanta e La Mar. Una violenza sconsiderata, che ha già comportato già le dimissioni di alcuni membri del nuovo governo, fra i quali Jair Pérez, ministro della Cultura, e Patricia Correa, nominata al dicastero dell’Educazione.
Dal proprio canto i movimenti sociali e sindacali, nell’ambito delle proteste della popolazione, hanno avanzato le proprie proposte per porre fine agli scioperi e ai blocchi stradali chiedendo la liberazione il conseguente reintegro di Pedro Castillo oltre alla convocazione di un’Assemblea Costituente.
Il ruolo degli Usa e il sostegno dei governi latinoamericani a Castillo
Le denunce che Castillo ha lanciate dal carcere riguardo al ruolo che gli Stati Uniti avrebbero avuto nell’attuare la sua destituzione sembrano avere sempre più fondamento in seguito alla telefonata intercorsa tra la Boularte e il segretario di Stato Usa Anthony Blinken, il quale le ha ribadito il massimo sostegno della potenza a stelle e strisce. Un sostegno, quello della potenza nordamericana, espresso immediatamente nel corso della visita dell’ambasciatrice Lisa Kenna al Palazzo del Governo di Lima a cui era seguita la condanna per l’operato di Castillo in difesa della Costituzione peruviana (sic!): “Gli Stati Uniti respingono categoricamente qualsiasi atto extracostituzionale del presidente Castillo per impedire al Congresso di adempiere al suo mandato”.
Sulla visita dell’ambasciatrice e il ruolo degli Usa ha avuto modo di esprimersi con una lettera dal carcere lo stesso Castillo che, nel frattempo, ha incassato l’appoggio congiunto dei governi di Colombia, Argentina, Bolivia e Messico (quest’ultimo si è offerto di fornirgli asilo politico). Il presidente colombiano Gustavo Petro, sostenuto dai tre omologhi, ha definito “un oltraggio” l’incarcerazione di “un presidente eletto popolarmente”, offrendosi per istituire le basi di un dialogo politico e sociale che porti alla soluzione dei contrasti venutisi a creare.
Prosegue nel frattempo, senza sosta, il procedimento penale contro Castillo, la cui detenzione preventiva è stata ampliata a diciotto mesi dal tribunale, con la motivazione che esisterebbe la possibilità che il presidente destituito lasci il Paese per accettare la proposta di asilo di Andrés Manuel López Obrador.
Conclusioni
La situazione delineatasi negli ultimi quindici giorni appare ben lungi dal normalizzarsi, in un senso o nell’altro; l’influenza esterna di chi in nome della bisecolare dottrina Monroe vorrebbe riannodare i fili da marionetta con la parte meridionale del continente americano non facilita la vicenda.
L’imminente giuramento di Lula in Brasile, d’altro canto, rafforzerà l’asse social-populista che intende proseguire nel solco tracciato del nuovo multipolarismo, che dovrà affrancare, una volta per tutte, il Sud del mondo dalla politica imperialista.
La partita peruviana si iscrive decisamente in questa lotta e rischia di portare un altro Stato a fare i conti con interessi esterni che fanno ricadere i danni prodotti su cittadini inermi ed esausti.
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