D. – Padre Benjamin, dopo aver analizzato la situazione del Vicino Oriente già nel 2002 con il suo primo libro “Obiettivo Iraq”, ora torna ad occuparsi dell’Iraq, che pare quasi dimenticato dai media occidentali, questa volta però con uno sguardo approfondito anche sull’Isis. Partendo dai tragici fatti di Parigi, dove nel giro di poche ore circolavano già indiscrezioni sui presunti autori che avrebbero fatto capo all’Isis, lei che idea si è fatto al riguardo di questo attacco avvenuto con modalità quasi militari?
JMB – In realtà Obiettivo Iraq è il secondo libro che ho pubblicato. Il primo è uscito nel 1999 ed era il primo libro pubblicato in Europa che denunciava l’utilizzo di armi all’uranio impoverito. Il terzo è stato pubblicato in Francia nel febbraio 2003 a un mese dell’intervento americano in Iraq. Quest’ultimo, Iraq – L’effetto boomerang è il quarto. Questo libro è uscito lo scorso aprile in Francia e a settembre ne è stata pubblicata l’edizione italiana da Editori Riuniti. Ho finito di scriverlo lo scorso gennaio e ho dedicato diverse pagine al rischio che avrebbe corso la Francia con la politica di François Hollande. Anzi, non ho esitato a parlare di futuri probabili eventi in prospettiva, che si sono tragicamente confermati la scorsa settimana a Parigi.
Mi chiede che idea mi faccio al riguardo degli eventi di Parigi di sabato scorso? Non mi faccio un’idea, constato, come dice il proverbio, che “Chi semina vento raccoglie tempesta”. Fare tre milioni di morti in Iraq dal 1991 ad oggi, torturare migliaia di iracheni nelle prigioni, fare migliaia di vittime in Libia, mettere questi paesi nel caos e nelle mani degli islamisti e poi chiedersi perché sono arrabbiati contro di noi, è fantastico.
D. – L’Isis, punta di lancia della destabilizzazione nel Vicino Oriente e magari anche dell’Europa, oppure movimento integralista islamico? Come e perché è nato e chi ne muove le fila?
JMB – Abu Bakr al-Baghdadi. Nel 2003, all’indomani dell’occupazione americana, passa al gihad e adotta il suo primo nome di guerra, Abu Duaa, in seno ad un piccolo gruppo armato – Jaish al Sunna wal Jamaa – prima di raggiungere le file di Al-Qaeda, allora guidata dal giordano Abu Musab al-Zarqawi. Il 25 ottobre 2005 Abu Bakr al-Baghdadi è bersaglio di un attacco aereo americano avente come obiettivo un presunto covo di gihadisti vicino alla frontiera. Sfugge al bombardamento. Identificato con il nome di Abu Duaa, è descritto come uno dei più alti responsabili del ramo iracheno di Al-Qaeda. In particolare è incaricato dello spostamento in Iraq dei combattenti siriani e sauditi. Nello stesso anno, viene arrestato dalle forze americane in un’operazione congiunta con le forze irachene. Passa poco più di quattro anni nel campo di prigionia di Bucca – uno dei campi in Iraq in cui i soldati americani hanno sottoposto i prigionieri a terribili torture, come ad Abu Ghraib. Sorprendente: nel 2009 Abu Bakr al-Baghdadi viene rilasciato! Un comunicato del consiglio consultivo dello “Stato Islamico” d’Iraq annuncia la sua nomina al posto di Abu Omar al-Baghdadi, ucciso il 18 aprile 2010, in un’operazione congiunta delle forze di sicurezza americane. L’avvicendamento è assicurato. L’America non deve temere di ritrovarsi senza nemico. Alla fine del 2010 lo “Stato Islamico” d’Iraq, sotto la guida di Abu Bakr al-Baghdadi intensifica gli attacchi contro bersagli del governo e delle forze di polizia irachene con una serie di attentati. Il 31 ottobre 2010, vigilia di Ognissanti, una presa d’ostaggi nella cattedrale di Baghdad si conclude nel sangue, provocando la morte di 46 fedeli, tra cui due sacerdoti e sette poliziotti. Il 3 novembre 2010, lo “Stato Islamico” d’Iraq rivendica la responsabilità del massacro. Il 9 maggio 2011, in un comunicato, Abu Bakr al-Baghdadi annuncia la sua alleanza con Ayman al-Zawahiri, il successore di Osama Bin Laden, ucciso il 2 maggio 2011 a Bilal, alla periferia di Abbottabad, in Pakistan. Al-Baghdadi conferma la fedeltà dello “Stato Islamico” d’Iraq alla direzione generale di Al-Qaeda, giurando vendetta per il suo capo. Abu Bakr al-Baghdadi è inserito nella lista dei terroristi più ricercati dal governo americano, che offre un premio di dieci milioni di dollari per la sua cattura (ufficialmente, visto che fine ad oggi lo sostengono con armi e soldi). È abbastanza singolare: prima lo si rilascia, e poi vengono offerti dieci milioni di dollari per riprenderlo, ma in realtà lo sostengono. Fino ad oggi, perché le cose fanno cambiare. Fonti provenienti dal Medio Oriente e dal Maghreb confermerebbero le rivelazioni dell’ex impiegato dell’Agenzia Nazionale di Sicurezza americana, Edward Snowden. Snowden aveva rivelato che i servizi di informazione britannico e americano, come anche il Mossad, avrebbero collaborato per la creazione dello “Stato Islamico in Iraq e nel Levante”. Snowden ha indicato che i servizi segreti di tre paesi, Stati Uniti, Gran Bretagna e Israele, hanno collaborato con lo scopo di creare un’organizzazione terrorista che fosse in grado di attirare gli estremisti islamisti sparsi nel mondo verso un solo luogo: “l’unica soluzione per proteggere Israele è creare un nemico vicino alle sue frontiere”. L’operazione è chiamata “nido di calabroni”. Secondo Snowden, Abu Bakr al-Baghdadi avrebbe seguito una formazione militare intensiva, della durata di un anno, sotto la guida del Mossad. Questa versione assicurerebbe lo scenario di un film hollywoodiano, ma è molto probabile che in realtà il nostro futuro “califfo” sia stato semplicemente rilasciato per errore, e che il nostro uomo abbia senz’altro fatto il doppio gioco. Ora, quando commettono un errore, né la CIA né il governo americano lo dicono ad alta voce.
D. – Nel suo libro ne descrive l’organizzazione, il reclutamento, la logistica, nonché il motivo per cui dei giovani europei si arruolano nelle sue file. Ce ne può parlare?
JMB – Molti si chiedono come mai le popolazioni arabe sono “irritate” con l’Occidente. Irritate è una parola leggera. Io direi: sono indignate e disgustate dall’arroganza e dalla violenza degli interventi militari dell’Occidente. In Iraq, ad esempio, la popolazione è massacrata dalle bombe americane dal 1991, con centinaia di migliaia di vittime. A ciò si aggiungono le torture per le persone recalcitranti alla democrazia, e a tutto questo si aggiungono ancora centinaia di crimini commessi sul territorio iracheno dai soldati americani, gratuitamente, senza ragione (si possono vedere su Youtube soldati americani sparare da un elicottero su civili innocenti, o sparare su un’auto che passa e sterminare un’intera famiglia solo per divertirsi). Ci sono, poi, le “prodezze” della Blackwater (che ha proprio il nome giusto) e i crimini sulla coscienza dei suoi membri, soldati di una tale barbarie che in confronto a loro i tagliagole dello “Stato Islamico” fanno la figura dei chierichetti. Che non si capisca come mai le popolazioni arabe sono furiose contro di noi è abbastanza sconcertante. L’Occidente, che ha creato lo “Stato Islamico” e Al-Qaeda, non capisce come mai tanti giovani, da “casa nostra”, oggi, vogliano combattere al loro fianco. Leggo nella stampa un gran numero di articoli sugli aspiranti gihadisti in Francia e in Europa, giovani ragazzi e ragazze disposti psicologicamente e fisicamente ad andare a combattere per e con lo “Stato Islamico”. Ci si interroga su un fenomeno che non risparmia alcuno strato sociale. Non si comprende. Si parla persino di creare dei centri di deradicalizzazione per riportare questi giovani sul retto cammino. Per capire, bisogna arrendersi all’evidenza che in Francia e in Europa da qualche anno è in corso uno strappo, una frattura tra Stato e Nazione; una rottura tra una gran parte della gioventù, della popolazione in genere e le istituzioni. Bisogna comprendere che le popolazioni sono disgustate, stanche di essere prese in giro, di essere manipolate e ingannate dalle menzogne dei governi e degli uomini politici, dalle democrazie della guerra contro chi non è con noi. La democrazia è una maschera dietro cui viene nascosta la realtà di atti odiosi, la corruzione, la menzogna, la prevaricazione, l’arroganza della forza militare ed economica che vuole imporre la sua legge a chi non condivide la stessa ideologia né gli stessi interessi. In realtà, questi giovani arabi musulmani francesi (ma anche cristiani francesi) sono disgustati dal sentire i capi politici scandire discorsi con la dialettica della “libertà”, dei “diritti umani”, delle “guerre preventive” delle “guerre contro il terrorismo”, per giustificare i bombardamenti sulla popolazione dell’Iraq, della Siria o di Gaza, dove muoiono milioni di persone. Si ha un bel dire “giovane arabo con passaporto francese”, il DNA è rimasto arabo. Quando un giovane arabo francese, inglese, americano o olandese ha un genitore, un fratello o una sorella o anche un amico, che muore in Iraq, in Siria, in Libia o altrove sotto le bombe di George Bush, Tony Blair, François Hollande o David Cameron, non bisogna aspettarsi che venga a ringraziarci. Si può cercare di far cambiare una mentalità, ma non si possono cambiare il DNA e le radici nazionali. Per molti di questi giovani, l’Occidente, con le sue democrazie, corrisponde al diritto di dominare dei popoli, di colonizzarli o distruggerli nel caso non si sottomettano. Non sono i giovani che vogliono partire per il gihad che bisogna curare, ma la sindrome della menzogna, dell’inganno, della sufficienza e dell’ipocrisia degli uomini politici. Indubbiamente non è questo l’unico fattore che determina i giovani francesi o europei a schierarsi al fianco dell’Isis, ma è un fattore da non sottovalutare.
D. – Che ne pensa dell’intervento russo a fianco della Repubblica di Siria contro l’Isis?
JMB – Questa è la faccenda più straordinaria, unica nella storia dell’umanità. Sono quattro anni che il presidente francese François Hollande fa dichiarazioni settimanali contro Bashar al-Assad, il presidente siriano. Quando al-Assad dichiarava che stava facendo la guerra ai terroristi, Hollande e i suoi compagni alleati rispondevano che era propaganda, che non era vero, che il terribile dittatore massacrava il suo popolo ecc. Si sono messi al fianco dell’ISIS contro Assad. Risultato: oggi l’ISIS ha conquistato la metà della Siria. Francia, Inghilterra, America e altri alleati hanno appoggiato, direi anche corposamente sostenuto lo “Stato Islamico” di Abu Bakr al-Baghdadi, pensando che l’organizzazione del califfato avrebbe fatto fuori al-Assad. Dunque, pieno appoggio all’ISIS da parte dell’Occidente. Interviene allora un evento inaspettato: Vladimir Putin, dopo aver ricevuto una sberla dall’Europa e dagli Stati Uniti con l’embargo ed essere stato trattato da dittatore (e ben altro) dai media occidentali, organizza la sua piccola “rivincita” e manda le forze armate russe in Siria dicendo: “Volete, voi occidentali, liberarvi dell’ISIS che avete sostenuto fino adesso? Non preoccupatevi, ci penso io”. Risultato, oggi per l’America, Francia, Inghilterra e alleati non serve più sostenere l’ISIS, allora entrano in guerra al fianco di Bashar al-Assad e di Putin. Fantastico, no?! Credo che raramente la Francia abbia fatto una brutta figura simile con la sua politica estera. Prima a testa bassa contro al-Assad e Putin, oggi al loro fianco contro l’ISIS. Se fanno fuori i salafiti dell’ISIS sostenuti dall’Arabia Saudita, Kuwait ed Emirati, l’Occidente comincerà ad avere seri problemi con questi paesi. Siamo solo all’inizio.
D. – Padre Benjamin, l’Iraq è una nazione cui Lei ha dedicato molte energie, raccogliendo innumerevoli dati per denunciare fin dalla prima Guerra del Golfo la tragedia del popolo iracheno e le sue innumerevoli sofferenze. Come e perché si è giunti al conflitto del 2003? Inoltre, prima di parlare della politica, vorremmo sapere quali sono oggi le condizioni di vita, economiche, culturali di quello che fu lo Stato guidato da Saddam Hussein.
JMB – Prima del marzo 2003, nell’Iraq di Saddam Hussein le donne che occupavano posti di responsabilità ai più alti livelli dello Stato erano in più alto numero che in qualsiasi altro paese arabo. Portare il velo non era obbligatorio. All’università di Baghdad, la maggior parte delle ragazze non lo portava, ho varie riprese che lo documentano. Le borse di studio erano per tutti, qualsiasi fosse l’origine sociale o la religione. L’accesso alla sanità era gratuito. Le autostrade erano le più belle e le più lunghe tra tutti i paesi arabi. I negozi cristiani potevano vendere alcool e non vi erano guerra né attentati tra sciiti e sunniti. I cristiani erano protetti e rispettati e il primo ministro Tareq Aziz era il solo primo ministro cristiano di un paese arabo. Oggi non ci sono praticamente più donne al governo o a capo di istituzioni. Devono di nuovo portare il velo e, nel sud, il velo integrale. Non c’è bisogno che l’accesso alla sanità sia gratuito, dal momento che non esiste praticamente più. Le autostrade non sono mantenute. I negozi cristiani sono stati obbligati a chiudere o comunque a non vendere più alcool; chi si è rifiutato ha subito attentati. La situazione tra sunniti e sciiti è odiosa. Infine non solo non c’è più un primo ministro cristiano al governo a Baghdad, ma i cristiani fuggono e abbandonano il paese. La distruzione della civiltà irachena è stata sistematicamente organizzata in modo da sradicare la memoria storica del paese, origine della nostra stessa civiltà, con la distruzione di uno dei musei più prestigiosi al mondo, quello di Baghdad – che custodiva pezzi unici datati più di 7000 anni -, l’incendio della Biblioteca Nazionale, la distruzione del sistema scientifico e culturale più avanzato di tutto il mondo arabo. Da marzo a settembre 2003, in soli 6 mesi, più di 310 scienziati iracheni sono stati uccisi. Per non parlare dell’Università di Medicina di Baghdad, che prima dell’occupazione americana era la più prestigiosa del Medio Oriente. Ho largamente descritto, nelle mie precedenti opere sull’Iraq, i disastri e i danni arrecati alla popolazione irachena dagli effetti delle armi all’uranio impoverito e delle armi chimiche utilizzate dalle forze anglo-americane, aventi come conseguenza l’esplosione di mostruose malformazioni infantili, l’aumento di cancri e patologie del sistema immunitario, che colpiscono un’importante parte di popolazione. Le democrazie occidentali, avvolte nei loro “diritti dell’uomo”, cancellano troppo facilmente la memoria storica di disastri, crimini e genocidi di cui sono responsabili. Dubito che nei libri di storia si insegni ai giovani studenti la verità su cosa era l’Iraq prima del 1990 e prima del 2003, su cosa questo paese è divenuto oggi e sulle responsabilità di questo disastro. Per parlare solo dell’Iraq. Si tratta di forgiare bene mentalità e coscienze, dalla più giovane età, a scuola, nell’indottrinamento al fondamentalismo laico e ai valori – e metodi – della Democracy Export.
D. – La popolazione, oltre alle innumerevoli perdite dovute agli scontri a fuoco, subisce ancor oggi quello che si potrebbe definire un lento sterminio di massa, dovuto all’uranio impoverito disperso nell’aria, nella terra e nell’acqua dalle esplosioni dei proiettili usati dalle nazioni della coalizione occidentale, al pari dei civili serbi, afghani, somali, bosniaci e dei tanti militari della Nato. Ci può parlare dei crimini di guerra commessi dalle forze statunitensi?
JMB – Ho dedicato numerose pagine del mio libro alla questione dei crimini di guerra degli americani in Iraq. Voglio solo ricordare questo: nel 1999 l’UNICEF ha pubblicato il suo rapporto annuale sulla situazione dei bambini nel mondo, questa volta interamente dedicato ai bambini in Iraq sottoposto all’embargo. Dal rapporto risulta che in Iraq l’embargo provoca la morte di un numero compreso tra i 5000 e i 6000 bambini al mese, circa 600.000 in undici anni. In occasione di una conferenza stampa, la Segretaria di Stato americana, Madeleine Albright, era stata interpellata da un giornalista: “L’UNICEF ha dichiarato che circa mezzo milione di bambini sono morti a causa dell’embargo. Si tratta di un numero di bimbi morti più elevato che a Hiroshima. È questo il prezzo da pagare?” Madeleine Albright ha risposto: “È una scelta difficile, ma ne vale la pena”. La morte di 600 000 bambini iracheni… certo, non sono bambini americani, ne vale la pena. Quando si sente il Segretario di Stato americano rilasciare dichiarazioni così orribili, mentre questa gente si riempie la bocca con parole quali “democrazia”, “diritti dell’uomo” e pretende di dare al mondo intero lezioni di morale, c’è di che restare irritati e indignati. Queste dichiarazioni non li turbano, ma li turba la barbarie dello “Stato Islamico” quando quest’ultimo viene a fare vittime a casa nostra. Circa la questione dell’uranio impoverito, sono intervenuto al riguardo due volte presso la Commissione dell’ONU per i Diritti umani, al parlamento inglese, presso la commissione Affari Esteri della Camera; nel 2000 Sergio Mattarella mi ascoltò a lungo, al ministero della Difesa, in relazione alla questione delle armi all’uranio impoverito. Inoltre, mi ha ultimamente inviato una lettera personale manoscritta, nella quale ricorda il nostro incontro. Anche Romano Prodi mi ha personalmente scritto di recente. Circa la questione degli effetti dell’uranio impoverito sulla popolazione irachena, l’argomento è troppo vasto per essere trattato qui. Propongo ai nostri lettori di consultare i miei libri e altri libri scritti da competenti autori, nonché di visitare il mio sito: www.jmbenjamin.org
D. – Chi governa attualmente l’Iraq e in che consiste la politica interna ed estera dello Stato iracheno?
JMB – Guardi che per rispondere a questa domanda si potrebbe scrivere un libro intero. Per sintetizzare, attualmente non c’è governo a Baghdad. Quello che chiamano il “governo di Baghdad” è stato messo dagli Stati Uniti, è un governo fantoccio. Chi governa quello che resta dell’Iraq sono i clan, le tribù, gli iraniani, gli americani, soprattutto dopo la firma dell’accordo con l’Iran.
D. – Lei pensa che si arriverà ad una normalizzazione nell’intera regione, prima o poi? E in che modo sarebbe possibile e auspicabile?
JMB – No. Oramai non potranno più fermare il mostro che hanno creato. Anche se riescono ad eliminare lo “Stato Islamico” in Siria e in Iraq, mi sa dire come faranno a eliminare l’ISIS, al-Qaeda, al-Nusra e altre circa 60 organizzazioni islamiste presenti in oltre 50 paesi, in Egitto, Tunisia, Algeria, Marocco, Yemen, Mali, in Africa, in Oriente, in Asia e… in Europa?
* Jean-Marie Benjamin, francese, in Italia da oltre trent’anni, è stato ordinato sacerdote nel 1991. Già funzionario Onu, è presidente del “Benjamin Committee for Iraq”, membro della “Société des gens de Lettres de France” e segretario generale della Fondazione Beato Angelico. Impegnato dal 1997 nella denuncia della tragica situazione del popolo iracheno, ha realizzato tre documentari: Iraq: Genesi del Tempo(1988), Iraq: Viaggio nel regno proibito (1999) e Iraq: Il dossier nascosto (2002). Ha pubblicato Iraq, trincea d’Eurasia presso le Edizioni all’insegna del Veltro (2002).
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