Le testate giornalistiche nostrane hanno subito titolato: “una vittoria a sorpresa” [1]. Ad uscire vincitore dal ballottaggio non è stato il presidente uscente Boris Tadic, del quale i sondaggi della vigilia avevano data per certa la rielezione [2], ma il rivale conservatore Tomislav “Toma” Nikolic, capo del Partito del Progresso Serbo, nazionalista che in tempi recenti ha vestito i panni dell’europeista. La crisi che attanaglia il continente europeo ha mietuto dunque un’altra vittima: Boris Tadic, del quale Bruxelles avrebbe visto con favore una terza nomina consecutiva. Ricordiamo che la Serbia, candidata all’ingresso nella UE, ha instaurato buoni rapporti con la Croazia e la Bosnia, ha fatto passi avanti nei rapporti con il Kosovo ed ha permesso che Radovan Karadzic, Ratko Mladic e Goran Hadzic fossero consegnati al Tribunale Internazionale. Tadic ha chiesto ufficialmente scusa al governo di Sarajevo per il massacro di Srebrenica compiuto dal generale serbo Mladic.

Se si riporta l’esito elettorale nel contesto attuale in cui versa la Serbia, il risultato non può essere catalogato sotto l’etichetta “sorpresa”: come dichiarato dallo sconfitto Boris Tadic, “nessuno in Europa in questi quattro anni è rimasto al potere dopo le nuove elezioni”. [3] D’altronde la linea politica di Tadic ha fallito: con un tasso di disoccupazione che tende al 25%, con una perdita di quattrocentomila posti di lavoro a fronte della promessa di incremento di duecentomila unità lavorative, con una economia in difficoltà, con le paghe e le pensioni che hanno raggiunto il livello più basso, con la svendita delle banche nazionali a favore dei grandi gruppi esteri e con un progressivo innalzamento dei livelli di indebitamento (circa 32 milioni di euro di debito in mano a paesi esteri), era prevedibile che l’elettorato serbo lo avrebbe punito al momento del voto. A Tadic non sono bastate le foto scattate insieme all’idolo nazionale e numero uno del tennis mondiale Novak Djokovic, né la consegna nelle mani del Tribunale Internazionale dell’Aja dell’ultimo criminale di guerra da tempo ricercato, Ratko Mladic, per ottenere il rinnovo del mandato.

La Serbia ha scelto Tomislav Nikolic che ha vinto con il 49,8% dei voti a favore (47% Tadic). Il forte astensionismo (ha votato solo il 46% degli aventi diritto) è stata una componente che ha giocato a favore del vincitore, dal momento che i militanti conservatori e nazionalisti del Partito del Progresso Serbo sono solitamente più compatti e disciplinati nel recarsi alle urne.

Gli elettori serbi hanno premiato la retorica del capo del Partito progressista, che ha puntato su una campagna elettorale populista e, con vocabolo di gergo mutuato dal giornalismo, “antipolitica”: gestione delle istituzioni improntata su semplificazione burocratica, trasparenza e parità di accesso oltre che maggiore controllo sulle risorse economiche, lotta alla corruzione e necessità di attrarre investimenti stranieri, vitali per lo sviluppo e la crescita dell’economia interna in difficoltà.

Tomislav Nikolic ha dunque puntato forte su quelle tematiche che i politologi definiscono “demagogiche”, ma che sono capaci di incontrare i favori di un bacino elettorale profondamente lontano da Tadic. Come bene spiega un breve commento battuto da ANSA, i nazionalismi balcanici hanno risvegli improvvisi, sicché, con l’economia serba che risente della crisi europea, con l’alto tasso di disoccupazione che affligge la popolazione e con un senso di delusione diffuso in tutti gli strati della società, era facile aspettarsi che l’elettorato serbo o non avrebbe votato oppure avrebbe sposato il messaggio populista e demagogico di Nikolic. [4] Secondo gli analisti le elezioni sarebbero state vinte da colui che avrebbe convinto i serbi che dopo la sua elezione avrebbero vissuto meglio.

 

Chi è Tomislav Nikolic

 

Ma chi è Tomislav “Toma” Nikolic? Facciamo un veloce ritratto del nuovo Presidente della Repubblica di Serbia: nato il 15 febbraio del 1952 a Kragujevac, laureatosi in economia e ingegneria gestionale all’Università di Novi Sad, si avvicina alla politica con il Partito Popolare Radicale di cui è attivista fervente. Nel 1991 partecipa alla nascita del Partito Radicale Serbo, all’epoca presieduto da Vojislav Seselj, diventandone il vicepresidente. Nel 1999 viene nominato vicepresidente del governo di Slobodan Milosevic ed è membro del Governo nei giorni dei bombardamenti della NATO. Accusato di aver preso parte attiva alle operazioni di pulizia etnica nella cittadina di Antin, in Slavonia, accuse da cui si è difeso con successo, nel 2003, in concomitanza con l’estradizione del capo del partito Seselj al Tribunale Internazionale dell’Aja per crimini di guerra, Tomislav Nikolic assume la guida dei radicali serbi. In questa veste si presenta alle elezioni presidenziali del 2004 e del 2008, uscendo sconfitto entrambe le volte dal candidato del Partito Democratico Boris Tadic.

Dopo esser stato per anni il capo dell’opposizione conservatrice, nel 2008, in seguito alla seconda sconfitta alle presidenziali contro Tadic, esce dal Partito Radicale fondando un proprio soggetto politico, il Partito Progressista Serbo (SNS). Le posizioni di Nikolic si ammorbidiscono, i toni si abbassano; anche le tematiche di stampo nazionalista lasciano spazio a posizioni più moderate e aperte ad una svolta europeista. Sono frequenti le dichiarazioni a favore dell’ingresso della Serbia nell’Unione Europea, a condizione che questa non richieda come conditio sine qua non la rinuncia serba alla provincia a maggioranza albanese del Kosovo.

 

“Sia UE, sia Kosovo”?

 

I due candidati alla carica di Presidente della Repubblica di Serbia non erano così distanti su due aspetti programmatici di grande rilevanza durante la campagna elettorale: “” all’integrazione in Europa e “no” all’indipendenza del Kosovo.

La vittoria di Nikolic preoccupa però Bruxelles, dove si teme che il percorso voluto e portato avanti dallo sconfitto Tadic, giunto allo storico traguardo della candidatura ufficiale di Belgrado all’ingresso nell’Unione Europea, sia in pericolo. Infatti, se Tadic si era sempre dimostrato un sincero sostenitore delle istituzioni europee, l’ambiguo atteggiamento di Nikolic non convince le istituzioni di Bruxelles: il neopresidente serbo, che in passato ha caldeggiato una federazione tra Russia, Bielorussia e Serbia che riunisse i tre stati ortodossi per far fronte all’egemonia americana ed europea sui Balcani, negli ultimi tempi ha cercato di rifarsi una verginità filoeuropeista ed ha riveduto le proprie posizioni anche in base a ragionamenti di opportunità politico-economica per il proprio Paese. Nikolic infatti sembra aver compreso che la Serbia ha bisogno degli aiuti finanziari provenienti dall’Unione Europea per far fronte alla crisi che imperversa nel Paese e che l’appoggio di Bruxelles è un buon biglietto da visita da spendere con gli investitori stranieri, necessari alla ripresa dell’economia serba.

La preoccupazione per le posizioni del nuovo leader serbo sono state espresse da Herman Van  Rompuy e José Manuel Barroso, che lo hanno invitato a proseguire sulla strada imboccata dal suo predecessore. Insieme coi complimenti per la vittoria elettorale, l’Alto Rappresentante della Politica Estera, Catherine Ashton, ha esternato il proprio pensiero e i propri auspici in un messaggio in cui si legge che “la Serbia ha bisogno di un governo forte e di una maggioranza parlamentare per ottenere i progressi economici che la popolazione desidera, e l’integrazione europea alla quale aspira. Nessuna delle due cose è possibile senza riforme difficili e coraggio politico”. Nel messaggio della Ashton non manca neppure un preoccupato pensiero per le relazioni tra Belgrado e Pristina: “il continuo dialogo tra Pristina e Belgrado rimane particolarmente importante se la Serbia aspira a fare il suo ingresso nell’UE” [5].  Nikolic, per rassicurare Bruxelles, si è affrettato a dichiarare che “la Serbia non devierà dal suo percorso “europeo” [6] e ha detto di voler chiedere “un colloquio con la signora Merkel, la Germania è l’alleato principale della Serbia”. [7]

Anche se le prime dichiarazioni di Nikolic sembrano prospettare una Serbia integrata con l’Unione Europea a Bruxelles, i vertici europei sono preoccupati da una questione riguardante l’alleanza che nei giorni precedenti il ballottaggio è stata stipulata tra il neopresidente e l’ex primo ministro conservatore Vojislav Kostunica, capo del Partito Democratico della Serbia. Kostunica è fortemente contrario all’adesione del Paese alla UE, dal momento che questo patto politico impegna Nikolic ad un referendum sull’ingresso della Serbia nell’UE. L’elezione di Nikolic alla carica di Presidente della Repubblica serba sembra aprire una fase di incertezza sul cammino europeo, anche se, con ogni probabilità,  questi compierà scelte che non vadano in direzione opposta a quelle intraprese da Tadic nei suoi due mandati da Presidente, limitandosi ad osservare i dettami costituzionali che prevedono che sia l’esecutivo ad occuparsi del processo di integrazione nell’UE.

“Sia UE, sia Kosovo”, dicevamo in apertura, era il motto dello sconfitto Tadic. “Sia Kosovo, sia Ue ma non ad ogni costo” sembra il motto che meglio indica la via che il neopresidente serbo intende battere. L’adesione alla UE impone agli Stati di non essere coinvolti in conflitti di frontiera con gli Stati confinanti; dopo la dichiarazione di indipendenza del Kosovo, Belgrado ha sempre rifiutato di riconoscerne la secessione e la Serbia è con ogni probabilità lo stato chiave per il mantenimento dei fragili equilibri regionali della zona balcanica. Ma, nonostante Belgrado abbia manifestato la volontà di adesione all’Unione Europea, non c’è la disponibilità a rinunciare alla sovranità sul Kosovo. Per difendere i diritti sulla provincia a maggioranza albanese, la Serbia ha stretto rapporti con la Cina, ma soprattutto con la Russia.

La forte opposizione al riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo è motivata da diversi fattori:  in primis, il Kosovo in epoca medievale era considerato la “culla” della nazione serba, sia sotto il profilo religioso sia sotto quello artistico. Secondo, i Serbi reclamano anche per i Serbi della Croazia lo stesso trattamento (riconoscimento del diritto di autodeterminazione) riservato agli Albanesi del Kosovo.

In questa delicata questione è rilevante il ruolo giocato dalla Russia: Mosca, infatti, è da tempo un alleato prezioso per Belgrado nel rifiuto di riconoscere l’indipendenza del Kosovo. Gli interessi russi nella regione sono legati alla volontà di fare della Serbia uno snodo fondamentale per il trasporto di gas russo in Europa Centrale, in competizione con gli sforzi della UE per trasportare il gas proveniente dal Mar Caspio passando per l’Europa sudorientale. Nikolic non ha mai nascosto la volontà di legarsi maggiormente a Mosca. Intanto l’ambasciatore russo a Belgrado, Konuzin (che già nel mese di febbraio aveva dichiarato che la Serbia è uno dei maggiori partner commerciali della Russia) [8], ha reso nota la disponibilità russa: “miliardi e tanti accordi commerciali e produttivi per un lungo futuro di cooperazione pluridecennale”.

Per la Serbia, quindi, si prospetta una fase di politica cosiddetta “dei due forni”: porta aperta verso l’Europa e porta aperta verso la Russia, la quale promette di finanziare, come in passato è già avvenuto, i bilanci passivi di Belgrado.

 

Alla ricerca della maggioranza parlamentare

 

Il 6 maggio 2012, al primo turno delle elezioni presidenziali, gli elettori serbi sono stati chiamati ad esprimere il loro voto anche per il rinnovo del Parlamento di Belgrado: [9] la composizione che ne è venuta fuori dopo l’assegnazione dei seggi lascia presagire una fase di incertezza e di possibile instabilità che potrebbe avere ripercussioni negative sul processo di riforme di cui necessita il Paese. Le maggiori forze politiche serbe siederanno in Parlamento con questi numeri: sui 250 seggi di cui si compone il Parlamento la maggioranza relativa dei seggi è andata al Partito progressista del neopresidente Nikolic con 73 seggi, mentre i democratici di Tadic ed i socialisti di Dacic (altro candidato alle presidenziali), eredi della formazione politica facente capo a Slobodan Milosevic, avranno rispettivamente 68 e 45 seggi. Il dato più significativo emerso dalle urne è il fatto che lo storico Partito Radicale Serbo, un tempo prima forza politica della Serbia, non è riuscito a superare la soglia del 5%: la formazione nazionalista, ormai lontana dalla percentuale del 30% di cui disponeva un tempo, rimane fuori dal Parlamento di Belgrado.

Osservando i numeri si comprende come gli analisti ed i politologi serbi abbiano ragione nell’affermare che il vero vincitore delle elezioni è stato Ivica Dacic, ex portavoce di Milosevic e ministro dell’Interno uscente. Il suo partito (Partito Socialista Serbo) è passato dall’8% del 2008 al circa 15% di questa tornata elettorale. All’indomani del voto del 6 maggio lo stesso Dacic si era affrettato a dichiarare che non sappiamo chi sarà il Presidente, ma sappiamo chi sarà il nuovo premier. [10] Prima del ballottaggio del 20 maggio, Dacic aveva firmato un accordo con Boris Tadic per formare una “grande coalizione” di centrosinistra e proseguire quell’esperienza politica che, con l’appoggio delle forze minori, aveva garantito al governo uscente la maggioranza in Parlamento. La vittoria di Nikolic ha scompaginato i piani di Tadic e Dacic, tanto che il capo del Partito socialista serbo ha dichiarato che “tutto sarà più complicato”, anche se ha puntualizzato che l’accordo raggiunto con Tadic per la formazione del governo non sarà influenzato dalla vittoria di Nikolic [11]. Con la dote del 15% dei voti, gli “eredi” di Milosevic saranno dunque l’ago della bilancia per la formazione di una maggioranza parlamentare che sostenga il nuovo esecutivo. Senza i socialisti, a Belgrado non si governa. Secondo gli analisti, una coabitazione tra il Presidente Nikolic e un governo guidato da Dacic, espressione dell’alleanza tra democratici e socialisti, è al momento lo scenario più probabile, anche se si sta facendo largo l’ipotesi di un governo di grande coalizione che veda democratici e progressisti alla guida della Serbia.

Tutto sembra essere nelle mani dei socialisti: se Dacic manterrà in vita l’accordo, la formazione dell’esecutivo dovrebbe risolversi in tempi rapidi; diversamente, si rischiano trattative molto lunghe e la possibilità, non peregrina, di un ritorno alle urne. Secondo i dettami della legge, il Parlamento deve riunirsi entro il 9 giugno prossimo e da quel momento ha 90 giorni di tempo per dare un nuovo governo alla Serbia.

 

NOTE:

[1] Per tutti Il Fatto quotidiano che titola Elezioni Serbia, Nikolic presidente a sorpresa. Tadic ammette la sconfitta. http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/05/20/elezioni-serbia-sorpresa-conservatore-nikolic-vantaggio-vucic-abbiamo-vinto-senza/236086/

[2] L’11 maggio 2012 gli elettori serbi interrogati sulle intenzioni di voto dal noto centro di analisi di mercato Strategic Marketing Ipsos avevano risposto che il 58% avrebbe votato Tadic.

[4] ANSA, Politica dei due forni per la nuova Serbia, 22 maggio 2012

[5] ANSA, Serbia: Ashton a Nikolic, serve governo forte per riforme. Per integrazione UE importante continuare dialogo con Pristina, 21 maggio 2012, http://ansamed.ansa.it/ansamed/it/notizie/stati/europa/2012/05/21/Serbia-Ashton-Nikolic-serve-governo-forte-riforme_6907460.html

[6] Alberto Negri, La Serbia corregge la rotta verso l’Europa e sceglie l’ex nazionalista Nikolic come nuovo presidente, il Sole 24 ore

[7] Luka Zanoni, Tomislav Nikolic nuovo presidente della Serbia, 21 maggio 2012, Osservatorio Balcani e Caucaso. http://www.balcanicaucaso.org/aree/Serbia/Tomislav-Nikolic-nuovo-presidente-della-Serbia-117369

[8] Konuzin : la Serbia è il partner economico più importante della Russia nella regione, http://www.statopotenza.eu/2451/konuzin-la-serbia-e-il-partner-economico-piu-importante-della-russia-nella-regione

[9] Si è votato anche per le amministrative, tranne che in Kosovo, dove i serbi hanno votato per eleggere deputati e Presidente. Tadic aveva rassegnato le dimissioni anticipate proprio per far coincidere presidenziali, politiche e amministrative, nel tentativo di massimizzare i voti accordati al proprio partito.

[10] ANSA, Serbia: elezioni, verso riedizione governo centrosinistra. Accordo Tadic-Dacic. Appoggio socialisti a Tadic in ballottaggio, 9 maggio.

[11] ANSA, Serbia: Nikolic presidente, incertezza UE e nodo Kosovo. Flop Tadic scatena terremoto politico, guai in vista per Governo, 22 maggio 2012.


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