Quella del 2010, è un’estate che in Russia, difficilmente verrà scordata. Ricordiamo tra luglio e agosto, l’imperversare nell’area occidentale del paese di incendi devastanti con almeno 368 focolai. A fine luglio le vittime accertate erano quasi una trentina, ad agosto i fumi erano arrivati a Mosca. La Russia, che è il terzo produttore mondiale di grano, ne vede sparire nel giro di poco una quantità stimata intorno a un quarto del raccolto. Nel tentativo di calmierare i prezzi interni, il 15 luglio entra in vigore un embargo sulla sua esportazione, la cui durata è prevista fino almeno al 31 dicembre. Sono seguite la paura che gli incendi si estendessero fino alle foreste di Chernobyl, contaminate dalle radiazioni, e l’imposizione del silenzio a medici e obitori sulla dichiarazione del numero effettivo di vittime.
Di tutto questo si è ampiamente parlato a mezzo stampa e ad oggi, l’autunno è arrivato e l’allarme rientrato da tempo. Meno si è parlato, del fatto che l’11 agosto, nella generale confusione, la Federazione Russa abbia sospeso i test sui missili Iskander. Gli incendi si propagavano a poco più di un centinaio di km da Mosca e il centro di ricerca di Kolomna poteva correre dei rischi. Meno chiare le ragioni che hanno portato al pressoché immediato spostamento dei missili S-300 nel territorio dell’Abkhazia.
Cos’è il Programma Iskander
Gli Iskander sono missili a lunga gittata con un raggio d’azione di oltre 500 km. Insieme al sistema di difesa aerea e anti-missilistica S-400 Triumf, fanno parte delle nuove tecnologie militari studiate per contrastare lo Scudo Spaziale americano. L’idea di Scudo Spaziale, o meglio la Strategic Defense Initiative nasce nel 1983 con Ronald Reagan, e trova le sue ragioni in un contesto, all’epoca, dominato dalla Guerra Fredda.
A quasi trent’anni di distanza, equilibri geopolitici e priorità sono cambiati: l’11 settembre 2001, la Global War on Terrorism e la nascita di nuovi fronti in Afghanistan e Iraq, hanno portato gli Stati Uniti a spostare timori e attenzioni verso l’asse dei cosiddetti stati canaglia. Questa, ufficialmente, la ragione che ha portato nell’agosto del 2008 a siglare un accordo con Polonia e Repubblica Ceca per l’installazione, nei loro territori, di basi di sistema di difesa anti-missilistica. Restano ovviamente dei dubi leciti circa l’effettiva coerenza tra la misura adottata e lo scopo dichiarato, a meno che il programma di installazione missilistica non nasconda invece altre ragioni, di natura strategica.
Solo una manciata di giorni prima infatti, l’8 agosto, la Russia di Medvedev attaccava la Repubblica transcaucasica della Georgia, rea di aver oltrepassato i confini della ribelle Ossezia Meridionale, invaso la capitale, devastato villaggi. Seguiva la smentita del presidente georgiano Saakishvili e l’ accusa alla Russia di attacco indiscriminato.
Le dinamiche non sono effettivamente mai state chiarite. Resta comunque difficile pensare che l’accelerata americana sullo schieramento dei missili balistici in territorio Ceco e Polacco, sia completamente slegata dalla crisi caucasica e dal massiccio ricorso russo alle armi.
Solo anno dopo, nel gennaio 2009, il contesto geopolitico era già nuovamente mutato. Il neo-eletto presidente americano Barack Obama non sembrava più intenzionato a installare le difese anti-missilistiche in territorio ceco e polacco, e Mosca decise così di sospendere il dispiegamento di missili nel territorio di Kaliningrad (tra Polonia e Lituania).
Perché dunque, in un momento in apparenza fertile per la distensione dei rapporti, spostare gli S-300 in Abkhazia? Cioè in una regione dalle forti spinte indipendentiste, alle porte della filo-americana Georgia e della filo-russa e sempre tumultuosa Ossezia?
Uno sguardo su Abkhazia, Ossezia e Georgia (*)
Conosciuta in epoca sovietica come Repubblica socialista sovietica georgiana, la Georgia si è dichiarata indipendente nel 1991. Insieme ad Armenia e Azerbaigian fa parte delle Repubbliche indipendenti del Caucaso Meridionale.
Le regioni di Abkhazia e Ossezia del Sud, con essa confinanti, da tempo si appoggiano alla vicina Russia nel tentativo di liberarsi completamente dall’influenza georgiana. Pur con le rispettive peculiarità, in entrambi i casi si può parlare di regioni su cui la Georgia rivendica la propria autorità, ma indipendenti de facto.
Pur mantenendo Abkhazia e Ossezia Meridionale quali interlocutori privilegiati nel Caucaso del Sud, fino a tempi recenti Mosca ha sempre badato a non sbilanciarsi eccessivamente. Questa politica ambigua è riconducibile alla difficoltà di mantenere saldo il controllo su un impero multietnico, e in secondo luogo all’esigenza di mantenere aperte le porte della diplomazia con paesi come Georgia e Azerbaigian, grandi protagonisti dei nuovi scenari in politica energetica.
In questo senso, le inaugurazioni della pipeline Baku-Supsa nel 1999, e della Baku-Tblisi-Cheyan nel 2006, non hanno certo contribuito a una distensione dei rapporti. Queste linee infatti coinvolgono rispettivamente Azerbaigian e Georgia, e Azerbaigian, Georgia e Turchia, by-passando completamente grandi interlocutori come Armenia, e soprattutto Russia e Iran.
Che un deterioramento dei rapporti senza appello tra Russia e Georgia fosse già in atto, era stato già esplicitato dalle elezioni georgiane del 2004, con la clamorosa ascesa al potere del favoritissimo Mikheil Saakishvili nell’ambito della cosiddetta Rivoluzione delle Rose.
Ampliando il quadro, si può dire che il biennio 2004-2005 è stato segnato dalle rivoluzioni più significative di questo nuovo secolo. La già citata Rivoluzione delle Rose in Georgia, l’onda della Rivoluzione Arancione all’indomani delle presidenziali ucraine, la Rivoluzione dei Tulipani in Kirghizistan, e il tentativo abortito di rivoluzione in Moldavia.
Il desiderio di distacco delle ex Repubbliche sovietiche dalla sfera d’influenza russa, all’insegna di un progressivo spostamento politico e ideologico verso ovest, sembrava inarrestabile. Difficilmente Mosca poteva non sentirsi minacciata.
Anche a questi elementi, e all’appoggio costante degli Stati Uniti alla tendenza al distacco dall’ex URSS, è da ricondurre lo scoppio del conflitto-lampo del 2008, e l’esacerbarsi generalizzato dei rapporti Russia-Georgia.
I Missili di Ieri e quelli di Oggi
La questione del programma missilistico Iskander in contrapposizione alla Strategic Defense Initiative, ricorda scenari che pensavamo di esserci lasciati alle spalle con la caduta del Muro di Berlino. Anzi, un attimo prima.
Risale al 1987 il trattato INF tra Ronald Reagan e Mikhail Gorbačëv. Con esso, si metteva la parola fine alla questione degli Euromissili.
Si trattava ai tempi, di missili nucleari installati da USA e URSS su territorio europeo. Il conflitto era freddo, ma dichiarato, si trattava di una sfida tra le due superpotenze che ha poco a che fare con la composita situazione geopolitica attuale, ricca peraltro di elementi e agenti nuovi.
Inoltre, la corsa agli armamenti degli anni ’70-’80, è stato uno degli elementi che hanno concorso al logoramento dell’economia russa, e ad accelerare il percorso verso lo sfascio dell’Unione Sovietica. Difficile immaginare, anche dopo il pesante colpo inferto dagli incendi estivi, che la Russia di Medvedev e Putin possa arrivare a trovarsi in una analoga situazione.
A poco più di vent’anni di distanza, sembra comunque che quella chiusura sia stata portata avanti più su un piano teorico che pratico. La rincorsa agli armamenti e la ricerca militare non sono mai cessate, così come la conquista di nuovi spazi strategici in cui inserire basi militari.
Conclusioni
Per quanto sia azzardato parlare di una seconda Guerra Fredda, i segnali sembrano quelli di una politica fatta ancora in buona parte con lo schieramento contrapposto degli armamenti e portata avanti grazie agli strascichi di quella teoria della Distruzione Mutuale Assicurata che accompagnò la storia degli Euromissili.
La sempre presente, e attualmente irrealistica, aspirazione della Georgia ad affermarsi come potenza autonoma e ad entrare nell’Unione Europea; i movimenti interni che vedono Abkhazia e Ossezia del Sud spingere per slegarsi ufficialmente dalla Georgia e, nel caso dell’Ossezia del Sud, tornare a far parte della Federazione Russa; la presenza, sin dal 2002, di militari americani in territorio georgiano, sono tutti elementi che concorrono a mantenere la situazione in uno stato di stallo e tensione.
Anche se la situazione in Abkhazia non è chiara, il fatto che Mosca oggi abbia deciso di spostare i suoi S-300 in territorio caucasico, dimostra che gli apparenti presupposti di distensione non hanno ancora una base solida. E difficilmente potrebbero averla, dato il frammentato panorama transcaucasico, per affrontare il quale sembra ancora non esistere un piano politico preciso che non preveda risvolti militari.
(*) Per le note storiche relative alla Georgia si veda “Caucaso. Popoli e conflitti di una frontiera europea”, Aldo Ferrari, Edizioni Lavoro.
* Ginevra Lamberti è laureanda in Lingue e Culture dell’Eurasia e del Mediterraneo (Università Ca’ Foscari di Venezia)
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