Il Kazakistan tende ad autodefinirsi come un luogo in cui l’Oriente incontra l’Occidente, l’Europa si imbatte nell’Asia e dove gli scambi tra popoli sono da sempre prassi comune. Un Paese eurasiatico per spirito, geografia e cultura, a cavallo tra le aree culturali russa, islamica ed orientale, e la stessa Astana è stata definita dal presidente kazaco Nazarbaev come una sintesi di tradizionalismo asiatico e pragmatismo europeo[1]. Questa è l’essenza dell’eurasiatismo kazaco, che per il Paese delle steppe è allo stesso tempo un mezzo per costruire un’identità nazionale solida e comprensiva degli innumerevoli gruppi etnici che lo costituiscono, definire un proprio ruolo geopolitico nello spazio postsovietico e stabilire rapporti con la Russia nell’ottica di un superamento della dicotomia centro-periferia dell’epoca sovietica.

L’eurasiatismo kazaco, se da un lato può considerarsi il frutto dell’adattamento dell’originale russo alla realtà del Paese asiatico, non di rado rivela peculiarità del tutto originali. Si tratta di un costrutto ideologico, i cui pilastri sono l’attivismo e la produzione saggistica di Nazarbaev, che ha contribuito a determinare la linea politica del Paese in questioni quali la politica estera, la gestione dei rapporti interetnici ed interreligiosi e la delicata questione linguistica. Il risultato è una forma di nazionalismo civico[2], la cui retorica va distinta tanto da quella del nazionalismo kazaco vero e proprio (i cosiddetti nazional-patrioti, fautori di uno Stato kazaco etnico nel quale, ad esempio, la lingua russa sia privata dello status di lingua ufficiale), quanto da quella dell’eurasiatismo russo “imperiale”, nella quale un ruolo preponderante viene svolto dal tema del recupero russo dello status di grande potenza. Ma è proprio da quest’ultimo, nonché dalle politiche di Putin volte al recupero di un’area d’influenza russa nel cosiddetto Estero Vicino (i Paesi dell’ex URSS con l’eccezione delle Repubbliche Baltiche), che l’eurasiatismo kazaco trae un’irrinunciabile linfa vitale. Allo stesso tempo, lo status di potenza regionale nell’Asia Centrale di cui gode oggi il Kazakistan e l’attivismo di Nazarbaev nell’integrazione economica dell’Estero Vicino sono due assi ai quali Putin difficilmente potrebbe rinunciare.

L’opera di revisionismo storico compiuta dagli eurasiatisti russi va senza dubbio considerata uno dei fattori che hanno aperto la strada all’eurasiatismo kazaco (oltre che nel favorire la comprensione tra i due popoli). La storiografia tradizionale tendeva a ricostruire la storia russa usando la triangolazione Rus’di Kiev – Principato di Moscovia – Impero Russo con capitale San Pietroburgo, mentre riguardo al periodo dell’Orda d’Oro, della quale i Kazaki sono discendenti diretti, non era infrequente leggere affermazioni, su avviso di chi scrive, antistoriche, come quella secondo cui “se non ci fosse stata la dominazione mongola, la Russia, forte delle sue origini e nutrita dalla tradizione bizantina, sarebbe diventata un faro di civiltà per l’Europa e il mondo intero”[3]. Per gli eurasiatisti, al contrario, fu proprio l’Orda d’Oro, attraverso i processi paralleli di russificazione dei popoli turanici[4] e di turanizzazione della Russia, a consegnare in eredità alla Grande Madre quell’universalismo di civiltà che le avrebbe consentito di diventare il grande impero eurasiatico nel quale si è trasformata[5]. Lev Gumilëv, il padre del neoeurasiatismo, dedicò poi numerosi studi ai popoli turchi[6]. Non c’è da sorprendersi se questi abbia tuttora una forte popolarità in Kazakistan, dove le sue opere (come in molti altri Paesi dell’ex URSS) sono ampiamente studiate. La stessa Università di Astana, la maggiore del Paese, nella quale è stato fondato un importante Centro Eurasiatista, é stata intitolata a Gumilëv, e i riferimenti a Gumilëv nei discorsi del presidente kazaco Nazarbaev sono tutt’altro che infrequenti[7].

Sul tema del revisionismo storico nell’ambito dei rapporti tra Russia e popoli delle steppe (Mongoli, Tatari ecc.) non si può non menzionare Olžas Sulejmenov, poeta, scrittore e saggista kazaco di lingua russa tuttora in attività e con un passato di attivista politico (è stato leader del movimento Nevada-Semipalatinsk che nel 1991 ha chiesto, ed ottenuto, la chiusura del famigerato poligono nucleare che sorgeva nelle steppe a sud della città). Sulejmenov è ricordato soprattutto per aver scritto Az i Ja, opera nella quale viene fatta un’interpretazione del tutto originale, persino opposta a quella tradizionale, del Canto della Schiera di Igor, il poema nazionale russo. Tradizionalmente, infatti, si vedeva nel componimento un appello all’unità dei Russi contro l’invasore delle steppe (nello specifico si trattava dei Cumani, un popolo nomade di stirpe turca). Rinvenendovi numerose parole turche o comunque di tale origine, Sulejmenov osservò come il poema era al contrario la prova di una simbiosi tra Russi e popoli turchi preesistente all’arrivo dell’Orda d’Oro[8]. Pur trattandosi di una delle interpretazioni più discusse mai avanzate sul Canto (sulla cui autenticità, peraltro, ancor oggi non mancano i dubbi), questa è senza dubbio meritevole di menzione, in quanto rappresenta un esempio di eurasiatismo “dal basso”. Qui, infatti, non troviamo un russo che riconosce l’influsso sulla propria cultura operato dai popoli turchi, bensì un kazaco, e quindi un turco, che rivendica l’influenza della propria cultura sulla Russia. Un eurasiatismo rovesciato che trovò espressione nella proposta dello stesso Sulejmenov, due anni dopo la caduta dell’URSS, di creare “un’unione tra Russia e Kazakistan dove siano superati il ruolo di metropolitana per la Russia e la dipendenza coloniale del Kazakistan”[9]. Proposta che rispecchiava l’ambizione, tipica degli eurasiatisti kazaki, di un rapporto alla pari con la Russia, ma che tuttavia è (al momento) rimasta sulla carta.

Un destino non condiviso dal progetto che Nazarbaev avanzò nel 1994: la creazione di un’Unione Eurasiatica. Si trattò della prima proposta di tal genere fatta da un Capo di Stato di un Paese ex sovietico dopo la fine dell’URSS. Nazarbaev, per la sua Unione Eurasiatica, proponeva qualcosa di non molto dissimile dall’attuale Unione Europea, ma in una prospettiva generale non poco differente: l’obiettivo dichiarato era, infatti, l’integrazione solo economica, e non politica, tra i Paesi partecipanti. Nessuno Stato federale eurasiatico all’orizzonte, quindi. Tra i principali aspetti dell’Unione proposta da Nazarbaev vanno sottolineati l’uso del russo come lingua di lavoro, la rotazione della presidenza, l’impiego di una valuta comune, la creazione organi di governo sovranazionali, procedure semplificate per il cambio di cittadinanza e l’istituzione di una capitale (Nazarbaev propose Kazan’ o Samara). Il Presidente kazaco approfondì la sua idea nel saggio L’Unione Eurasiatica: idee, prassi e prospettive, pubblicato nel 1997.

Anche questa proposta, all’inizio, sembrò destinata a rimanere lettera morta. La natura della CSI era quella di un organo di transizione che consentisse ai Paesi membri di ridurre gradualmente la loro interdipendenza, più che di un percorso verso una meta comune, e i Paesi ex sovietici si dimostrarono all’epoca poco interessati, se non decisamente contrari, a portare avanti un progetto di integrazione che avrebbe dovuto coinvolgere anche la Russia. Persino quest’ultima, titubante su quale strategia politica adottare, mostrò scarso interesse per la proposta. Nel 1995 Russia, Bielorussia e Kazakistan firmarono un accordo per la creazione di un’Unione Doganale. Fu in apparenza di un passo in avanti lungo il cammino voluto da Nazarbaev, ma l’Unione fallì dopo appena qualche mese a causa delle pressioni di alcune lobbies russe, che chiedevano una revisione delle tariffe doganali comuni[10]. Più proficua fu invece la cooperazione militare: già nel 1992 sei Paesi della CSI avevano firmato il Trattato di Taškent per la Sicurezza Collettiva, trasformatosi nel 1999 nell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva, meglio noto con l’acronimo inglese CSTO[11]. L’elezione di Putin, ben più interessato del predecessore alla proposta di Nazarbaev, si è rivelata un deciso cambiamento di rotta. Già nel 2000 nacque l’EurAsEC (Comunità Economica Eurasiatica), composta da Russia, Kazakistan, Bielorussia, Kirghizistan e Tagikistan, il cui scopo era l’integrazione economica tra gli Stati membri. Integrazione che, negli ultimi anni, ha subito una decisa accelerazione: se al 2009 risalgono la creazione di un fondo anticrisi all’interno dell’EurAsEC e la firma  dell’accordo per la nascita di un’Unione Doganale tra Russia, Bielorussia e Kazakistan, entrata in vigore il 1°luglio 2010[12], nel 2012 è entrato in vigore lo Spazio Economico Unico, che consiste principalmente in un mercato unico di beni, servizi, capitale e lavoro tra gli Stati dell’Unione Doganale[13]. Ed ora già si parla di allargamento dell’Unione Doganale (la prossima adesione, prevista per il 2015, sarà quella del Kirghizistan[14]) e persino di una moneta unica, che verosimilmente si chiamerà altyn[15]. Il nome di un’antica moneta russa, ma anche il termine che designa l’oro in alcune lingue turche, tra cui il kazaco; un nome, quindi, in pieno spirito eurasiatico.

L’integrazione eurasiatica è senza dubbio il successo più notevole dell’eurasiatismo kazaco. Aleksandr Dugin, uno dei massimi esponenti del neoeurasiatismo russo, ha scritto un libro su La missione eurasiatica di Nursultan Nazarbaev (trad. it. Edizioni all’insegna del Veltro 2012). Tuttavia non vanno dimenticati i temi della stabilità interetnica e della costruzione dell’identità nazionale in un Paese dove la quota percentuale dell’etnia titolare, pur in progressivo aumento, ancor oggi supera di poco il 60%. Un traguardo, quello della stabilità interetnica e della costruzione di un’identità “kazakistana”, ossia comprensiva di tutti i gruppi etnici del Paese (e, quindi, non solo i Kazaki etnici) che si punta a raggiungere attraverso l’applicazione alla realtà kazaca della dottrina dei “diritti dei popoli” del politologo russo Aleksandr Panarin, importante esponente del neo-eurasiatismo russo. Si tratta di un concetto ben distinto da quello di “diritti individuali” tipico delle società occidentali, nelle quali sono questi ultimi vengono riconosciuti e tutelati, mentre, al contrario, il diritto di vivere secondo i dettami della propria cultura viene spesso relegato ad un ambito strettamente privato[16]. Panarin al contrario teorizza la tolleranza delle diversità etniche, culturali e religiose, coniugandola con un sistema politico di tipo autoritario che non consente alcuna opposizione[17]. Si tratta di un elemento tipico dei grandi Stati multinazionali dell’Eurasia (qualcosa di simile, però, la troviamo anche nel Libro Bianco di Singapore[18]) e che è di fatto alla base delle politiche del Kazakistan verso le proprie minoranze etniche. Il Natale ortodosso, ad esempio, è una festa nazionale assieme al Giorno dei Sacrifici musulmano. Le minoranze etnico-linguistiche del Paese possono contare su numerose scuole in cui si insegna nelle lingue delle minoranze. Esiste inoltre un’Assemblea dei Popoli del Kazakistan, un organo consultivo che si occupa di discutere i problemi derivanti dalle questioni etniche (e nel quale Kazaki e Russi sono sottorappresentati per consentire la presenza di un maggior numero di gruppi etnici)[19], e ogni tre anni, ad Astana, si tiene il Forum Mondiale delle Religioni Tradizionali.

Va sottolineato, però, che il concetto di “diritti dei popoli”, nella sua applicazione alla realtà kazaca, ed il tema della tolleranza interetnica, interlinguistica ed interreligiosa non sono incompatibili con la presenza di un primus inter pares tra i gruppi etnici. E a svolgere questo ruolo è, chiaramente, il popolo kazaco. Di fatto ciò non implica alcuna corsia preferenziale per l’etnia kazaca, ma fa sì che questa divenga destinataria della gratitudine delle minoranze per essere state “caldamente accolte dai locali malgrado le loro sofferenze”, come ha scritto il russo etnico Oleg Dymov, membro dell’Assemblea dei Popoli del Kazakistan, nella sua opera Il calore della terra kazaca[20]. Né riesce del tutto a nascondere il peso inevitabile della retorica e dell’idealizzazione: il Kazakistan, infatti, non è privo di divergenze riguardanti questioni etnico-linguistiche, e particolarmente sentite sono quelle tra i kazaki (etnici) di lingua russa e quelli di lingua kazaca. Eppure l’idea secondo cui il Kazakistan sarebbe, all’interno dello spazio ex-sovietico, un’oasi di concordia interetnica ed interreligiosa non è troppo distante dalla realtà.



[1] http://www.youtube.com/watch?v=Hu-g6SZkvXc&feature=share (video di presentazione di Astana dal titolo di Astana, gorod budušego, ossia Astana, la città del futuro)

[2] Il nazionalismo civico è un tipo di nazionalismo che mette in primo piano gli interessi dello Stato, a differenza del nazionalismo etnico che invece punta a dare la primazia ad un determinato popolo.

[4] I popoli turanici sono i popoli parlanti una lingua uralo-altaica, ossia gli ugrofinnici (finlandesi, estoni, ungheresi ecc.), i turchi, i mongoli, i manciù-tungusi e secondo alcuni anche i coreani e i giapponesi (fonte: Enciclopedia Treccani, voci Panturanismo e Lingue Uralo-Altaiche)

[5] Marlène Laruelle, Russian Eurasianism: an Ideology of Empire, p.42

[6] Ibidem, p.59

[7] Ibidem, p.10

[8] Marlène Laruelle, Russian Eurasianism: an Ideology of Empire, p.174

[9] Bhavna Dave, Kazakhstan: Ethnicity, Language and Power, p.10

[11] http://foreignpolicyblogs.com/collective-security-organization-timeline/

[14] http://tengrinews.kz/markets/ozvuchen-primernyiy-srok-prinyatiya-kyirgyizstana-v-tamojennyiy-soyuz-225374/

[16] Ad esempio, in un sistema di tipo occidentale non è possibile per un musulmano avere più mogli, oppure per una comunità di indù di organizzarsi secondo il tradizionale sistema di caste.

[17] Marlène Laruelle, Russian Eurasianism: an Ideology of Empire, p.97

[18] Samuel P.Huntington, Lo Scontro di Civiltà, p.476

[19] Marlène Laruelle, Russian Eurasianism: an Ideology of Empire, p.182

[20] Ibidem

 


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Giuseppe Cappelluti, nato a Monopoli (Bari) nel 1989, vive e lavora in Turchia. Laureato magistrale in Lingue Moderne per la Comunicazione e la Cooperazione Internazionale presso l’Università degli Studi di Bergamo, ha conseguito la laurea triennale in Scienze della Mediazione Interculturale presso l’Università degli Studi di Bari. Dopo aver trascorso periodi di studio presso l’Università di Tartu (Estonia) e a Petrozavodsk (Russia), nel 2016 ha conseguito un Master in Relazioni Internazionali d’Impresa Italia-Russia presso l’Università di Bologna. Dal 2013 ha pubblicato numerosi articoli su “Eurasia. Rivista di studi geopolitici” e nel relativo sito informatico. Suoi contributi sono apparsi anche su “Fond Gorčakova” (Russia), “Planet360.info” (Italia), “Geopolityka” (Polonia) e “IRIB” (oggi “Parstoday”, Iran).