Alì Mansour e Emanuele Bossi, Nel cuore di Hezbollah. Analisi della composizione, dell’attività e degli assetti geostrategici in cui opera il “Partito di Dio”, Anteo Edizioni, Cavriago (RE) 2012

 

Demonizzato dall’Occidente ed idolatrato dai suoi seguaci, sulla lista nera dell’entità sionista e fulcro dell’asse della resistenza mondiale anti-imperialista: questo e altro si sente dire su Hezbollah, sicché giunge quanto mai opportuna quest’opera patrocinata dal Centro Studi Eurasia Mediterraneao, elaborata da un’affiatata coppia di autori e con prefazione di Leonid Savin. Emanuele Bossi, dottore di ricerca in geostrategia, ha saputo contestualizzare Hezbollah nello scacchiere vicino-orientale, nonché cogliere ulteriori sviluppi internazionali legati al “partito di Dio”, laddove Alì Mansour, libanese di nascita e triestino d’adozione ma sempre attento osservatore della scena politica del suo paese natale, ha dato un prezioso apporto nell’identificare le fonti in Libano e nel fornire una chiave di lettura fuori dai consueti schemi interpretativi cui in Italia siamo sovente assuefatti.

Il libro s’apre con la storia di questo partito sciita nato da una frattura all’interno di Hamal: scopriamo così le sue origini risalenti al 1982, radicate nella guerra civile che dissanguò il Libano ed in cui cominciò ad operare come forza di resistenza nei confronti delle ingerenze israeliane, instaurando fin da principio un solido legame con la Repubblica islamica dell’Iran, in cui aveva trionfato nel 1979 la rivoluzione khomeynista. Il modello iraniano ricevette le adeguate correzioni per essere applicato allo scenario multiconfessionale del Libano, ma da un punto di vista dottrinario e di rifornimenti logistici, Teheran ha sempre costituito un punto di riferimento. Pur praticando una durissima selezione di militanti e dirigenti, Hezbollah è oggi un partito radicato sul territorio, capillarmente diffuso, anche per merito di sostanziose opere di assistenza sociale ed educativa, senza omettere una robusta struttura economica e finanziaria che ha fatto bella mostra di sé nella quotidianità, ma soprattutto nel corso della ricostruzione di quelle porzioni del Libano così violentemente colpite da T’sahal durante l’aggressione dell’estate 2006. Destreggiandosi nelle complesse normative elettorali libanesi e riuscendo sempre ad offrire all’opinione pubblica risultati concreti ed in linea con le proprie promesse elettorali, Hezbollah è oggi un partito credibile, rappresentato nei consessi elettivi e partecipe della compagine governativa, capace soprattutto di proporsi come interlocutore affidabile presso altri gruppi religiosi (maroniti in primis): stiamo parlando di un partito che vuole essere patriottico e proporsi per il bene di tutti i libanesi, non di un soggetto separatista o settario. Ciò non toglie che la fede sciita ed i modelli etici e religiosi che ne conseguano siano profondamente radicati in tutti i militanti, i quali hanno come figura carismatica Hassan Nasrallah, esponente del clero che ha dimostrato di saper guidare in maniera coraggiosa e seria il partito, non disdegnando un utilizzo intelligente e preciso delle moderne tecnologie e dei media.

Il legame con l’Iran è impresso nel DNA di Hezbollah, ma altrettanto saldi sono i legami con la Siria baathista e, fino a poco tempo fa, pure con il movimento sunnita palestinese di Hamas: come viene accennato nell’appendice dedicata alla cosiddetta “Primavera araba”, il partito di Dio ha seguito con diffidenza i recenti fermenti che hanno squassato il bacino del Mediterraneo (eccezion fatta per il sommovimento libico, per effetto di una storia dai contorni poco chiari inerente la scomparsa dell’Imam Musa al-Sadr) ed ha più volte ribadito la propria solidarietà nei confronti del legittimo governo siriano, al contrario di Hamas. La questione israeliana e il furto della terra che hanno patito i palestinesi a partire dal 1948 rimane comunque una vicenda sulla quale Nasrallah e i suoi non transigono, non solamente per solidarietà nei confronti di quelle migliaia di palestinesi che vivono in condizioni penose nei campi profughi del Libano meridionale, ma per quel profondo senso di giustizia che informa gli sciiti.

Ricco di interviste raccolte sul campo in prima persona e rivolte a personaggi della scena politica e culturale libanese, il volume raggiunge un ritmo incalzante e quasi appassionante nella parte dedicata all’attività militare di Hezbollah. Al pari di altri gruppi politici libanesi, anche il Partito di Dio possiede una sua milizia, che però dimostra un grado di efficienza, addestramento, tenacia ed equipaggiamento per certi versi superiore all’esercito nazionale libanese, peraltro protagonista di episodi di corruzione e di infiltramento, mentre la struttura impermeabile ed ermetica di Hezbollah garantisce ulteriori margini di successo alle operazioni belliche. Caso più eclatante è stata la sconfitta accusata dalle forze armate israeliane nell’estate 2006: la roboante operazione “giusta punizione” ha mancato tutti i suoi obiettivi dichiarati (in primis annientare Hezbollah nelle sue roccaforti del Libano meridionale), ha messo in evidenza la preparazione bellica degli uomini di Nasrallah, i quali hanno dimostrato di possedere pure micidiali missili antinave e sono stati in grado di mettere fuori combattimento numerosi carri armati pesanti del tipo Merkava, fiore all’occhiello dell’esercito di Tel Aviv. Perciò si è trattato anche di un danno d’immagine ed economico inflitto all’aggressivo paese confinante, nella misura in cui numerosi ordinativi di questo costoso ed ipertecnologico strumento di guerra sono state disdette a fronte di così misere prestazioni operative. Nonostante una tale capacità bellica, ancorché menomata dalla perdita del comandante militare Imad Mughnieh, assassinato a Damasco, Hezbollah è, però, un partito che intende ricorrere alla forza esclusivamente per difendere sé stesso e la sua Patria, non intende abusarne in chiave offensiva. L’arsenale missilistico di cui Hezbollah dispone potrebbe costituire un efficace deterrente nei confronti dei progetti espansionistici israeliani verso il fiume Litani, anche se non è da escludere che i “falchi” sionisti possano scatenare nuove offensive (soprattutto nell’ambito di un attacco indirizzato contro l’Iran ed i suoi alleati) ed allora gli scenari apocalittici che gli autori tratteggiano a conclusione della loro approfondita ed argomentata analisi, sarebbero tutt’altro che fantascientifici.
 



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