Managua, 6 novembre 2011. Una folla di gente in festa si riversa per le strade della capitale con striscioni neri e rossi – i colori simboleggianti la Rivoluzione Sandinista del 1979 – per salutare il secondo mandato consecutivo di Daniel Ortega alla presidenza del Nicaragua, il terzo della sua carriera di guerrigliero prestato definitivamente alla politica (1). Il risultato uscito dalle urne (62% di voti, con un’affluenza attorno al 80%), insieme alla maggioranza assoluta dei deputati all’interno dell’assemblea nazionale, assicurano al nuovo eletto altri cinque anni di piena stabilità governativa.
Il grande successo ottenuto dall’esponente del Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale (FSLN) non è stato esente da polemiche, la cui eco si è propagata oltre i confini nazionali. L’accusa di frode elettorale, con cui l’opposizione ha cercato di invalidare l’esito delle consultazioni, non ha trovato un effettivo riscontro da parte degli osservatori internazionali. Infatti, pur segnalando alcune criticità nel processo elettivo e indicando alcuni miglioramenti da apportare alla legge elettorale, il risultato è stato sostanzialmente confermato (2).
Se si prescinde per un momento dalle denunce di brogli elettorali (3) e dall’immagine di “nuovo Somoza” che spesso le principali testate giornalistiche e riviste di studi di settore internazionali utilizzano per descriverlo, ciò che emerge dalla figura di Ortega oggi è un principio di equilibrio del tutto nuovo. Una sorta di cambio di direzione che segna uno spartiacque dal suo passato di guerrigliero e rivoluzionario in prima linea.
Equilibrismo all’interno dei confini
Osservato dalla lente macroeconomica, nel corso del suo recente sviluppo il Nicaragua ha ottenuto dei buoni risultati in termini di crescita del PIL. Con una media annua attestata intorno al 4%, la rilevanza del dato è pressoché scontata, considerata soprattutto la scarsità di alcuni importanti indicatori geopolitici come la disponibilità di risorse naturali e il numero della popolazione.
L’immediato entusiasmo di questa descrizione è però subito ridimensionato dalla visione più profonda di un Paese che subisce ancora il peso della Storia. L’essere stato pedina fondamentale in uno scacchiere oggetto della politica d’influenza statunitense, nonché teatro di uno degli ultimi scontri bipolari, si è riflesso in una dittatura di 40 anni a cui sono seguiti un violento conflitto di guerriglia rivoluzionaria e una lotta controrivoluzionaria. Gli esiti di tali processi sono visibili oggi in un sistema infrastrutturale ed energetico carenti, in una struttura istituzionale e democratica ancora debole, ma soprattutto in una popolazione caratterizzata da un alto tasso di povertà.
La svolta nel cammino verso la risoluzione di queste problematiche è stata intrapresa con la rielezione di Daniel Ortega a fine 2006. I risultati dei suoi primi cinque anni di governo sono incoraggianti e presagiscono un ulteriore quinquennio segnato su questo solco. Ma al di là del fine economico prefissato, ciò che è interessante rilevare riguarda il mezzo utilizzato per raggiungerlo.
Se si analizzano alcuni dei provvedimenti attuati dal governo è possibile scorgere quel principio di equilibrio, già accennato all’inizio del discorso, dal quale emerge una capacità di bilanciamento tra due forze contrapposte. In altre parole, discostandosi in maniera preponderante dalla prima esperienza governativa sandinista Ortega è stato in grado di fornire al Paese una stabilità basata su di un compromesso tra Socialismo del XXI secolo – ispirato dal suo esponente di spicco Hugo Chávez – e un’ortodossia economica di libero mercato.
Uno dei nodi essenziali del nuovo equilibrismo del presidente è l’approccio verso l’élite imprenditoriale nicaraguense. Col suo arrivo è venuta a formarsi un’alleanza tra il gruppo di capitalisti del paese e i ministri del governo sudamericano, fondata su relazioni stabili e su di un clima di dialogo politico aperto. In pochi anni, Ortega è riuscito ad avere il plauso e la fiducia futura dell’intera classe, anche grazie a una legislazione mirata “pro business”; a degli interventi per il miglioramento del sistema infrastrutturale, necessari per attrarre investimenti stranieri; all’aumento del salario minimo e il suo successivo agganciamento alla produttività, fonte di un costo del lavoro tra i più competitivi sul mercato globale. In tal senso vanno lette le dichiarazioni di José Adan Aguerri, presidente del Consiglio Superiore dell’Impresa Privata, il quale ha affermato che “la buona performance economica della nazione è il risultato di un dialogo politico aperto. Sappiamo che saremo ascoltati e non abbiamo paura per un cambio imprevisto delle regole del gioco”(4). Così, durante l’ultima campagna elettorale i leader imprenditoriali si sono detti favorevoli alla continuità e alla stabilità politica fornita dal presidente sandinista, rifiutandosi di appoggiare e di finanziare i candidati a lui opposti e decretando il successo nella sua successiva rielezione.
Rafforzato il lato più liberale, per mantenere il compromesso interno Ortega si è rivolto all’aspetto più sociale della sua politica, con un programma teso alla riduzione della povertà. Attraverso dei sussidi finanziari e una riduzione delle imposte è stato possibile garantire una protezione sanitaria e un’istruzione pubblica per tutti i cittadini. Sempre mediante finanziamenti pubblici, sono state abbassate le tariffe dei trasporti interni, delle forniture elettriche e sono state consegnate alle famiglie delle zone rurali galline, mucche e altri animali da allevamento, con lo scopo di irrobustire il mercato agricolo locale – mediante anche l’erogazione di prestiti a bassi tassi d’interesse. L’ambizioso piano Hambre Zero(5), rimandante all’omonimo intervento brasiliano, è riuscito nell’intento di ridurre drasticamente la percentuale di popolazione che viveva al di sotto della soglia di povertà. Questo soprattutto nella zona caraibica, dove si registrava ancora fino a poco tempo fa un alto tasso di mortalità per fame e malnutrizione.
In linea generale, quanto descritto finora fornisce una visione più chiara del nuovo corso orteguista. Ovviamente, i due aspetti citati rappresentano solo una parte di tale processo interno, ma si configurano come i più emblematici. Essi evidenziano il tentativo di equilibrare le diverse voci della realtà nicaraguense, alla ricerca di un compromesso fondamentale allo sviluppo del Paese. Soprattutto – lo si vedrà meglio nell’analisi che segue – dimostrano una svolta ideologica in seno al FSLN, la quale non ha mancato di sollevare critiche e malumori nei più “ortodossi” del pensiero sandinista.
Equilibrismo all’esterno dei confini
Se sul piano interno sono facilmente rintracciabili dei tentativi finalizzati al mantenimento dell’equilibrio tra forze contrapposte, sul piano esterno l’azione governativa di Ortega assume un’esplicita rilevanza in questo senso. Per riflettere sulla questione, il punto di partenza risiede nelle misure prese durante il vertice G8 del 2005.
Nell’incontro dei ministri delle finanze degli Stati partecipanti – tradizionalmente precedente il summit – è stata stilata una lista di Paesi per i quali era previsto l’annullamento del debito estero (in particolare quello detenuto da FMI e BM) e tra cui figurava anche il Nicaragua. L’allora presidente Bolaños ha salutato la notizia come un importante risultato diplomatico della sua amministrazione, ma in sostanza il provvedimento si è tradotto in uno strumento insufficiente (6).
Tale concessione non è stata a “costo zero”. L’azzeramento è dipeso infatti dall’adesione a vincoli maggiori con le due Istituzioni e riguardati l’attuazione di una serie di aggiustamenti strutturali interni, volti al perseguimento di una politica economica liberista e di maggiore apertura al commercio internazionale. Così, letto da questa angolatura, risulta più chiaro il reiterato appoggio di Ortega alle cosiddette “free-zones” – delle vere e proprie oasi di libero commercio, in cui la produzione e gli investimenti stranieri (principalmente statunitensi e cinesi) sono agevolati da un regime fiscale praticamente inesistente e caratterizzate dalla mancanza di obblighi per il reinvestimento degli utili nel Paese.
Altro elemento utile a chiarire quanto l’azione internazionale orteguista si configuri nel senso di un’ortodossia di libero mercato è l’implementazione del trattato DR-CAFTA, tra Stati Uniti e alcuni Paesi centroamericani. Il provvedimento prevede un accordo di libero scambio, sulla scorta del ben più noto NAFTA, con cui vengono ridotte le tariffe doganali (di circa l’80%) per le esportazioni statunitensi verso i paesi firmatari, ma che non esige un’altrettanta riduzione per le importazioni da quei Paesi. Si tratta del solito accordo asimmetrico con cui Washington – sin dall’inizio della sua politica espansiva di inizio ‘900 – garantisce la propria penetrazione commerciale e la tutela del proprio interesse nazionale nei territori del Centro e del Sud America. Del resto, se si considera che il Nicaragua dipende ancora in larga misura dagli aiuti internazionali, tale accordo rappresenta in sostanza un passo obbligato. Infatti, come beneficiario sia del programma Millenium Challenge Account (MCA) – il cui promotore sono appunto gli Stati Uniti – che del programma Heavily Indebted Poor Countries – attuato da FMI e dalla Banca Mondiale – il Paese riceve grosse somme di denaro, necessarie al finanziamento del suo sviluppo e del piano “Zero Fame”.
Se da un lato, quindi, il carattere atlantista della politica orteguista è ben evidente, dall’altro esistono altri aspetti che lo mettono in forte discussione. Facendo emergere quella sfumatura di equilibrismo che lo caratterizza, spesso il presidente nicaraguense alterna alla realtà di tali misure una retorica anti-imperialista che rimanda al suo passato e alla tradizione sandinista tout court.
A tal proposito, è interessante osservare la posizione mantenute dal governo di Managua durante le negoziazioni dell’Accordo di Adesione (AdA) tra Unione Europea e Centro America, svoltesi nell’aprile del 2009. La delegazione nicaraguense, su richiesta di Ortega, ha abbandonato la trattativa a causa della mancata approvazione di una richiesta di finanziamento, necessario alla diminuzione dell’asimmetria presente tra le due regioni. Successivamente, lo stesso presidente ha dichiarato che “L’Europa, come gli Stati Uniti, sono avvantaggiati nei nostri confronti e vogliono imporre le loro regole, le loro condizioni, mentre continuano a godere di misure di protezione anche se parlano di libero mercato. Il libero mercato è una bugia perché i paesi sviluppati proteggono i loro produttori, le loro industrie, i loro banchieri, mentre a noi proibiscono di proteggere i nostri produttori. Per noi è vietato parlare di sussidio”(7). Queste parole, oltre a ricordare il recente intervento della presidentessa Kirchner all’ONU, sottolineano una tendenza di affrancamento dalla forza egemonica nordamericana, già presente in buona parte dei Paesi del sub-continente. Allo stesso tempo, mettono in luce l’ulteriore tentativo di Ortega di bilanciarsi tra posizioni che, in apparenza, sembrano essere inconciliabili.
Dove il principio di equilibrio assume tratti ancora più evidenti è nella relazione che lega il Nicaragua a due Stati al di fuori del paradigma atlantista: il Venezuela di Hugo Chávez e la Russia di Vladimir Putin. In merito al primo, mediante l’accordo ALBA il flusso di petrodollari confluito in questi anni nelle casse statali nicaraguesi ha permesso il sostentamento delle politiche interne del presidente, nonché la creazione di una élite economica sandinista (i cosiddetti “ALBAgarchs”) impegnata nel re-investimento di tali entrate in progetti necessari allo sviluppo del Paese, in settori quali il turismo, l’agricoltura e le energie rinnovabili.
Per quanto riguarda il secondo, va notato che già in passato il Nicaragua rientrava nell’orbita di influenza dell’URSS grazie al suo appoggio strategico – insieme a Cuba – alla guerriglia rivoluzionaria. Ciononostante, di recente la “relazione speciale” è stata rinvigorita con la vittoria di un appalto da parte Yota, azienda statale russa di telecomunicazioni, per la fornitura della tecnologia necessaria alla creazione e all’implementazione della rete fissa telefonica nicaraguense. Ma tale relazione non si esaurisce nel solo aspetto commerciale: il 4 ottobre di quest’anno il Ministro degli Interni nicaraguense ha annunciato che il suo Paese acquisterà delle automobili blindate “Tigr”, insieme a munizioni e armi per la polizia speciale, confermando anche l’interesse per uno scambio di esperienza con i servizi segreti russi(8). Il sigillo diplomatico, a conferma della crescente e continuata intesa internazionale, è stato posto da Ortega con il riconoscimento ufficiale dell’indipendenza delle due repubbliche filo-russe dell’Abkhazia e dell’Ossetia del Sud, succeduto all’ultimo scontro bellico tra Russia e Georgia del 2008.
In linea generale, il discorso fatto finora aiuta a inquadrare in una visione più chiara l’equilibrismo recentemente sperimentato dal governo sandinista, tanto ad un livello interno che esterno. Con un approccio del tutto differente rispetto agli anni immediatamente successivi alla vittoria rivoluzionaria, Ortega ha dato prova di un dinamismo del tutto nuovo. Alternandosi tra una corrente anti-imperialista e una di stampo più atlantista e liberista, ha ottenuto quella stabilità e quella legittimazione internazionale necessarie al Paese, in un modo più efficace rispetto ai governi conservatori che lo hanno preceduto. Naturalmente, i gravi problemi che deve affrontare ancora oggi il Nicaragua sono ben lontani dall’essere risolti, ma è possibile affermare che il sentiero intrapreso ha già dato i suoi visibili frutti.
Infine, data la sua rilevanza, vale la pena menzionare uno scenario che apre a possibili ed importanti cambiamenti futuri. Rispolverando un progetto passato – proposto agli inizi del XX secolo come alternativa alla costruzione del Canale di Panama – nel giugno di quest’anno il presidente nicaraguense ha sottoposto al parlamento un progetto per la creazione di un canale interoceanico. In un precedente intervento(9), è già stata sottolineata l’importanza globale di un condotto interoceanico: se tale idea fosse effettivamente realizzata, gli equilibri geopolitici che interessano la zona dell’istmo subirebbero dei mutamenti non di poco conto, garantendo al Nicaragua una risorsa di potenza fondamentale. Recentemente, Cina e Russia hanno confermato la loro disponibilità per l’erogazione di un finanziamento necessario all’avvio del mega-progetto da 30 miliardi di dollari, ma rimane da capire se Ortega deciderà di riconfermare la sua capacità equilibrista.
*Massimo Aggius Vella è laureando magistrale in Scienze Politiche e di Governo, presso l’Università degli Studi di Milano.
(1) Il primo governo Ortega si installò pochi anni dopo la rivoluzione, dal 1985 al 1990.
(2)Il comunicato ufficiale dell’OSA è consultabile al seguente indirizzo, http://www.oas.org/es/centro_noticias/comunicado_prensa.asp?sCodigo=C-958/11
(3) Già nel 2008, alcune irregolarità nel corso delle elezioni amministrative erano costate ad Ortega una pioggia di critiche sia da attori interni che da ben più importanti attori esterni.
(4) Le dichiarazioni insieme a una visione più approfondita della questione sono consultabili nell’articolo di F. Feinberg “Daniel Ortega and Nicaragua’s soft Authoritarianism”, pubblicato sulla rivista Foreign Affairs. http://www.foreignaffairs.com/features/letters-from/daniel-ortega-and-nicaraguas-soft-authoritarianism
(5) Maggiori dettagli riguardo al piano sono visionabili all’indirizzo http://www.aporrea.org/movil/internacionales/n92803.html
(6) Per una descrizione della questione più approfondita e per capire meglio perché il provvedimento si è rilevato insufficiente si rimanda all’articolo di Giorgio Trucchi, consultabile al sito http://www.unimondo.org/Guide/Economia/Debito-estero/Nicaragua-debito-alto-anche-dopo-il-taglio-del-G8-56675
(7) Per avere un’idea più approfondita della questione, si consiglia la lettura dell’articolo di Giorgio Trucchi e consultabile all’indirizzo http://www.itanica.org/modules.php?name=News&file=article&sid=718
(8)Per una visione più approfondita, si rimanda alla lettura dei seguenti articoli: http://neteffect.foreignpolicy.com/posts/2009/10/01/the_rise_of_telecom_diplomacy e http://italian.ruvr.ru/2012_10_04/90232211/
(9) M. Aggius Vella, “Il canale di Panama: un’arteria mondiale”, pubblicato per la versione on-line di Eurasia – rivista di studi geopolitici, consultabile all’indirizzo http://www.eurasia-rivista.org/il-canale-di-panama-unarteria-mondiale/16732/
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