Fonte: Asia Times Online 11 Gennaio 2010 http://www.mondialisation.ca/PrintArticle.php?articleId=16900
Un anno fa, il presidente yemenita Ali Abdullah Saleh fece una rivelazione sconvolgente: le forze di sicurezza del suo paese avevano arrestato un gruppo di islamici legato all’intelligence israeliana. “Una cellula terrorista è stata arrestata e sarà deferita alla Corte per i suoi legami con i servizi segreti israeliani“, aveva promesso.
Saleh ha aggiunto: “Sarete informati del procedimento legale.” Non ne abbiamo mai più sentito parlare e la pista è stata cancellata. Benvenuti nella terra magica dello Yemen, dove si svolgono le Mille e una notte nel corso del tempo.
Prendete lo Yemen e aggiungete la mistica dell’Islam, Usama bin Ladin, al-Qaida e ai servizi segreti israeliani, e otterrete una miscela che da alla testa. Il capo del Comando Centrale degli Stati Uniti, il generale David Petraeus, sabato è passato nella capitale dello Yemen, Sanaa e ha promesso a Saleh di aumentare gli aiuti degli Stati Uniti per la lotta contro al-Qaida. Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha rapidamente ripreso la promessa di Petraeus, assicurando che gli Stati Uniti avrebbero migliorato la condivisione delle informazioni e l’addestramento delle forze yemenite, e che avrebbe forse condotto attacchi congiunti contro i militanti di al-Qaida nella regione.
Un nuovo Afghanistan?
Nelle parole di molti, Obama, che è generalmente considerato un politico di talento e intelligente, commette un errore catastrofico nell’iniziare un’altra guerra, che potrebbe essere sanguinosa, disordinata e impossibile come in Iraq e in Afghanistan. Eppure, a prima vista, Obama sembra molto imprevedibile. I paralleli con l’Afghanistan sono sorprendenti. Uno studente nigeriano, che dice di essere stato addestrato nello Yemen, ha cercato di far esplodere un aereo americano e l’America vuole andare in guerra.
Anche lo Yemen è un paese meraviglioso con belle e impervie montagne, che potrebbero essere un rifugio per i guerriglieri. Come i membri delle tribù afgane, gli yemeniti sono ospitali. Ma, come il giornalista irlandese Patrick Cockburn ha puntualizzato, mentre sono generosi con gli stranieri di passaggio, che “credono alle leggi dell’ospitalità fin quando lo straniero lascia il loro territorio tribale, quando questo diventa ‘un buon obiettivo per una pallottola nella schiena’.” C’è sicuramente un lato romantico in tutto questo – quasi come nell’Hindu Kush. Estremamente nazionalisti, quasi tutti gli yemeniti hanno un’arma da fuoco. Come l’Afghanistan, lo Yemen è un paese in cui le autorità sono in conflitto e dove una piccola guerra civile non attende che l’intervento straniero per esplodere.
Obama ha incredibilmente anche dimenticato il suo discorso del 1° dicembre, in cui ha delineato i contorni della sua strategia afgana, violando i criteri da egli stesso emanati? Certainement pas. Certo che no. Obama est un homme habile. Obama è un uomo intelligente. Ricorderemo l’intervento nello Yemen come il colpo più magistrale che si sia mai fatto per perpetuare l’egemonia globale degli Stati Uniti. E’ la risposta americana alla crescita della Cina.
Un rapido sguardo alla cartina della regione dimostra che lo Yemen è uno dei luoghi più strategici vicini al Golfo Persico e alla Penisola arabica. Confina con l’Arabia Saudita e l’Oman, che sono dei protettorati fondamentali per gli Stati Uniti. In effetti, lo zio Sam “marca il territorio” – come un cane su un lampione.. La Russia ha accarezzato l’idea di riaprire la base sovietica di Aden. Bene! Gli Stati Uniti soffiano il posto a Mosca.
Gli Stati Uniti hanno fatto sapere che questa odissea non finisce nello Yemen. Si estende fino alla Somalia e al Kenya. In questo modo, le forze armate Usa stabiliscono la loro presenza su una striscia continua di terre, lungo la costa occidentale dell’Oceano Indiano. I funzionari cinesi hanno, recentemente, parlato della loro necessità di stabilire una base navale nella regione. Gli Stati Uniti hanno ora messo alle corde l’opzione cinese. L’unico paese nella regione con una costa marittima, disponibile ad installare una base navale della Cina, è l’Iran. Tutti gli altri paesi hanno una presenza militare occidentale.
L’intervento statunitense nello Yemen non seguirà il modello dell’Iraq e dell’Afghanistan. Obama farà in modo che le truppe Usa, in servizio nello Yemen, non tornino nei sacchi per i cadaveri. Questo è ciò che l’opinione pubblica statunitense si aspetta da lui. Secondo le forze armate Usa, ci sarà il dispiegamento di droni e forze speciali, e “ci si concentrerà sulla fornitura di informazioni e di addestramento per aiutare lo Yemen nella lotta contro i militanti di al-Qaida“. L’obiettivo primario e generale di Obama sarà stabilire una presenza militare permanente nello Yemen. Ciò serve a diversi scopi.
Inizia un nuovo grande gioco
In primo luogo, la manovra degli Stati Uniti deve essere considerata diretta contro il risveglio sciita, che fa da sfondo in questa regione. Gli Sciiti (soprattutto gli Zaiditi) sono sempre stati repressi nello Yemen. Le rivolte sciite sono state un tema ricorrente nella storia dello Yemen. Ci fu un tentativo deliberato di ridurre al minimo la percentuale di sciiti nello Yemen, ma potrebbero rappresentare fino al 45% della popolazione.
Ancora più importante, essi costituiscono la maggioranza nella parte settentrionale del paese. Ciò che disturba gli Stati Uniti e i paesi arabi moderati – e Israele – è che i fedeli della Youth Organization, guidato da Hussein Badr al-Houthi, che è radicata nello Yemen del Nord, segue il modello di Hezbollah in Libano, in ogni aspetto – politicamente, economicamente, socialmente e culturalmente.
Gli yemeniti sono un popolo intelligente e sono famosi, nella penisola arabica, per il loro temperamento democratico. Il crescente potere degli sciiti nello Yemen, sul modello di Hezbollah, avrebbe notevoli implicazioni regionali. Il più vicino Oman, che è una base chiave degli Stati Uniti, è in gran parte sciita. Soggetto ancor più sensibile: l’idea pericolosa della probabile ascesa al potere degli sciiti, che si estenderebbe alle regioni sciite fortemente irrequiete dell’Arabia Saudita, originari dello Yemen che, del resto, si ritrovano ad essere il serbatoio della favolosa ricchezza petrolifera del paese.
L’Arabia Saudita sta entrando in una fase molto delicata della transizione politica, mentre una nuova generazione dovrebbe prendere il potere a Riyadh, e intrighi di palazzo e faglie all’interne della famiglia reale sono suscettibili d’essere aggravati. Per usare un eufemismo, date le dimensioni della persecuzione istituzionalizzata degli sciiti in Arabia Saudita da parte dell’establishment wahhabita, l’ascesa degli sciiti è un vero e proprio campo minato che ha letteralmente pietrificato Riyadh, in questo momento. I limiti della sua pazienza diminuiscono, come dimostra il recente insolito uso della forza militare contro la comunità sciita nello Yemen del Nord, al confine con l’Arabia Saudita.
Gli Stati Uniti si trovano di fronte a un dilemma classico. È un bene che Obama sottolinei la necessità di una riforma nelle società musulmane – come ha fatto in modo eloquente nel suo discorso al Cairo, lo scorso giugno. Ma la democratizzazione nel contesto yemenita – ironia della sorte, nel contesto arabo – vorrebbe dire dare il potere agli sciiti. Dopo la dolorosa esperienza in Iraq, Washington è letteralmente appollaiato come un gatto su un tetto che scotta. Il governo statunitense avrebbe preferito allinearsi ulteriormente con il governo repressivo e autocratico di Saleh, piuttosto che lasciare uscire dalla lampada il genio della riforma, in questa ricca regione petrolifera, dove i suoi interessi sono enormi.
Obama ha uno spirito erudito ed è consapevole che lo Yemen ha un disperato bisogno di riforme. Ma semplicemente non vuole pensarci. Il paradosso è che egli affronta è che, con tutte le sue imperfezioni, l’Iran è l’unico sistema “democratico” operante in tutta la regione.
L’ombra dell’Iran, che incombe sulla coscienza sciita yemenita, è un’infinita preoccupazione per gli Stati Uniti. Per dirla semplicemente, nella lotta ideologica in corso in questa regione, Obama si trova sul lato delle oligarchie autocratiche ultra-conservatrici e brutali, che costituiscono la classe dirigente. Si può capire che questo non è facile per lui. Se dobbiamo credere alle sue memorie, ci possono essere momenti in cui i vaghi ricordi della sua infanzia in Indonesia, e la preziosa memoria di sua madre che, a detta di tutti, era un’umanista e una intellettuale pura, devono perseguitarlo lungo i corridoi della Casa Bianca.
Israele entra in gioco
Ma Obama è, soprattutto, realista. Ignora i suoi sentimenti e le sue convinzioni personali, e sono le considerazioni strategiche che hanno il maggior peso, quando si lavora nello Studio Ovale. Con la presenza militare nello Yemen, gli Stati Uniti hanno rafforzato il cordone intorno all’Iran. Nel caso di un attacco militare contro l’Iran, lo Yemen potrebbe essere utilizzato come trampolino di lancio da parte degli israeliani. Queste considerazioni hanno un grande peso per Obama.
Il fatto è che nessuna autorità controlla davvero lo Yemen. E l’occasione d’oro per la formidabile intelligence israeliana, di farne una base – proprio come hanno fatto nel nord dell’Iraq, in condizioni quasi analoghe.
L’islamismo non è un deterrente per Israele. Saleh non era certo lontano dal rendersene conto affermando, l’anno scorso, che l’intelligence israeliana aveva apparentemente mantenuto legami con gli islamisti yemeniti. Il problema è che gli islamisti yemeniti sono estremamente frammentati e non si è sicuri a chi giurano fedeltà e di che tipo di fedeltà sia in questione. I servizi segreti israeliani funzionano perfettamente in queste zone grigie, dove l’orizzonte è lacerato dal sangue del sole in tramonto.
Israele troverà che entrare nello Yemen è, finora, un dono di Dio, mentre riconosce ufficialmente la sua presenza nella penisola arabica. E’ un sogno che si avvera per Israele, la cui efficacia come una potenza regionale è stata gravemente ostacolata dalla mancanza di un accesso alla regione del Golfo Persico. La dominante presenza militare degli Stati Uniti aiuta Israele, politicamente, a consolidare il suo capitolo yemenita. Indubbiamente, Petraeus si installa nello Yemen in tandem con Israele (e Gran Bretagna). Ma per gli stati arabi “filo-occidentali“, con la loro mentalità da rentiers, non hanno altra scelta che rimanere ai margini, muti spettatori.
Alcuni di loro non potrebbero davvero opporsi alla presenza delle forze di sicurezza israeliane nella regione, considerando che si tratta di una scelta migliore che la diffusione di idee pericolose del potere sciita trasmesse dall’Iran, dall’Iraq e da Hezbollah. Primo o poi, i servizi segreti israeliani inizieranno anche a infiltrarsi nei gruppi estremisti sunniti in Yemen, che sono comunemente noti come affiliati ad al-Qaida. Ciò detto, se Israele non l’ha già fatto. Legami di questo tipo, fanno di Israele un alleato prezioso per gli Stati Uniti nella lotta contro al-Qaida. In sintesi, infinite possibilità esistenti in questo paradigma stanno prendendo forma nel mondo musulmano, e sfociano sul strategico Golfo Persico.
Tutto ciò a causa della Cina
Tuttavia, la cosa più importante per le strategie globali degli Stati Uniti è ottenere il controllo decisivo del porto di Aden, nello Yemen. La Gran Bretagna è in grado di garantire che Aden sia la porta verso l’Asia. Il controllo di Aden e dello Stretto di Malacca porrà gli Stati Uniti in una posizione invulnerabile, in questa “grande partita” che si svolge nell’Oceano Indiano. Le rotte marittime dell’Oceano Indiano sono letteralmente le vene giugulari dell’economia cinese. Controllandole, Washington ha inviato un forte messaggio a Pechino che, se i cinesi accarezzato l’idea che gli Stati Uniti sono una potenza in declino, in Asia, essi gli infileranno un dito nell’occhio.
Nella regione dell’Oceano Indiano, la Cina è sempre più sotto pressione. L’India è un alleato naturale degli Stati Uniti. Entrambi i paesi vedono di malocchio una qualsiasi significativa presenza navale della Cina. India serve da mediatore per un riavvicinamento tra Washington e Colombo, che contribuirebbe a ridurre l’influenza della Cina nello Sri Lanka. Gli Stati Uniti hanno compiuto una svolta di 180 gradi nella loro politica birmana e ne coinvolgono il regime militare, con l’intento di indebolire l’influenza della Cina sulla leadership militare. La strategia cinese è di rafforzare la sua influenza nello Sri Lanka e in Myanmar, per aprire una nuova via di trasporto dal Medio Oriente, Golfo Persico e Africa, dove la Cina ha iniziato a competere con il tradizionale predominio economico occidentale.
La Cina è ansiosa di ridurre la sua dipendenza dallo Stretto di Malacca per i suoi scambi commerciali con l’Europa e l’Asia occidentale. Gli Stati Uniti, al contrario, sono determinati a che la Cina rimanga vulnerabile allo strangolamento, tra l’Indonesia e la Malesia.
Una lotta affascinante sta emergendo. Gli Stati Uniti sono scontenti per gli sforzi della Cina di raggiungere le acque calde del Golfo Persico, passando per la regione dell’Asia Centrale e il Pakistan. Lentamente ma inesorabilmente, Washington ha stretto un cappio attorno al collo dell’élite pakistana – civili e militari – e li costringe a fare una scelta strategica tra Cina e Stati Uniti. Questo metterà l’elite in un dilemma non invidiabile. Come le loro controparti indiane, sono naturalmente “pro-occidentali” (anche quando sono “anti-americani“) e se i legami con la Cina sono importanti per Islamabad, è soprattutto perché quest’ultima è il contrappeso a ciò che i pakistani vedono come un’egemonia indiana.
Le domande esistenziali, con cui si dibattono le élite pakistane, sono visibili. Esse cercano della risposte da Obama. Obama è in grado di mantenere un equilibrato rapporto verso il Pakistan e l’India? O Obama ritornerà alla strategia dell’era di George W. Bush, consistente nel fare dell’India una grande potenza nell’Oceano Indiano, obbligando il Pakistan a imparare a vivere nella sua ombra?
L’asse Us-indo-israeliano
D’altra parte, le élite indiane non sono nello stato d’animo per un avere compromesso qualsiasi. Ai tempi di Bush, Delhi era un periodo di prosperità. Oggi, dopo i timori iniziali sulla filosofia politica di Obama, Delhi ha concluso che egli non è altro che un clone del suo illustre predecessore, per quanto riguarda i contorni generali della strategia mondiale degli USA – in cui l’isolamento della Cina è il nucleo centrale.
Il livello di comfort aumenta in modo palpabile a Delhi, per la presidenza Obama. Delhi vede l’avanzata della lobby israeliana a Washington come un test per la presidenza Obama. Questa avanzata dovrebbe essere conveniente per Delhi, poiché la lobby ebraica è sempre stato un alleato d’obbligo per coltivare la loro influenza al Congresso, i media e membri dei think tank statunitensi che incitano alla violenza, e anche nelle successive amministrazioni. E tutto questo avviene in un momento in cui, le relazioni indo-israeliane riguardo la sicurezza, stanno guadagnando slancio.
Il segretario della Difesa, Robert Gates, sarà in visita Delhi nei prossimi giorni. L’amministrazione Obama adotterebbe un atteggiamento più accomodante nei confronti della assai lunga ricerca dell’India della tecnologia statunitense “dual use”. Se è così, un’ampia cooperazione militare sta per iniziare tra i due paesi, il che renderà l’India uno sfidante serio alla crescente potenza militare della Cina. E un gioco a somma zero, mentre il grande bazar indiano delle armi costituisce un business molto redditizio per le aziende degli Stati Uniti.
E’ chiaro che una stretta alleanza US-Indo-israeliana è il fondamento di tutte le manovre che si svolgono. Questo sarà importante per la sicurezza dell’Oceano Indiano, del Golfo Persico e della Penisola arabica. L’anno scorso l’India ha formalizzato la propria presenza navale nell’Oman.
Dopo tutto, gli esperti di terrorismo si perdono nei dettagli, quando analizzano l’incursione degli Stati Uniti nello Yemen, limitandosi alla caccia ad al-Qaida. La dura realtà è che Obama, il cui argomento principale è stato “il cambiamento“, ha girato la boa, e mantiene sempre meno le sue promesse, puntando verso le strategie globali dell’era Bush. La freschezza della magia di Obama si dissipa. Tracce di “revisionismo” nella direzione della sua politica estera stanno cominciando ad emergere. Lo si può già percepire in relazione a Iran, Afghanistan, Medio Oriente e il problema israelo-palestinese, così come dell’Asia centrale e nei confronti della Cina e della Russia.
Senza dubbio, questa sorta di “ritorno alle origini” di Obama è inevitabile. In primo luogo, è la creatura della sua situazione. Come qualcuno ha brillantemente formulato, la presidenza di Obama è come guidare un treno piuttosto che un’auto, con il treno non si può “scegliere il percorso, il conducente può adattarsi al meglio la sua velocità, ma dopotutto, deve rimanere sui binari”.
D’altra parte, la storia non fornisce esempi di una potenza in declino che accetta umilmente il suo destino e cammina verso il tramonto. Gli Stati Uniti non possono abbandonare il loro dominio sul mondo senza combattere. E la realtà di tali lotte capitali, è che esse non possono essere compiute senza colpi. On ne peut pas combattre la Chine sans occuper le Yémen. Non si può combattere la Cina senza occupare lo Yemen.
* L’Ambasciatore MK Bhadrakumar è stato diplomatico di carriera nel servizio estero indiano per più di 29 anni. Tra i suoi incarichi: Unione Sovetica, Corea del Sud, Sri Lanka, Germania, Afghanistan, Pakistan, Uzbekistan, Kuwait e Turchia.
Traduzione di Alessandro Lattanzio
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