L’arresto del sindaco di Istanbul, Ekrem İmamoğlu, accusato di gravi reati (corruzione, sostegno al terrorismo PKK) ha riportato l’attenzione dei media sulla Turchia secondo modalità che non sono nuove. Sembrano infatti prevalere il pregiudizio ideologico e un tifo da stadio in una situazione sulla quale sarebbe opportuna l’attesa non disgiunta dall’analisi.
Premesso che il Tribunale di Istanbul ha archiviato – ritenendole evidentemente infondate – le accuse riguardanti il favoreggiamento del terrorismo, sulle altre contestazioni mosse dalla Procura risulta veramente prematuro esprimersi, se non facendo atto di fede nelle affermazioni dell’accusa o della difesa. Reati come costituzione e gestione di organizzazione criminale, accettazione di tangenti, estorsione, registrazione illegale di dati personali, manipolazione di offerte finanziarie devono essere compiutamente dimostrati. Oltre al sindaco di İstanbul (affermatosi in tale città primo cittadino nel 2019 e confermatosi nel 2024) sono coinvolti nell’inchiesta molti suoi collaboratori, a più livelli.
İmamoğlu ha parlato – così come gli altri esponenti del suo partito, il kemalista CHP, di “accuse infondate e immorali”, di autentico “colpo di Stato” tendente a mettere fuori gioco il principale oppositore di Erdoğan; il ministro della Giustizia ha sottolineato che in Turchia “i tribunali sono liberi e indipendenti dal governo”, mentre il presidente Erdoğan ha accusato l’opposizione di cercare di creare un’atmosfera di tensione e di caos.
Fra gli altri, abbiamo trovato equilibrato l’atteggiamento dello Yeniden Refah Partisi, che a proposito della vicenda İmamoğlu ha commentato in un suo comunicato ufficiale: “Se c’è un crimine, saranno gli organi giudiziari indipendenti a valutare – non siamo dalla parte di nessuno, se non della giustizia e della legge (…) cercare di eliminare i rivali politici elettorali con metodi e comportamenti oppressivi non è compatibile con alcun livello etico”. Viene in effetti da pensare a un altro fatto verificatosi a gennaio di quest’anno, allorché fu arrestato per “insulti al presidente” e “incitamento all’odio e all’ostilità” (siamo nel campo dei reati di opinione) Ümit Özdağ, segretario del piccolo Zafer Partisi e fondatore nel 1999 dell’Avrasya Stratejik Araştırmalar Merkezi (ASAM).
Tornando al caso del sindaco istanbuliota, c’è da rilevare che, una volta di più, la grande stampa italiana e occidentale si è già schierata contro l’“autocrate” Erdoğan, valutando le accuse della Procura come attività pretestuose imposte dal presidente-dittatore e prescindendo da ogni analisi concreta. Così, quando la magistratura metteva fuori legge partiti – anche di maggioranza! – filoislamici, per non dire di quelli di ispirazione curda, il silenzio era quasi totale e le giustificazioni “democratiche” non mancavano, a difesa della “laicità dello Stato”; oggi invece si grida, strumentalmente, alla dittatura e alla sopraffazione.
Nel frattempo la situazione economica turca rimane preoccupante: secondo i dati dell’Unione delle Camere di Commercio le aziende chiuse nel 2024 sono aumentate del 21,4 % rispetto all’anno precedente, mentre ogni giorno mediamente 300 commercianti al giorno chiudono la loro attività. La politica dei bassi salari (e pensioni) praticata dal governo ha inoltre depresso notevolmente la domanda sul mercato interno. Quanto al piano internazionale, la stabilità della Siria è ben lungi dall’essere realizzata e la divisione etnica e settaria premia – come avevamo già avuto modo di sottolineare – gli interessi israeliani, non quelli turchi: Ankara può subirne gravissimi contraccolpi. Ricordiamo a questo proposito la premonizione di Necmettin Erbakan: “Se la Siria e l’Iraq saranno divisi e spezzettati, poi toccherà all’Iran e alla Turchia”. In questo senso, ogni propaganda occidentale antiturca finisce per essere funzionale a quel piano di disintegrazione e di frammentazione che è già in atto da anni.
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