Quale potrebbe essere “la foto più bella dell’anno” secondo i giurati di un importante premio giornalistico che viene assegnato ad Amsterdam?
Con tutto quello che succede in giro per il mondo, e con tutti i bravi fotoreporter che ci sono, ci sarebbe solo l’imbarazzo della scelta, ma siccome al World Press Photo 2015 hanno deciso di premiare “l’amore”, si può star certi che lo scatto premiato non ritrarrà un uomo e una donna, ed il frutto di questo “amore” perennemente sulla bocca di tutti. Cioè i loro figli, sani e felici.
Non si può pretendere che in un contesto “mondano” del genere, per “amore” s’intenda il grado più elevato della Conoscenza. Tuttavia, anche un’accezione del termine limitata all’ambito familiare avrebbe ancora una sua ragion d’essere, visto che questo “amore” viene solitamente messo in relazione con la “vita”.
L’amore in quanto forza che vince la morte, prevalendo sul nulla e l’oblio.
Ma qui non vi è niente di tutto questo. Questo “amore” da premiare nulla ha a che fare con la filosofia e “alchimia della felicità”, né con un inno alla vita che perennemente si rinnova nelle nascite dei bambini.
E dopo questa premessa, cerchiamo d’indovinare il tema della “foto più bella dell’anno”.
È ambientata in Russia. La Russia del “nuovo Hitler” Putin, affetto da una “sindrome” che ne altererebbe la sfera emozionale e decisionale.
La Russia che, all’unisono e di concerto, tutta la cosiddetta “cultura occidentale” ha elevato al rango di nemico pubblico numero uno (assieme all’Islam, sfruttando le malefatte dei “fondamentalisti”, peraltro sostenuti dal potere occidentale stesso).
Non ci si attendano però un algido paesaggio siberiano o le meraviglie architettoniche di San Pietroburgo.
No, l’ambientazione della “foto più bella dell’anno” è una camera da letto.
Una camera tetra, che è tutto il contrario di un inno alla vita, dove “l’amore gay vince”. In Russia.
La Russia “omofoba” (perché Putin è “omofobo”, ovviamente) nella quale “la coppia gay russa diventa icona dell’amore globale e testimonial di passione intima ma anche civile”. Fa anche un certo effetto sentir parlare di “icone” in questo modo al riguardo della Russia… ma per certi depravati, le uniche “icone” da meditare sono le Pussy Riot e le Femen.
Ma… ragioniamo un attimo. Questa scena è presa in un momento di “intimità”.
Quindi, ritraendo la foto vincitrice una scena di omosessualità in privato, i signori giurati hanno scelto l’immagine sbagliata, perché la legge in vigore in Russia vieta solo la propaganda omosessuale, in particolare tra i minorenni.
Ora, pretendere la buona fede da dei militanti omosessualisti infilati in ogni ambito della “cultura” è una pia illusione. Quando prendono di mira qualcuno o qualcosa non c’è nulla che li possa far ragionare. Vogliono aver ragione al 100% e si daranno pace solo quando vedranno il nemico di turno nella polvere, umiliato e costretto alla resa incondizionata. E non è una loro caratteristica esclusiva… vi ricordano qualcun altro?
Finché non arrivano allo scopo, martellano incessantemente sempre sul solito tasto, sfruttando ogni pretesto e manipolando oltre ogni decenza la realtà. Lo abbiamo visto con le Olimpiadi invernali di Sochi e lo stiamo rivedendo coi premi fotografici. D’altra parte le lobby devono fare così se vogliono coronare il loro attivismo col successo.
La propaganda omosessuale, parte della più vasta “ideologia di genere” che sta producendo mostri come il “femminicidio”, ha preso di punta la Russia. Ma anche il mondo arabo e musulmano, dopo la cosiddetta “Primavera araba”, è insidiato dallo stesso soft power.
Bisogna fare molta attenzione alla manovra a tenaglia intentata contro due dei baluardi che si oppongono alla “globalizzazione”: l’Ortodossia e l’Islam.
Che nel loro “cuore” hanno molto più in comune di quanto possono comprendere, stante la loro limitazione intellettuale, tutti i “jihadisti” del mondo. Ne abbiamo visto un esempio nella guerra nell’ex Jugoslavia, quando per ammazzare i serbi ortodossi, adducendo scuse da “guerra santa”, sono arrivati da tutto il mondo islamico i peggiori tagliagole già all’opera in Algeria.
Putin ha più volte fatto riferimento ad una “alleanza” tra Ortodossia e Islam, alla faccia di tutti quelli che vorrebbero tirare la Russia dalla parte dell’Occidente (e lasciando perdere certi assiomi tipici della “destra” più occidentalista).
Che cosa si ritroverebbe la Russia sbilanciandosi in questo modo? Perdendo, per l’appunto, il suo baricentro e tradendo la sua vocazione “eurasiatica”? Le “radici giudaico-cristiane” che vediamo inadeguate a contenere l’ondata dissolutrice che investe tutti i paesi fagocitati dall’occidentalismo come ideologia e modo di vita?
Per questo viene portata continuamente all’attenzione di un pubblico che non sa nulla di Islam “l’omofobia” del preteso Califfato dell’ISIS, come se quello rappresentasse la genuina tradizione islamica.
Certo, un conto è pretendere un minimo di rispetto, nell’ambito intimo e privato, ma da qui – con tutto quel che succede – a propinarci ogni santo giorno occasioni per riflettere sul problema della “omofobia” ce ne corre; al che, il fondato dubbio che si tratti solo di propaganda sta toccando anche molti che, all’inizio, non erano ostili ai cosiddetti “gay”. Basta scorrere i commenti alle “notizie” delle agenzie ufficiali, per rendersi conto che chi è un minimo informato e ragionevole non si beve più le panzane anti-russe e pro-omosessualiste.
E non siamo ipocriti: lo “scandalo” non è mai stato digerito da nessuno (persino da Gesù), ad eccezione dei moderni occidentali, che a ben vedere hanno solo spostato la mira, coerentemente con gli assunti di base di questa nuova pseudo-civiltà, avvertendo come “scandalose” altre manifestazioni pubbliche del pensiero e della propria visione del mondo.
Si fa un gran parlare di “libertà” e “diritti civili”, ma mentre si giustifica e si “legalizza” ogni perversione o follia pura e semplice, si rende “legale” la repressione giudiziaria degli storici non conformisti e s’invoca pari trattamento per gli “omofobi”, senza che, per un’evidente impossibilità a circoscrivere la materia, si riesca a capire bene quali siano i comportamenti sanzionabili.
Tutto ciò è davvero ridicolo e tragico al tempo stesso, perché si vuol coinvolgere la gente in questioni che, di fatto, riguardano infime agguerrite e potenti minoranze spalleggiate dai “poteri forti”, ma allo stesso tempo bisogna approvare entusiasticamente una limitazione alla libertà di ricerca, d’insegnamento e di pensiero, tra l’altro riconosciuta nella “Costituzione più bella del mondo” (artt. 21 e 33). Libertà che riguardano tutti quanti, è bene ricordarselo.
Siamo a tutti gli effetti di fronte ad un inversione dei significati che hanno dato un senso alla vita dell’uomo perlomeno da quando sono misurabili i cosiddetti “tempi storici”. Si proclama la “libertà” ma si studiano nuove “leggi” per reprimerla. Si loda la “bellezza” ma si va in estasi per il brutto (e l’arte moderna è la riprova di ciò). Si eleva “l’amore” nell’empireo delle aspirazioni umane ma si scade nella passionalità e nella carnalità, sulla quale, non a caso, tutte le tradizioni concordano nel definirla come il peggior pericolo per l’essere umano. Sempre che abbia capito che l’unico senso di questa “vita”, tanto declamata a sproposito, non è sguazzare indefinitamente nelle paludi di un “ego” mai sazio di “piaceri”.
Questa è la triste e cruda fotografia della “civiltà occidentale” e dei suoi apologeti. Che – c’è da starne sicuri – quando alla fine si presenteranno a rendere conto del loro operato, non vinceranno alcun Premio.
Enrico Galoppini
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