Questo breve saggio cerca di ripercorrere le tappe fondamentali dello sviluppo dell’Alleanza Atlantica, in particolare per quanto riguarda il periodo che va dal dissolvimento dell’Unione Sovietica in poi, cercando di dimostrare come questa organizzazione militare in realtà non abbia fatto altro che perseguire gli interessi geopolitici e strategici della potenza dominante dell’Alleanza, ossia gli Stati Uniti d’America.
La fondazione del North Atlantic Treaty Organization risale al trattato di Washington del 1949. Tra i dodici Paesi fondatori troviamo tre potenze (delle nove attuali) dotate di armamenti nucleari (Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia), che sono altresì tre dei cinque membri con seggio permanente alle Nazioni Unite. Il perno geografico dell’alleanza, come si evince dal nome stesso, è l’Atlantico del Nord, ossia la massa d’acqua dominata dagli Stati Uniti d’America, che ne costituiscono il confine occidentale, mentre la Gran Bretagna e l’Europa occidentale ne rappresentano il confine orientale.
Tra gli articoli più interessanti che costituiscono il Trattato vanno menzionati l’Articolo 5, che definisce il principio di difesa collettiva, l’Articolo 10, che prevede che ogni nuovo potenziale candidato debba essere accettato unanimemente dagli altri membri – qualunque decisione presa dall’Alleanza deve essere unanime – e debba depositare la propria candidatura innanzitutto presso il governo degli Stati Uniti, e l’Articolo 14, quello conclusivo, che prevede che la copia originale del Trattato sia conservata presso gli archivi del governo degli Stati Uniti. Gli unici casi in cui teoricamente l’Alleanza è chiamata a intervenire sono quindi l’Articolo 5, invocato in un’unica occasione all’indomani dell’11 settembre 2001, o su mandato delle Nazioni Unite – principio, quest’ultimo, ampiamente disatteso.
La NATO è costituita da una struttura politica e da una struttura militare. A capo della struttura politica c’è un Segretario Generale, proveniente da uno dei paesi membri europei. L’organismo decisionale di tale struttura è il Consiglio Atlantico (North Atlantic Council), costituito dai rappresentanti permanenti degli Stati membri, che ha sede a Bruxelles e si riunisce almeno una volta a settimana. Vi è poi un’Assemblea Parlamentare, struttura parallela non facente formalmente parte dell’organizzazione e non avente compiti decisionali. Per quanto riguarda la struttura militare, esiste un Comando Militare (NCM) con sede a Bruxelles, dal quale dipendono il Comando Alleato della Trasformazione (ACT) con sede a Norfolk in Virginia, al quale competono addestramento, pianificazione e dottrina, e un Comando Alleato delle Operazioni (ACO) con sede a Mons in Belgio, che è la struttura responsabile delle operazioni militari.
La sede della NATO non è sempre stata Bruxelles. Fino al 1966 infatti si trovava a Parigi, ma venne poi trasferita in Belgio in seguito ad insanabili contrasti con la Francia gollista, che lamentava l’eccessivo peso specifico degli Stati Uniti nell’ambito dell’Alleanza Atlantica. Dal 1966 al 2009 la Francia ha fatto parte solamente della struttura politica della NATO, salvo rientrarvi a pieno titolo, quindi anche militarmente, con una decisione del governo atlantista di Sarkozy.
Il Patto Atlantico ha conosciuto diverse fasi di espansione; basti pensare che dai dodici paesi fondatori si è arrivati oggi a ben trenta stati membri. Un aspetto che emerge osservando il parallelo ingrandimento dell’Unione Europea – attualmente costituita da ventisette membri – è che l’adesione alla NATO sembra essere quasi una precondizione per l’ingresso nella UE. Ben ventuno Paesi europei che hanno aderito alla NATO fanno attualmente parte anche dell’Unione Europea, la cui sede si trova anch’essa a Bruxelles.
Alla luce degli attuali sviluppi geopolitici – mi riferisco all’operazione militare russa in Ucraina – è utile soffermarsi brevemente su quelle che sono state le varie fasi di allargamento, in particolare focalizzando l’attenzione sul periodo che va dalla caduta dell’Unione Sovietica in poi. Nel 1991 si è aperta una nuova fase negli equilibri geopolitici tra le grandi potenze. Secondo alcuni studiosi, come Francis Fukuyama, il mondo era ufficialmente entrato nella “fine della storia”, fase in cui la superpotenza egemone, gli Stati Uniti d’America, sembrava destinata a prevalere in un mondo ormai unipolare. Questo abbaglio è durato non più di un quindicennio: possiamo datare la fine di questa illusione a non oltre il discorso di Vladimir Putin a Monaco nel 2007, che sanciva nettamente il ritorno della Russia a una politica di potenza e l’inizio della costruzione di un mondo multipolare.
Come si accennava in precedenza, l’espansione della NATO ha conosciuto diverse fasi, ma è dal 1991, quando cioè sembrava che essa avesse esaurito la sua funzione storica, che questo processo ha subito un impulso decisivo. In particolare nel 1999, con il quarto turno di allargamento, entrarono a far parte del Patto Atlantico alcuni Paesi provenienti dall’ex Patto di Varsavia: Repubblica Ceca, Ungheria e Polonia. Successivamente, nel 2004, entrarono altri sette nuovi membri dall’Europa orientale, vale a dire la Bulgaria, i tre Paesi baltici, la Romania, la Slovacchia e la Slovenia. Nel 2009 poi fu la volta di Albania e Croazia, seguite infine da altri due paesi nati dalla frammentazione jugoslava, ossia il Montenegro nel 2017 e la Macedonia del Nord nel 2020.
Non serve una cartina geografica per capire che questo processo è percepito dalla Russia come una minaccia. È opportuno comunque sottolineare che queste varie fasi di allargamento a est hanno spostato l’asse politico dell’Alleanza. Fino ad almeno il 1999 infatti l’asse franco-tedesco, caratterizzato da una posizione di maggiore prudenza, controbilanciava l’approccio più guerrafondaio rappresentato dall’asse Londra-Washington[1]. L’ingresso nel Patto Atlantico di paesi animati da un viscerale odio antirusso, come la Polonia e le repubbliche baltiche[2], ha conferito alla NATO una connotazione maggiormente bellicistica: non a caso le due grandi fasi di allargamento, 1999 e 2004, hanno coinciso con un’intensificazione delle operazioni militari dell’Alleanza Atlantica (Serbia 1999, Afghanistan 2001 e Iraq 2003). E, sempre non casualmente, i nuovi aderenti sono quelli che hanno mostrato il maggiore entusiasmo nel sostenere ogni nuovo intervento armato.
L’adesione di ogni nuovo stato membro, dicevamo, deve essere unanimemente accettata da tutti i componenti. A quel punto inizia un percorso delineato nell’ambito di un Piano di Azione per l’Adesione (MAP), percorso che attualmente è in atto per la Bosnia-Erzegovina. Dei paesi della ex-Jugoslavia, la Serbia è stata l’unica a declinare sempre gli “inviti” di adesione alla NATO, come è ovvio per un Paese che è stato mutilato nella sua estensione territoriale e che ha ancora vivo il bruciante ricordo dei bombardamenti “democratici” e “umanitari” del 1999.
La NATO, inoltre, collabora con oltre 40 paesi, prevalentemente extraeuropei, con i quali ha istituito dei partenariati strategici e con i quali effettua periodicamente importanti esercitazioni militari. Su alcuni di essi vale la pena soffermarsi, suddividendo l’analisi per macroaree strategiche[3].
Per quanto riguarda l’area del Mediterraneo i paesi coinvolti nella collaborazione con il Patto Atlantico sono quelli del Dialogo Mediterraneo, che risale al 1994: Algeria, Egitto, Israele, Giordania, Marocco, Mauritania e Tunisia. I Paesi più attivi in tale contesto sono il Marocco (collaborazione con la missione di interposizione NATO in Bosnia e con la KFOR in Kosovo, organizzazione delle esercitazioni militari REGEX nel 2020), e la Giordania (contingente KFOR in Kosovo, partecipazione alle operazioni militari ISAF in Afghanistan nel 2001 e operazione Unified Protector in Libia nel 2011, oltre ad aver ospitato nel 2017 le esercitazioni militari congiunte denominate REGEX).
Per quanto riguarda i Paesi dell’area del Golfo, l’Iniziativa per la Cooperazione di Istanbul (ICI), nata nel 2004, rappresenta l’interfaccia di collegamento tra i Paesi alleati degli Stati Uniti (ossia quelli appartenenti al Consiglio della Cooperazione del Golfo) e la NATO. Il Bahrein ha inviato un proprio contingente nell’ambito della missione ISAF in Afghanistan; il Kuwait ha concesso alle truppe NATO il permesso di spostarsi liberamente sul proprio territorio; il Qatar ha partecipato all’aggressione militare della Libia nel 2011; gli Emirati Arabi hanno partecipato all’operazione militare in Afghanistan, inviando anche un contingente con le forze ISAF nel 2008, e hanno partecipato all’operazione militare contro la Libia del 2011.
C’è poi tutta una serie di iniziative chiamate Partenariato per la Pace (PfP), le quali coinvolgono singolarmente molti Paesi facenti parte di quello che la geopolitica anglosassone definisce il Rimland eurasiatico, ossia la fascia che circonda lo Heartland, il vero e proprio cuore del mondo. Tra i vari Paesi partecipanti, vanno menzionati tutti i Paesi dell’Asia centrale facenti parte della Comunità di Stati Indipendenti, oltre a Georgia, Ucraina, Svezia e Finlandia.
Possiamo individuare alcune caratteristiche peculiari dell’alleanza euro-atlantica facendo riferimento a quelle elencate in un numero di “Eurasia” dedicato alla NATO, caratteristiche che fanno del Patto Atlantico un’alleanza militare sui generis[4]: innanzitutto la sua durata ormai più che settantennale, che va ben oltre la durata media di una qualunque alleanza militare nella storia recente. Non solo la NATO è sopravvissuta alla fine della divisione del mondo in blocchi contrapposti, che avrebbe dovuto privarla di senso, ma ha anzi trovato nuova linfa vitale in seguito al dissolvimento dell’URSS. Un’altra importante caratteristica è quella della limitata sovranità dei suoi membri: come risulta anche dal sommario elenco che abbiamo stilato più avanti, tutte le operazioni militari condotte non hanno fatto altro che servire gli interessi geopolitici di un’unica potenza egemone, gli Stati Uniti. Questo punto ci ricollega direttamente ad un altro importante aspetto, che è il carattere spiccatamente offensivo e bellicistico dell’Alleanza.
In un recente saggio, pubblicato anch’esso sulla rivista “Eurasia”[5], lo studioso Marco Ghisetti individua correttamente altre quattro ulteriori caratteristiche del Patto euro-atlantico, complementari a quelle elencate sinora e che ne definiscono ancor meglio le specifiche. Secondo l’autore dell’articolo, l’Alleanza Atlantica è egemonica, antidemocratica, interdipendente, antieuropea. Tutte queste peculiarità sono collegate alla posizione dominante assunta in ambito NATO da parte di Washington, che persegue obiettivi strategici di lungo periodo che sono per forza di cose divergenti, per non dire opposti, rispetto a quelli europei.
Numerosi sono i teatri di guerra che sono stati interessati dalle operazioni militari orchestrate da Bruxelles ai quattro angoli del globo, soprattutto dopo la caduta dell’Unione Sovietica. In questa sede sarà sufficiente ricordarne alcuni, in ordine cronologico.
1994: Operazione Deliberate Force: la NATO bombarda le forze serbe che assediano Sarajevo, cambiando completamente il corso degli eventi bellici, che fino a quel momento avevano visto prevalere l’esercito di Belgrado. È la prima operazione bellica condotta dalla NATO, quella che segna il vero cambio di paradigma della sua politica. Secondo le parole dell’ambasciatore USA presso la NATO, Robert Hunter, fu la Bosnia a salvare la NATO[6].
1999: Operazione Allied Force: i caccia NATO martellano la Serbia per 76 giorni. Lo scopo dell’operazione è il definitivo smembramento della Serbia e la cacciata di Milosevic. Tra gli obiettivi – non dichiarati – colpiti, l’ambasciata cinese a Belgrado.
2001: Operazione Enduring Freedom: l’obiettivo di questa operazione, scatenata subito dopo l’11 settembre ma preparata molto prima – al momento l’unica per la quale è stato invocato l’Articolo 5 del Trattato – è l’Afghanistan, snodo strategico cruciale dell’Eurasia, guidato dai non più affidabili – per l’Occidente – talebani.
2003: guerra all’Iraq. La guerra contro l’Iraq ha lo scopo di rovesciare il regime di Saddam Hussein e instaurare un governo più prono agli interessi americani. L’unico risultato ottenuto è stato gettare il paese nel caos e aver favorito la proliferazione di gruppi legati al radicalismo islamista.
2011: Operazione Unified Protector. Le bombe NATO arrivano in Africa e mirano a destabilizzare quello che è il paese più ricco del continente, ossia la Jamahiriya di Muammar Gheddafi, che ormai non fa più comodo agli interessi americani. Anche qui il disastroso bilancio finale comprende la destabilizzazione dell’intera area.
In conclusione, con questa analisi si è cercato di fornire un quadro il più possibile dettagliato dei veri obiettivi del Patto Atlantico, ossia l’accerchiamento e lo smembramento del “cuore del mondo”, costituito da quei Paesi verso il quale si è spostato l’asse strategico planetario. Tali obiettivi si sovrappongono perfettamente agli scopi della politica estera della potenza marittima americana, così come delineati da Brzezinski nella Grande scacchiera: la frammentazione dell’Eurasia eviterebbe la formazione dell’asse Mosca-Pechino-Teheran, che costituisce il peggior incubo per gli strateghi d’oltreoceano.
Vanno invece nella direzione di un’auspicabile integrazione le organizzazioni come l’alleanza militare denominata Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (OTSC), intervenuta lo scorso febbraio in Kazakistan per sedare i tumulti scoppiati nella capitale; ne fanno attualmente fanno Armenia, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan, Russia e Tagikistan. O come l’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, della quale fanno parte Cina, India, Iran, Kazakistan, Kirghizistan, Pakistan, Russia, Tagikistan e Uzbekistan.
Insomma, il mondo multipolare sembra prendere forma in maniera sempre più definita.
L’Europa, andando contro ogni suo logico interesse, ha deciso di non voler farne parte.
NOTE
[1] Cfr. a questo proposito M.D. Nazemroaya, La globalizzazione della NATO. Guerre imperialiste e colonizzazioni armate, Macro Editore, Cesena 2014.
[2] Due esempi recenti su tutti: il premier polacco richiede un coinvolgimento militare diretto della NATO in Ucraina, una richiesta sconcertante alla luce delle conseguenze devastanti che essa avrebbe (www.ansa.it 16/03/2022). Nell’ambito di un’esercitazione militare congiunta tra paesi baltici e NATO denominata “Saber strike”, il Comandante delle Forze di Difesa estoni Martin Herem ha testualmente dichiarato ai microfoni Rai: “Putin ci ha chiesto di rimuovere un battaglione NATO dai confini con la Russia, e noi lo abbiamo raddoppiato”. Non è proprio una dichiarazione distensiva. Si veda “Presadiretta: La Cina come via della pace?” (www.raiplay.it 14/03/2022).
[3] https://natolibguides.info/partnerships
[4] T. Graziani, Il Patto Atlantico nella geopolitica USA per l’egemonia globale, “Eurasia, Rivista di studi geopolitici” 1/2009.
[5] Marco Ghisetti, L’Alleanza euro-atlantica, “Eurasia, Rivista di studi geopolitici”, 1/2022.
[6] Cit. in Giacomo Gabellini, Ucraina, una guerra per procura, Arianna editrice, Bologna 2016.
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