Geostrategie.com – Il generale Ratko Mladić è stato arrestato nei pressi di Belgrado. Cosa cambierà ora per la Serbia?
Yves Bataille – I Sanhedrin di La Haye avranno un nuovo ospite, ovviamente serbo. Il rituale dell’arresto e della liberazione degli esponenti della resistenza serba è arrivato a una conclusione. Il vecchio capo di stato maggiore dell’Armata della Repubblica Srpska, il generale Ratko Mladić, è l’ultima grande figura ricercata dalla “giustizia internazionale”. Il governo attuale della Serbia, che è stato rimproverato di non aver fatto abbastanza per fermare il generale Mladić, riceverà un buon incentivo dall’Unione Europea e dagli Stati Uniti ma sarà ancora più esecrato dai Serbi. Ciò rafforzerà il punto di vista di quelli che considerano il governo di Boris Tadić un governo di traditori.
G – Sono stati lanciati degli appelli a scendere in strada. Ci saranno delle manifestazioni?
YB – Nel momento in cui vi parlo sono già incominciate. Bisognerà fare attenzione ai prossimi quindici giorni, perché questi avvenimenti, congiunti ad altri, potranno far scendere in strada un cordone di protesta senza precedenti.
La dichiarazione dell’”indipendenza” del Kosovo ha provocato delle manifestazioni di massa nelle strade. Ci ricordiamo che è stato dato fuoco all’ambasciata americana e ai McDonald’s. Quando l’UE ha voluto imporre il suo “Gay Pride”, migliaia di giovani serbi sono scesi in strada e hanno affrontato con determinazione la polizia ed i gendarmi. Oggi quattro elementi si congiungono per stimolare nuove manifestazioni: quello dell’anniversario dei 78 giorni di bombardamenti NATO contro la Repubblica Federale di Yugoslavia (RFY) del 1999, quello dei bombardamenti della NATO contro la Libia, l’annuncio di una riunione generale (nuovamente a Lisbona) della NATO a Belgrado il 13, 14 e 15 giugno, e infine l’arresto del generale Mladić. Tutti quanti fattori politici e emozionali in grado di alimentare una contestazione politica radicale. In seguito ai bombardamenti e all’annuncio della riunione della NATO, la Serbia era già seduta su una polveriera. L’incarcerazione del generale Mladić è un fattore che aggrava il rischio. Il governo lo sa, e perciò ha rafforzato le misure di sicurezza davanti al Parlamento, alla radio, alla televisione e alle ambasciate occidentali.
G – Lei è molto impegnato nell’azione di sostegno alla Serbia. Che cosa intende per “cordone di protesta senza precedenti” e “assisteremo a nuovi sconvolgimenti”?
YB – La piazza pubblica e la strada sono oggigiorno il terreno privilegiato di un’azione, ma di un’azione marcata dalla novità dell’utilizzo di risorse sociali come Internet, Facebook e Twitter, armi del nemico che si sono rivoltate contro di lui. Il gruppo di Facebook “Support for Muammar Gaddafi from the people of Serbia”, che ha superato i 70.000 iscritti, ha già fatto scendere in strada migliaia di manifestanti. Si sta creando una coscienza. I più lucidi dicono che non è più opportuno negoziare l’avversione, ma la si deve inquadrare. Le manifestazioni che non ne hanno prodotte altre sono prive d’interesse. Conviene infierire colpi al regime e per questo è necessario rispondere a una coordinazione, l’unità alla base e all’interno dell’azione contro il regime e contro il Sistema. La situazione sembra matura per applicare la famosa dinamica azione-repressione-nuova azione. La repressione promessa da un governo che ha affermato di non sopportare i disordini provocati porterà a nuove manifestazioni. Alcuni dicono che non ci si deve comportare come dopo l’attacco dell’ambasciata americana, cioè fermarsi. Al contrario questa volta si dovrà andare avanti e ancora avanti, fino allo scontro finale, fino alla rottura. Slobodan Homen, il commissario politico dell’ambasciata americana al governo ha capito che si moltiplicano le minacce contro i nazionalisti. Homen è un vecchio membro di OTPOR, il gruppo studentesco di opposizione a Slobodan Milosević creato dalla CIA.
Le prime manifestazioni hanno avuto luogo dopo l’annuncio dell’arresto del generale Mladić. A Belgrado la polizia ha disperso dei gruppi che convergevano verso Piazza della Repubblica, luogo abituale delle proteste. A Novi Sad si sono creati degli scontri tra un migliaio di manifestanti guidati dai nazionalisti di Obraz e dal 1389 e la polizia.
G – Come si può associare il sostegno alla Libia con quello al generale Mladić?
YB – Ci si può stupire per la mobilitazione serba per la Libia, ma vi è una spiegazione. I Serbi non hanno dimenticato l’aggressione al loro paese. È per questo che si mostrano solidali a una Libia attaccata dagli stessi nemici e con i medesimi procedimenti. Come ha detto uno psicologo, dal 19 marzo i Serbi si sono identificati con gli aggrediti. C’è anche un altro fattore che si conosce meno a Parigi, e cioè gli antichi legami tra i due paesi. La Serbia mantiene l’eredità di una relazione instauratasi pochi anni fa nel quadro del Movimento dei Paesi non-allineati (MNA). Nel 1999 la Libia di Gheddafi ha sostenuto i Serbi e in seguito si è rifiutata di riconoscere l’”indipendenza” del Kosovo.
Sulla Libia, sulla NATO, sull’Europa di Bruxelles, tutti gli autentici movimenti nazionalisti e socialisti sono sulla stessa lunghezza d’onda. Questa univoca opposizione ha portato alla convergenza di forze che, in altri paesi, sono concorrenti o antagoniste. È una specificità serba. Lì un socialista internazionale sarà sempre più vicino a un nazionalista che a un liberale atlantista. La scissione non è tra una destra e una sinistra ma tra i difensori del popolo e della nazione e i collaboratori dell’Occidente (Stati Uniti, Unione Europea, NATO etc.). Inoltre il campo della politica è stato incredibilmente scosso. Si allontana dal Parlamento giorno dopo giorno, il che non impedisce ad alcuni gruppi nazionalisti di raccogliere firme per entrarvici. Sono nati dei sindacati rivendicativi, il numero di associazioni culturali e studentesche aumenta come quello di gruppi patriotici, che formano il sottobosco di un movimento più vasto.
Il Movimento extra-parlamentare si pone come portavoce del popolo e della nazione contro il regime collaborazionista di Boris Tadić. I membri del governo sono visti come traditori imposti dal nemico e che agiscono contro il paese. Alle elezioni del 2008 i socialisti dell’SPS hanno salvato Tadić sostenendo il governo, ed è stata organizzata una scissione all’interno del Partito radicale serbo (SRS) per indebolirlo. Quest’ultimo si è infine rinforzato con la scomparsa di scena degli elementi che stavano alla base di tale scissione (Nikolićt, Vucić) e degli ex scissionisti e non dei minoritari, come il generale Božidar Delić, i quali hanno poi rinforzato i ranghi dell’SRS.
Il generale Mladić è presentato in Occidente come un “criminale di guerra”, colui che ha assassinato 8.000 musulmani bosniaci a Srebrenica. Ci fanno credere che sotto la sua direzione i Serbi si sono abbandonati ad un massacro. Oggi la documentazione è sufficientemente importante da rendersi conto che non si tratta che di propaganda di guerra. A Srebrenica e nei dintorni sono stati uccisi tanti Sebi quanti musulmani bosniaci (circa 3.000 per entrambe le parti). La mediatizzazione del “massacro di Srebrenica” è della stessa natura di quella che ha portato a dire due mesi fa che Gheddafi ha bombardato la sua gente con gli aerei. Ci si inventa ogni volta un massacro per poter poi giustificare i veri massacri, quelli della NATO. In Bosnia i moujahidin afghani importati dai servizi anglosassoni con l’aiuto dell’esercito turco hanno giocato lo stesso ruolo degli “insorti” islamici di Bengasi. D’altronde si è tentato poco tempo fa di creare a Misurata la medesima messa in scena di Srebrenica, ma questa non ha funzionato (pensando alla storia delle bombe a frammentazione si sa che sono state sganciate dalla NATO).
G – Qual è il ruolo degli intellettuali serbi nel movimento di protesta?
YB – La Serbia è un paese dove esistono ancora degli intellettuali, vera gente di cultura. Non come in Francia, dove dei “citrulli pomposi” detengono il monopolio della diffusione delle idee e discutono tra di loro su tutti i canali televisivi per dire tutti la stessa cosa. In Serbia gli Americani hanno fallito nella loro offensiva sul Fronte culturale. Con la Fondazione Soros, essi hanno sì provato a comprare l’Unione degli Scrittori, ma non ci sono riusciti. Essi hanno speculato sulla povertà degli scrittori, sul loro disperato bisogno di denaro. Il solo ambito in cui sono riusciti a fare qualcosa tramite i media (soprattutto la televisione) che controllano, è quello della diffusione della subcultura di massa democratica occidentale a base anglosassone. I concerti rock, la diffusione dei reality televisivi. Essi sovvenzionano la promozione di questi elementi di disturbo, pagano le ONG, finanziano i siti internet. Gli Americani sono stati fino ad oggi molto generosi con le loro quinte colonne. I Russi sono incapaci di fare la stessa cosa. Quindi senza i russi, ai quali non si deve dare un assegno in bianco perché sono slavi ortodossi… il popolo serbo manifesta sempre la sua preferenza per le canzoni e le danze tradizionali, la musica bizantina, i canti sacri. Per ciò che viene dall’alba dei tempi e ricorda l’epopea. Moderno ma tipicamente serbo, il Festival delle Trombe di Guča, che riunisce ogni anno in un piccolo villaggio decine di migliaia di partecipanti, ha raggiunto una fama mondiale, per nient’altro che la sua qualità mentre la voga dei canti ortodossi, bizantini e neo-pagani non smette di aumentare. Questa affermazione culturale esplica la vitalità del movimento politico extra-parlamentare irrigato dalle idee trascinanti delle resistenza popolare.
Un esempio della sinergia tra cultura e politica: quando dopo le manifestazioni contro il provocatore Gay Pride il capo del Movimento Obraz e venti dei suoi compagni sono stati imprigionati, centinaia di scrittori, poeti e gente dello spettacolo hanno firmato una petizione per chiedere la loro liberazione. È molto attuale vedere degli intellettuali legati al movimento nazional-patriottico pertecipare a riunioni e manifestazioni di strada o addirittura capeggiarle.
C’è un fossato abissale tra la coscienza nazionale espressa dagli intellettuali serbi e i leader d’opinione occidentali. Dopo l’arresto del generale Mladić, la stampa occidentale ci ha riproposto i cliché che ci propina da quindici anni. Nessuna oggettività e sempre lo stesso vocabolario ostile. Si è fatto resuscitare questo linguaggio come scongelandolo. Giornalisti e politici si felicitano dell’arresto del “macellaio dei Balcani” (il titolo di una futura edizione della televisione de “la 2”) e evocano i benefici terapeutici del tribunale di La Haye. La stampa industriale continua a rimarcare quest’opinione e a ripetere queste menzogne. Credendo di vedere nell’“arresto di Mladic” (come dice) la fine di una storia, questo mezzo superficiale e artefatto non si rende conto che l’arresto del generale Mladić non mette fine al combattimento. La guerra continua con un movimento politico-sociale di contestazione generale che è la Nuova Resistenza Popolare all’azione e il movimento vittorioso di domani.
Yves Bataille, esperto conoscitore della Serbia, consigliere del movimento serbo SEDEP, co-autore de La lotta per il Kosovo (Edizioni all’Insegna del Veltro, Parma 2007), è membro del Comitato scientifico di Eurasia. Rivista di Studi Geopolitici (Italia).
Traduzione di Alessandro Parodi
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