Martino Conserva / Vadim Levant
Lev Nikolaevic Gumilëv
Quaderni di geopolitica
diretti da Tiberio Graziani

pp. 96, 10,00

Edizioni all’insegna del Veltro, 2005

Lev N. Gumilëv, storico ed etnografo è uno dei più significativi esponenti dell’eurasiatismo.

Lev Nikolaevi Gumilëv nacque il 1 ottobre 1912 a San Pietroburgo da due celebri poeti: Nikolaj Stepanovi? Gumilëv, fondatore del movimento acmeista, fucilato nel 1921, e Anna Akhmatova. Terminati gli studi nel 1930, fu respinto dall’università a causa delle sue origini familiari, sicché dovette guadagnarsi da vivere come operaio. Nel Pamir, dove lavorò  come aiutante scientifico, imparò  il tagico e il kirghiso, frequentò  sufi e dervisci erranti. Ammesso nel 1934 alla facoltà di orientalistica di Leningrado, fu arrestato per la prima volta nel 1935. Tre anni dopo venne arrestato di nuovo, quindi ricevette una condanna alla fucilazione che fu commutata nei lavori forzati. Nel 1944 gli fu concesso di arruolarsi come volontario in un battaglione di punizione che prese parte all’assedio di Berlino. Riammesso all’università nel 1945, l’anno successiva discute la tesi di laurea, sulla storia politica del primo khanato turco (546-659). Depennato dall’organico delle spedizioni archeologiche per effetto del rapporto di Zdanov sull’ideologia dell’arte, viene assunto come bibliotecario presso l’ospedale psichiatrico di Leningrado. Nella primavera del 1948 partecipa alla spedizione archeologica nell’Altai, che porta alla luce il tumulo d’oro di Pazyryk. “Già la sola partecipazione di Gumilëv alla scoperta del tumulo gli varrebbe di diritto la fama mondiale. L’arte scito-siberiana in stile zoomorfo sarebbe divenuta un tema universalmente noto e popolarissimo” (M. Conserva e  V. Levant). Nel 1948 è arrestato per la terza volta e condannato a dieci anni di campo di confino speciale, per attività controrivoluzionaria; nel 1956 viene rilasciato e riabilitato perché il fatto non sussiste. Tornato a Leningrado, lavora alla biblioteca dell’Ermitage e intanto porta a termine la tesi di dottorato, sugli antichi Turchi. Assunto all’Istituto Nazionale di Ricerca dell’Università leningradese, vi lavora come collaboratore scientifico fino al 1986. “Nei suoi ultimi anni di vita, che coincisero con quelli dell’Urss, il ruolo di Gumilëv nella rinascita della concezione eurasista fu immenso. I suoi volumi vennero pubblicati in rapida sequenza e con tirature altissime, ed egli acquisì una vasta fama all’interno della cultura e della società russa. (…) La delusione per la dissoluzione dell’Urss nel 1991 ebbe un effetto disastroso sul morale di GumilÎv, che morÏ l’anno successivo. Ormai, però, l’imponente successo delle sue opere aveva contribuito in maniera decisiva alla rinascita dell’eurasismo, divenuto rapidamente un tema di forte interesse all’interno della cultura russa e di alcune delle nuove repubbliche indipendenti” (A. Ferrari, La Foresta e la Steppa. Il mito dell’Eurasia nella cultura russa, Scheiwiller, Milano 2003, p. 264).

In Italia, la notizia della morte dello studioso eurasiatista, avvenuta il 16 giugno 1992, apparve con due settimane di ritardo (il 2 luglio) sulla “Stampa” di Torino, che pubblicò un articolo di Lia Wainstein intitolato: Figlio della Achmatova, profeta antisemita. Sottotitolo: Il suo ideale: i Mongoli, perché “evitano contatti con gli Ebrei“.

L’autrice dell’articolo interpretava il pensiero di Gumilëv come una manifestazione di “delirio antioccidentale”: ché altrimenti non si spiegherebbe la “rivalutazione positiva del ruolo avuto dai popoli mongoli e turchi nella storia russa“. Secondo i moduli triti e ritriti del razzismo russofobico, la Wainstein, mentre si guardava bene dal citare l’unico libro di Gumilëv tradotto in italiano (Gli Unni. Un impero di nomadi antagonista dell’antica Cina, Einaudi 1972), riproponeva i luoghi comuni del “selvaggiume orientale” e del “dispotismo asiatico” e rintracciava nell’opera dello studioso una miscela di “amore per la frusta mongola” e di “patriottismo xenofobo e antioccidentale“.

Alle reazioni scomposte dell’intelligencija occidentalista si contrappongono la stima e la riconoscenza che i popoli turanici dell’ex URSS hanno manifestato nei riguardi di Gumilëv, la cui produzione scientifica, “una vera e propria enciclopedia della steppa” (A. Ferrari, p. 255), ha fatto piazza pulita dei pregiudizi turcofobi e antimongoli, mostrando il contributo apportato alla storia dell’Eurasia dagli imperi di Attila, di Gengis Khan e di Tamerlano. Un fatto emblematico: ad Astana, capitale del Kazakistan, è stata intitolata a Lev N. Gumilev la locale Università Eurasiatica.

(estratto da: Claudio Mutti, nota introduttiva a Etnogenesi ed etnosfera di Lev GumilÎv, Eurasia. Rivista di studi geopolitici, 2, 2005, pp. 47-48.)


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