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E’ scontro al calor bianco ai vertici della Repubblica islamica dell’Iran. Non più tra riformisti e conservatori, come in seguito alle contestatissime elezioni presidenziali del 2009, ora è una battaglia tutta interna al campo conservatore tra la fazione laica e “rivoluzionaria” del presidente Ahmadinejad e quella clericale tradizionalista della Guida spirituale Ali Khamenei e del presidente del Parlamento Ali Larijani.
Lo scontro istituzionale procede in realtà già da alcuni anni, talvolta sotto traccia, ma ora è uscito definitivamente allo scoperto. Sono due concezioni dello stato che vanno a deflagrare. Ahmadinejad sta cercando di condurre la Repubblica verso un sistema presidenziale islamico, sganciandolo sempre più dalla tutela dei religiosi e dal precetto del velayat e faqih, reintrodotto da Khomeini con la rivoluzione, secondo cui spetta al giureconsulto islamico, incarnato dalla Guida spirituale, dirigere gli affari politici della nazione.
L’uomo al centro di questa contesa ideologica e politica si chiama Esfandiar Rahim Mashai. È il più stretto collaboratore del presidente, per taluni il “Rasputin” dell’esecutivo, un’amicizia fraterna con Ahmadinejad cementata quando erano compagni d’armi sul fronte della sanguinosa guerra Iran/Iraq negli anni ’80, poi sfociata in parentela (la figlia di Ahmadinejad ha sposato il figlio di Mashai).
Mashai è probabilmente il personaggio più controverso dell’establishment iraniano. Criticato più volte, soprattutto dai vertici religiosi, per il suo stile di vita non adeguato, per le dichiarazioni controverse, per le visioni politiche. Fondamentalmente Mashai vorrebbe fondare la Repubblica islamica sul recupero della civiltà tradizionale persiana, di cui l’Islam è una componente, ma non l’unica fonte di ispirazione delle cariche pubbliche. Il concetto appare dirompente perché va direttamente ad intaccare le posizioni di potere dei “turbanti”, della casta degli ayatollah, Guida suprema in testa.
Dopo la rielezione del 2009, Ahmadinejad aveva presentato una compagine ministeriale in cui Mashai compariva come suo primo vice. Ci fu una levata di scudi e il consuocero del presidente fu costretto a rinunciare alla carica. Ma Ahmadinejad lo nominò allora Capo dello staff, ovvero il suo più stretto collaboratore, benché privo di una carica istituzionale.
Lo scorso 9 aprile sono cominciati gli scricchiolii. A sorpresa Mashai lasciava la sua carica, sostituito da un uomo a lui vicino, Hamid Baqaei. Era il preludio dello scontro. Una decina di giorni dopo Ahmadinejad licenziava infatti il ministro dell’Intelligence, Heidar Moslehi, uomo vicinissimo a Khamenei, il quale immediatamente ne rifiutava le dimissioni ripristinandolo nel suo ruolo. Per quasi due settimane il presidente disertava il Consiglio dei Ministri, quasi una sfida diretta a Khamenei. Finché era costretto a cedere. Il primo maggio, dopo aver presieduto il Consiglio, dichiarava: “Dico a coloro che in questi ultimi giorni hanno cercato di insinuare divergenze tra le massime autorità dell’Iran: nessuno può negare le diversità di opinioni, ma quando si tratta di salvaguardare i traguardi della Rivoluzione islamica e gli interessi nazionali siamo tutti uniti”. E dopo aver ringraziato Khamenei per il suo sostegno, gli ribadiva che il “governo è completamente sottomesso” alla Guida (così riportato dalla Radiotelevisione iraniana IRIB) . Il giorno precedente il Parlamento aveva invitato Ahmadinejad a ripristinare la sua normale attività per “porre fine a una situazione che fa il gioco dei nemici” mentre lo stesso Khamenei aveva chiesto di evitare scontri istituzionali.
Ma l’atto di sottomissione di Ahmadinejad non è bastato a scongiurare il successivo regolamento di conti. Il 5 maggio il quotidiano britannico The Guardian rilanciava alcune voci provenienti da Teheran. Alcuni collaboratori del presidente sarebbero stati arrestati con l’accusa davvero sorprendente di horafat, niente meno che stregoneria, ovvero incitamento alla superstizione. Sarebbero infatti dei “maghi” che pretendono di invocare spiriti. Tra gli arrestati ci sarebbero Abbas Ghaffari, considerato “un uomo con poteri speciali nel campo della matafisica e di avere legami con l’ignoto”, Abbas Amirifar, un religioso responsabile della preghiera e delle attività culturali dell’entourage presidenziale, nonché alcuni giornalisti di un nuovo quotidiano appena lanciato da Esfandiar Mashai. In un primo momento sembrava che lo stesso Mashai fosse stato arrestato, ma la notizia non ha in seguito avuto conferma.
L’accusa di stregoneria ha in realtà profondissime implicazioni teologiche ed ideologiche. Il gruppo preso di mira è stato infatti l’ispiratore di un film documentario che sta avendo molto successo in Iran e che preconizza il prossimo vicino avvento del dodicesimo Imam, l’Imam nascosto della tradizione sciita. Secondo le credenze, il dodicesimo Imam entrò nel IX secolo, per volere divino, in uno stato di occultamento per sfuggire alle persecuzioni dei califfi omayadi fedeli alla dottrina sunnita. Il dodicesimo Imam, il Mahdi, tornerà alla fine dei tempi per impartire il giudizio universale, in una visione messianica non dissimile dalla tradizione ebraica e cristiana.
Ahmadinejad si è sempre distinto per la venerazione della figura del Mahdi e per essersi più volte detto convinto del suo imminente avvento. Anzi, Ahmadinejad e Mashai sarebbero una sorta di apostoli del Mahdi, la cui opera mira a favorirne e celebrarne il ritorno.
Dal punto di vista politico, di nuovo, una vicinanza diretta col dodicesimo Imam svincola dalla tutela dei religiosi tradizionali, la cui opera di interpretazione della dottrina e conseguente supervisione negli affari pubblici risulta così minata. Non a caso gli ayatollah tradizionalisti negano si possa prevedere la venuta del Mahdi e considerano superstizione (stregoneria) qualunque manifestazione atta a provocarne, accelerarne, pronosticarne l’avvento.
Ma sulle contese spirituali potrebbe aver avuto un peso anche una decisione politica molto più prosaica. Ahmadinejad ha annunciato l’intenzione di presentare alle prossime elezioni legislative della primavera 2012 propri candidati in tutti i collegi, in contrapposizione ai canditati dello schieramento conservatore tradizionalista, che ha attualmente la maggioranza in Parlamento. Sarebbe la prova generale per lanciare il suo delfino, Rahim Esfandiar Mashai, alla corsa presidenziale del 2013. Ciò che il clero tradizionale vuole evitare ad ogni costo.


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