George Friedman, il direttore di “Stratfor”, ha pubblicato di recente un lucidissimo e importante articolo (1) che prende in esame la strategia della Germania alla luce sia del mutamento del quadro geopolitico dopo la scomparsa dell’Unione Sovietica (scomparsa che ha reso possibile la riunificazione della Germania), sia dell’attuale crisi economica di Eurolandia.

Secondo Friedman, la struttura dell’Europa occidentale, formatasi dopo la Seconda guerra mondiale e consolidatasi con la creazione dell’Unione europea, potrebbe essere sul punto di giungere alla fine, anche se al riguardo fondamentali saranno le scelte strategiche della Germania. Cioè di un Paese, nota Friedman, che non riuscì a sconfiggere, nella Grande Guerra, la Francia – e, di conseguenza, ad evitare di combattere su due fronti contemporaneamente – e, nella Seconda guerra mondiale, la Russia, permettendo ancora una volta agli Stati Uniti di essere l’ago della bilancia («In both wars, the strategy [si intende la strategia tedesca] failed. In World War I, Germany failed to defeat France and found itself in an extended war on two fronts. In World War II, it defeated France but failed to defeat Russia, allowing time for an Anglo-American counterattack in the west») .Una difficoltà, quella di trovare per la Germania un “equilibrio geostrategico” tra Est ed Ovest, che si presenta nuovamente come la più importante questione in Europa e probabilmente nel mondo («is certainly the most important question in Europe and quite possibly in the world»). La Germania infatti, osserva Friedman, se a causa della sua debolezza politica (dovuta a ragioni storiche troppo note per dover essere spiegate), ha necessità dell’Europa per crescere e svilupparsi, non può non tendere ad espandersi economicamente verso Est (tanto più che l’economia tedesca dipende in buona misura dalle esportazioni). Una “tendenza” che è diventata ancora più forte per la presenza di nuovi “attori geoeconomici” come i Brics, il Gruppo di Shanghai e l’Unione eurasiatica, ma in particolare, come giustamente sottolinea Friedman, per il fatto che, se la Russia ha bisogno della tecnologia tedesca, la Germania ha bisogno delle risorse energetiche russe.

Nondimeno, i tedeschi, pur sapendo sfruttare l’introduzione dell’euro per realizzare un eccezionale attivo della propria bilancia commerciale, non hanno saputo (né voluto, pur avendone la possibilità, si dovrebbe aggiungere) impedire che le nuove dinamiche economiche penalizzassero i Paesi europei mediterranei, che adesso devono pure fronteggiare la crisi bancaria e dei debiti sovrani, generata dalla crisi finanziaria del 2008. Il che ha spinto la Germania, per difendere l’euro e la stessa Unione europea, ad imporre misure di austerità e di rigore alle cosiddette “cicale europee”, basandosi essenzialmente sulla convinzione che la crisi del debito dei “Piigs” (Portogallo, Irlanda, Italia, Spagna e Grecia) sia “soltanto” la conseguenza della cattiva gestione della spesa pubblica e dell’inefficienza dei governi di tali Paesi. Perciò, spiega Friedman, è inevitabile che non solo si allarghi sempre più la forbice tra la Germania e i “Piigs”, ma che la politica della Germania venga considerata una grave minaccia alla sovranità degli altri Paesi europei, dato che è convinzione diffusa che la Germania cercherebbe unicamente di tutelare i propri interessi e addirittura di dominare l’intero continente europeo tramite l’economia. Pertanto, a giudizio di Friedman, è difficile capire come nel lungo periodo gli europei possano superare le loro divisioni, anche se, prima o poi, “il nodo verrà al pettine” («it is difficult to see how, in the long term, the Europeans can reconcile their differences on this issue. The issue must come to a head, if not in this financial crisis then in the next — and there is always a next crisis»).

D’altra parte, anche sotto il profilo politico-militare, nota il direttore di “Stratfor”, la Germania rappresenta una incognita, anche perché, oltre alle difficoltà di carattere politico ed economico che devono essere affrontate da una Nato “logorata” da continui interventi militari, la Germania ha mostrato di non avere intenzione (né necessità) di sostenere la politica di potenza su cui si fonda la strategia statunitense – una politica, tra l’altro, che la Russia ritiene pericolosa per la propria sicurezza nazionale. Inoltre, il rapporto tra la Germania e l’Unione Europea è soggetto a tensioni così forti da non potersi escludere che i tedeschi cerchino una soluzione alternativa, sebbene sia innegabile che la Germania debba (e voglia) mantenere buoni rapporti con la Francia. Per Friedman, quindi, è logico che per Berlino l’ideale sarebbe dar vita ad una intesa russo-franco-tedesca. Sicché non ci si deve stupire che attualmente la Germania sia impegnata a difendere l’Unione europea e i suoi rapporti con la Francia, ma al tempo stesso anche a far sì che la Russia si avvicini il più possibile all’Europa («Germany’s current strategy is to preserve the European Union and its relationship with France while drawing Russia closer into Europe»). Ovviamente, non è un’impresa facile e la crisi economica di Eurolandia la rende ancora più difficile. Comunque sia, Friedman conclude affermando che, poiché il rapporto tra la Russia e la Germania è un dato di fatto ed è destinato a diventare più solido con il passare del tempo, la Germania non potrebbe non decidersi per una alleanza strategica con la Russia, nel caso che l’Unione europea dovesse indebolirsi o sfaldarsi.

A questo proposito, è degno di nota che Friedman, in un articolo che prende in esame la strategia degli Usa, (2) dopo aver osservato che, mentre l’Europa rischia di sfasciarsi, la Germania potrebbe difendere meglio i propri interessi rafforzando le relazioni con la Russia, asserisca che in tal caso la “contromossa” migliore per gli Stati Uniti sarebbe nel sostenere la Polonia, che separa fisicamente la Germania dalla Russia, insieme con altri alleati chiave in Europa e che in realtà è ciò che gli Usa stanno facendo, benché con molta cautela («The American counter here is to support Poland, which physically divides the two, along with other key allies in Europe, and the United States is doing this with a high degree of caution»). D’altra parte, è lo stesso Friedman a riconoscere che l’Europa non solo non la si può controllare militarmente ma che, nel lungo periodo, rappresenta per gli Stati Uniti il pericolo più serio (“Europe is not manageable through military force, and it poses the most serious long-term threat”). Giudizio che Friedman esprime anche nell’articolo sulla Germania rilevando che, anche se gli Stati Uniti sono ancora la potenza predominante, la combinazione di tecnologia tedesca e risorse russe (un “sogno” di molti in passato), costituirebbe una “sfida a livello globale” («The United States is currently the dominant power, but the combination of German technology and Russian resources – an idea dreamt by many in the past – would become a challenge on a global basis»).

Si tratta di considerazioni, a nostro avviso, in larga misura condivisibili e che confermano che la “questione tedesca” è ben lungi dall’essere risolta, dato che essere una grande potenza geoeconomica ma non essere una potenza geopolitica è, in un certo senso, una contraddizione in termini. Una contraddizione che la Germania potrebbe risolvere favorendo la “crescita” di un autentico soggetto politico europeo, mentre – pur ammettendo che abbia il “diritto” e il “dovere”, in quanto Paese leader di Eurolandia, di esigere il “licenziamento” di classi dirigenti inette, come quella greca e quella italiana – si è ben guardata (finora) dal contrastare l’azione dei “mercati”, ossia di quei centri di potere che stanno già operando, come lascia intendere il direttore di “Stratfor”, per impedirle di svolgere un ruolo geopolitico a livello mondiale. Il che evidenzia la miopia strategica della Germania, che ritiene di poter conservare il ruolo di grande potenza geoeconomica, pur astenendosi dal prendere posizione riguardo alle “vicende geopolitiche”(comprese quelle che vedono la Russia contrapporsi agli Usa). Agendo così, peraltro, i tedeschi sembrano pure non prendere in considerazione che i centri potere atlantisti non avrebbero grande difficoltà a “sconfiggere” la stessa Germania, una volta che venisse isolata dal resto dell’Europa.

Perciò non è azzardato affermare che ancora una volta il destino dell’Europa pare essere nelle mani dei tedeschi, soprattutto se si tiene conto che l’indipendenza dell’Europa continentale e la costruzione di una alternativa all’unipolarismo atlantista presuppongono una alleanza strategica tra Europa occidentale e Russia – una alleanza che non potrebbe non essere imperniata sul ruolo chiave della Germania in quanto (unica) grande potenza geoeconomica europea. Vale a dire che la Germania avrebbe l’opportunità di fare una scelta opposta a quella che fece nel giugno del 1941, qualora riconoscesse che la strada che conduce ad una stabile e proficua alleanza strategica con la Russia passa di necessità (anche) attraverso il Mediterraneo, come gli angloamericani, al contrario dei tedeschi, hanno compreso benissimo da lunga data. In ogni caso è certo, se l’analisi di Friedman è corretta, che i prossimi anni, se non i prossimi mesi, ci diranno se la classe dirigente tedesca è sufficientemente matura sotto il profilo geostrategico per lasciarsi alle spalle la storia del Novecento. Ossia, a nostro giudizio -che sotto questo punto di vista non può non essere diverso da quello di Friedman – se saprà agire in un’ottica non atlantista, bensì veramente europea.


NOTE:

1) G. Friedman, The State of the World: Germany’s Strategy (http://www.stratfor.com/weekly/state-world-germanys-strategy).
2) G. Friedman, The State of the World: Explaining U.S. Strategy (http://www.stratfor.com/weekly/state-world-explaining-us-strategy).


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Fabio Falchi ha compiuto studi filosofici. Nel 2010 ha iniziato una fruttuosa collaborazione con "Eurasia. Rivista di studi geopolitici" e col relativo sito informatico, pubblicando diversi articoli e saggi in cui vengono tracciate le linee di una "geofilosofia" dell'Eurasia. Accogliendo la prospettiva corbiniana dell'Eurasia quale luogo ontologico della teofania, l'Autore ambisce a fare della posizione geofilosofica il grado di passaggio a quella "geosofica". Un tentativo di tracciare una sorta di mappa storico-geopolitica e metapolitica dei conflitti dall'antichità fino ai nostri giorni è costituito da Il Politico e la guerra (due volumi, 2015-2016); una nuova edizione di quest'opera, Polemos. Il Politico e la guerra dall'antichità ai nostri giorni, è disponibile sul sito "Academia.edu". Nel 2016, infine, è apparsa la sua opera più recente, Comunità e conflitto. La Terra e l’Ombra.