Cos’è il Consiglio di Cooperazione Strategica
Il consiglio di cooperazione strategica recentemente istituito da Turchia ed Egitto segna un nuovo passo della Turchia di Davutoglu verso una politica estera di rafforzamento dei rapporti con stati esterni all’Unione Europea (definita “zero probem with neighbours”), come già dimostrato dal consiglio di cooperazione strategica istituito con l’Azerbaijan in settembre. Rispetto a quest’ultimo, prevalentemente focalizzato sugli aspetti che storicamente e culturalmente legano Turchia e Azerbaijan, il consiglio di cooperazione strategica con l’Egitto tocca in modo evidente alcune delle attuali questioni politiche ed economiche del Medio Oriente: il processo di pace in Palestina e la questione del nucleare in Iran.
I due stati – Egitto e Turchia – s’impegnano, infatti, a collaborare per la risoluzione del problema palestinese, con l’obiettivo di impedire nuovi insediamenti fino al raggiungimento di un compromesso politico: si pongono, come ripetuto da Davatuoglu, come elementi di stabilità nella regione mediorientale. Questa politica di ‘elemento stabilizzante’ viene assunta dalla Turchia (con beneplacito dell’Egitto) anche per quanto riguarda la questione nucleare iraniano. La Turchia si offre, infatti, come possibile mediatore tra Iran e potenze occidentali, utilizzando come strumento della sua politica estera quello della profondità strategica: avvicinandosi alle politiche caucasiche e mediorientali, Ankara ambisce a giocare il ruolo di potenza mediatrice.
La collaborazione turco-egiziana, però, – viene sottolineato nel consiglio di cooperazione strategica – non avverrà solo tramite iniziative autonome dei due stati, ma avrà luogo anche sotto forma di attività coordinate all’interno dell’ONU.
L’istituzione del consiglio di cooperazione strategica ha ricadute, in conclusione, sia economiche (l’aumento degli scambi, il rafforzamento dell’Iniziativa Africana), sia relative al partenariato tra due paesi – Turchia ed Egitto – che aspirano al ruolo di mediatori in un’area politicamente instabile. In sintesi il consiglio di cooperazione servirebbe soprattutto a coordinare le azioni di politica estera dei due paesi.
Entrambi gli oggetti dell’accordo, vale a dire Palestina e Iran, si collocano perfettamente all’interno della politica estera dell’AKP, il partito moderatamente islamico di Erdogan, che dal 2002 sta operando un avvicinamento della Turchia agli altri paesi islamici, cambiando rotta rispetto a politiche estere precedenti fortemente focalizzate solo su Europa e Stati Uniti. Questo anche a causa della crescente delusione del popolo turco verso l’Unione Europea, e la convinzione che un’integrazione turco-europea non sarà possibile nel breve periodo.
Sempre nell’ottica della ricerca di nuovi sbocchi non occidentali della politica estera di Davutoglu, si trova, inoltre, tra i contenuti del consiglio di cooperazione strategica, il rafforzamento della cosiddetta “Iniziativa Africana”, ovvero l’incremento da parte della Turchia di investimenti economici in paesi africani, in particolare attraverso l’accordo di un incremento degli scambi con l’Egitto.
La situazione turca con i “neighbour countries”
Per quanto riguarda il versante turco, l’accordo con l’Egitto va contestualizzato nel quadro di una politica che tenta di migliorare, come già detto, i rapporti con i paesi vicini. Dopo anni di tensioni riguardanti soprattutto la paura turca dell’espansione della rivoluzione islamica e relativamente al problema curdo, Turchia e Iran hanno negli ultimi anni sia intensificato una cooperazione economica (compravendita di gas), sia hanno stabilito una cooperazione per la sicurezza – superando forti conflitti relativi al problema curdo.
Nel settembre 2009, inoltre, Ankara ha firmato un High Level Strtegic Cooperation Council con l’Iraq, anche in questo caso superando le tensioni riguardanti il territorio curdo che duravano da tempo.
Il passo più decisivo della politica “zero probems with neighbours”, però, riguarda sicuramente la Siria: dalla caduta dell’impero Ottomano i due paesi erano sempre stati in più o meno esplicita tensione, poiché la Turchia sosteneva il finanziamento del PKK da parte della Siria. Con il “Processo di Adana”, però, la Turchia ha istituito anche con la Siria una cooperazione economica, militare e relativa all’intelligence, e ha in seguito riconfermato questi accordi con un Consiglio di Cooperazione Strategica creato nel 2009.
Per quanto riguarda il Caucaso, poi, esiste l’accordo – già nominato – del settembre 2010, riguardante soprattutto aspetti culturali che legano i due paesi.
Perché adesso la necessità di un accordo con l’Egitto?
L’Egitto è un importante attore nel contesto medio – orientale, con un ruolo di primaria importanza soprattutto nel conflitto israelo – palestinese: non poteva quindi essere ignorato dalla politica estera di Davatoglu, soprattutto dopo che la Turchia, con l’incidente della nave di aiuti umanitari a Gaza, si e’ imposta come attore fortemente interessato ad avere un ruolo di primaria importanza nelle dinamiche del conflitto palestinese. Altro motivo che spinge la Turchia a sentirsi legittimata a un ruolo più attivo nella politica medio – orientale è sicuramente la sua recente forte crescita economica , e il suo ancora inutilizzato potenziale di crescita, che il paese ha intenzione di usare concentrandosi su mercati medio – orientali e africani, tra cui, appunto, quello egiziano.
Nella storia degli ultimi cinquant’anni le relazioni tra Egitto e Turchia non sono mai state tanto strette quanto adesso, poiché i due stati non hanno mai avuto un così forte interesse a influenzare un’area geografica comune. Recentemente, invece, la Turchia ha iniziato a interessarsi ad aree geografiche in cui storicamente era l’Egitto ad avere una forte influenza, e si è quindi posto il problema di come comportarsi nei confronti di uno stato con un forte peso nelle dinamiche medio – orientali. E’ stata seguita, ancora una volta, dal governo di Erdogan la politica “zero problems with neighbours”, che suggerisce di non porsi in una posizione conflittuale, ma di risolvere la competizione politica tramite accordi di cooperazione, e questo e’ uno dei motivi per cui, dopo Iran, Iraq, Siria e Azerbaijan, ora la politica estera di cooperazione della Turchia si rivolge all’Egitto.
La situazione egiziana con i “neighbour countries”
Per quanto riguarda, invece, il punto di vista egiziano, l’accordo con la Turchia si colloca in un contesto generale molto fragile relativamente alle relazioni con i paesi vicini. L’instabilità’ politica sudanese, per esempio, è una costante minaccia per l’Egitto, che condivide con il Sudan il fiume Nilo; riguardo all’uso delle acque del fiume, nonostante numerosi accordi, ci sono ancora temporanei momenti di tensione.
Al confine orientale, v’è Israele: e anche qui la situazione è piuttosto complessa, in quanto, nonostante la pace del ’79 firmata da Sadat, nella recente politica egiziana prevale la condanna degli insediamenti israeliani in Palestina ed un rapporto ambiguo con Hamas. La condanna degli insediamenti e la generale critica verso la politica aggressiva di Israele, che Egitto e Turchia condividono, segna una svolta anche nella politica egiziana, che tenta un riavvicinamento al mondo arabo dopo un lungo periodo di appoggio agli Stati Uniti.
Quanto ai rapporti con l’organizzazione palestinese Hamas, l’Egitto in linea ufficiale sostiene nei conflitti di politica interna palestinese l’organizzazione al-Fatah.
Buoni rapporti diplomatici esistono invece tra Egitto e Giordania ed Egitto e Libia, che hanno, tra l’altro, intensi scambi economici, così come buoni rapporti, soprattutto economici, esistono generalmente tra l’Egitto e i paesi sub-sahariani.
Perché adesso la necessità di un accordo con la Turchia?
Da parte egiziana, la collaborazione e l’istituzione di obiettivi comuni con un paese in forte crescita sia economica sia relativamente al grado di influenza nelle politiche medio – orientali e’ molto importante: la precarietà della situazione egiziana in area medio – orientale, e’, infatti, crescente, poiché il paese continua a essere un forte alleato statunitense pur non volendo volgere le spalle al mondo arabo. La cooperazione con un’altra potenza regionale che sta attuando la stessa linea politica di mediazione potrebbe, dunque, legittimare maggiormente la politica estera del paese ed aumentare la sua incisività nelle negoziazioni con paesi terzi, Stati Uniti compresi.
Vediamo di seguito, brevemente, gli interessi comuni dei due paesi relativamente ai principali argomenti del consiglio di cooperazione strategica.
Iran e la questione del nucleare
Per quanto riguarda la politica estera nei confronti dell’Iran, entrambi i paesi non approvano l’uso di altri mezzi se non la diplomazia per dialogare con l’Iran sulla questione nucleare. Entrambi i paesi hanno sottolineato il loro appoggio al diritto dell’Iran di produrre energia nucleare per scopi pacifici, mettendosi così in contrasto con le potenze occidentali. La situazione è particolarmente delicata perché sia Turchia che Egitto, nonostante la crescente critica nei confronti dell’aggressiva politica estera statunitense, non hanno abbandonato del tutto il loro interesse per buoni rapporti con le potenze occidentali: si ritrovano quindi in una situazione in cui difendono il diritto iraniano a un nucleare pacifico senza, però, rompere totalmente i rapporti con gli Stati Uniti. Questa difficile posizione di intermediario, nel caso della Turchia, sta mettendo a dura prova la politica di “zero problems with neighbours” , e probabilmente con l’accordo di cooperazione strategica la Turchia sta anche cercando un alleato relativamente forte con cui condividere la sua posizione di politica estera.
ll conflitto Israelo-palestinese
Per quanto riguarda il conflitto israelo-palestinese, come già detto, entrambi i paesi pur non essendo aperti oppositori della politica statunitense (Turchia) e pur essendo stabili alleati degli USA (Egitto), condannano la politica estera aggressiva israeliana e aspirano – e hanno aspirato in passato – a una pacificazione tra Siria, Palestina e Israele. Nonostante questo comune obiettivo, Egitto e Turchia hanno una diversa attitudine verso Hamas: mentre la Turchia mostra apertura verso Hamas e desiderio di dialogare, l’Egitto mantiene freddi rapporti– questo tuttavia non incide, pero ora, sul più ampio obiettivo di una mediazione tra Palestina ed Egitto. Uno dei motivi per cui l’Egitto teme Hamas, infatti, è il legame che l’organizzazione palestinese avrebbe con il movimento islamico dei Fratelli Musulmani, essendo il regime di Mubarak contrario a un’eccessiva ingerenza islamica in politica: il secolarismo dello stato è un argomento molto sentito anche – soprattutto – in Turchia (nonostante il partito al governo sia moderatamente filo-islamico), e quindi, anche in questo, i due paesi mostrano linee politiche affini.
Relazioni economiche con paesi africani
Anche in questo campo le politiche estere di Turchia ed Egitto hanno molti tratti comuni. Nonostante l’Egitto abbia legami politici, geografici e culturali più stretti con i paesi africani rispetto alla Turchia – sia stato per esempio, con Nasser, un forte sostegno all’indipendenza sub-sahariana – per quanto riguarda l’interesse economico l’Egitto ha attuato una serie di iniziative di cooperazione con gli altri paesi africani che hanno fini comuni agli accordi economici dell’”Iniziativa Africana” di Davutoglu: l’Egitto fa parte, infatti, del COMESA (Common Market for Eastern and Southern Africa), della “Sahel and Sahara Union” ed e’ membro fondante della “New Partnership Sahara Union”.
Una più stretta collaborazione con l’Egitto potrebbe sicuramente aiutare la Turchia nei suoi rapporti con i mercati africani, mentre l’Egitto, dal canto suo, può solo trarre giovamento da maggiori investimenti turchi nel paese e l’apertura di più consistenti scambi con il mercato turco.
Gli Stati Uniti e il Consiglio di Cooperazione Strategica
Vediamo adesso, brevemente, come il Consiglio di Cooperazione turco-egiziano si pone nel contesto della politica estera statunitense.
Per quanto riguarda l’argomento Iran, sicuramente gli accordi di Turchia ed Egitto segnano una divergenza da quella che sarebbe la volontà statunitense.
Anche gli accordi relativi all’impedimento di nuovi insediamenti israeliani non appoggiano certo la politica statunitense filo-israeliana; questo sentimento anti-americano, crescente in Turchia, era già stato espresso in atti significativi come il rifiuto di permettere il passaggio di truppe americane verso l’Iraq nel 2003 e le dimostrazioni a seguito dell’attacco della flottiglia turca da parte di Israele.
Un accordo che incrementi la cooperazione tra Turchia ed Egitto potrebbe dunque avere diverse conseguenze per gli Stati Uniti. Il quadro più plausibile però sembrerebbe essere che questa coalizione potrebbe rendere i due stati più forti e indipendenti da influenze esterne alla loro area geografica d’appartenenza, e dunque più autonome le politiche estere comuni, che potrebbero così evolvere verso linee meno legate agli Stati Uniti.
*Erica Aiazzi è studente in Storia e Politica Internazionale (Università di Pavia)
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