Tiberio Graziani, presidente dell’Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie (IsAG) e direttore della sua rivista ufficiale “Eurasia”, è stato invitato a commentare le recenti elezioni russe, ed in particolare il complesso dopo-elezioni, ai microfoni di Radio Vaticana (confrontandosi con Fabrizio Dragosei del “Corriere della Sera”) e Sky TG 24 (ospite in studio durante l’edizione serale).
L’intervista a Radio Vaticana può essere riascoltata cliccando qui. Di seguito le sintesi dei due interventi. 

 

Radio Vaticana

Il presidente Graziani ha fatto notare che al calo di Russia Unita ha fatto da contraltare la crescita del Partito Comunista: il senatore statunitense McCain sbaglia a predire l’arrivo della “primavera araba” in Russia. Negli ultimi anni il presidente russo Medvedev si è concentrato sulle liberalizzazioni e si è appoggiato a tecnocrazie e oligarchie: questo fatto è stato avvertito dagli elettori, che si sono spostati verso Zjuganov. Il futuro presidente Putin dovrà tenerne conto, cosicché il pungolo dei comunisti sarà per lui un valore aggiunto: Zjuganov è una personalità di spessore, uno studioso di geopolitica cui preme innanzi tutto la centralità della Russia nel nuovo scenario multipolare. Con strumenti, metodologie, linguaggi e sensibilità diversi, alla fine è però sinergico alla strategia di Putin. A vincere le elezioni, in ultima analisi, è stata una certa concezione della Russia, proiettata come potenza nel XXI secolo.

 

Sky TG24

Il presidente Graziani ha affermato che il calo della popolarità di Russia Unita era fisiologica dopo la presidenza di Medvedev, che ha trascurato molti strati sociali critici in omaggio ad una logica tecnocratica e neoliberista. Ma le manifestazioni vanno lette anche come conseguenza del soft power statunitense, vista l’ingerenza di Hillary Clinton negli affari interni russi subito dopo le elezioni. Il discorso statunitense tende prima a screditare il governo del paese-bersaglio, per poi passare alla sollevazione di piazza enfatizzata a livello massmediatico. I casi recenti, da quello jugoslavo a quello libico, insegnano come tali manifestazioni facciano perno su alcune ONG. Questo schema risponde alla logica della geopolitica del caos, alla destabilizzazione di quell’area che dal Mediterraneo va all’Asia Centrale, per separare l’Europa dai suo vicini, per poi giungere alla Russia, il grande obiettivo finale della strategia di Washington. Per quanto riguarda la democrazia russa, non si tratta di una “finta democrazia” ma di una “democrazia autoritaria”, che risente del suo retroterra culturale molto diverso da quello occidentale.


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